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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

lunedì 24 dicembre 2012

7.2: Cina: socialismo o capitalismo?

7. Socialismo vs. turbo-capitalismo 

Abbiamo adottato una politica economica in grado di consentire il funzionamento delle forze di mercato nell’assegnazione delle risorse, ma sotto la guida e la regolamentazione macroeconomica del governo. Negli ultimi trent’anni, abbiamo accumulato una grande esperienza nel facilitare il ruolo della mano visibile e della mano invisibile nel regolare le forze di mercato. Se conosce le opere classiche di Adam Smith, ricorderà La ricchezza delle nazioni e il libro sull’etica. Ne La ricchezza delle nazioni si parla della mano invisibile, ovvero le forze di mercato. L’altra opera tratta invece di uguaglianza e giustizia sociale, e si ribadisce l’importanza del ruolo regolatore del governo nel distribuire con equità la ricchezza tra la popolazione. Se in un paese la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi, allora quel paese non conoscerà mai stabilità e armonia. Lo stesso vale per l’attuale crisi economica americana. Per risolvere le difficoltà finanziarie ed economiche che oggi affliggono l’America, occorre applicare non solo la mano invisibile, ma anche quella visibile.
Wen Jiabao intervista con Fareed Zakaria su Newsweek settembre 2008 (1)

Janos Kornai, economista ungherese, e la sua tesi è che la Cina funzion perché è capitalista e e in ‘”The Socialist System” (1992) ha descritto quelle che per lui sono le caratteristiche di un sistema capitalista piuttosto che di uno socialista. Heiko Khoo, un intellettuale proveniente dalla ex Germania comunista, ha sottoposto ad esame critico i criteri di Kornai sostenendo che le caratteristiche della Cina attuale sono compatibili con un sistema socialista riformato.

Secondo Kornai non basta dire che il Partito Comunista abbia il monopolio del potere occorre anche vedere quale sia l'atteggiamento dei comunisti nei confronti della proprietà privata. I comunisti cinesi non osteggiano più la proprietà privata anzi la favoriscono. I generali, e i vecchi dirigenti del partito sono stati "comprati". I loro figli studiano nelle migliori scuole per prepararsi al business. Poco importa se "Le dichiarazioni ufficiali annunciano l'adesione all’ideologia di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao." in realtà gli stessi capitalisti possono aderire al partito e manca l'ostilità nei confronti del mercato. Segretari di Partito nelle aziende e sindaci che controllano le aziende comunali avrebbero il loro tornaconto. Il potere politico non si oppone ma favorisce proprietà privata e il mercato, insomma il capitalismo.

La proprietà pubblica non è più predominante. Secondo le statistiche OCSE del 2005 la proprietà privata ammonta al 60%. Nei sistemi socialisti è prevalente il coordinamento burocratico mentre in quelli capitalisti prevale la regolazione dettate dal mercato. L'intervento della burocrazia distorce i prezzi di mercato che possono essere stabiliti dall'alto anche in sistema capitalista ma in minima parte.

Secondo Kornai il socialismo riformato cinese non corrisponde ai dettami classici del socialismo. Marx è contrario alla democrazia borghese e favorevole alla dittatura del proletariato almeno in una fase transitoria la cui durata Marx non specifica ma il cui sbocco utopistico è l'estinzione dello stato. Egli non distinguerebbe nemmeno tra piccoli e grandi imprenditori. Inoltre Marx e Engels non avrebbero un vero progetto ma il socialismo sarebbe pensato come negazione del capitalismo, il che è abbastanza discutibile. Il coordinamento razionale delle forze produttive sarebbe per lui superiore a quello basato sul mercato del lavoro, in ogni caso siccome Marx vede il mercato come anarchia non ci sarebbe alcun rapporto con il socialismo cinese. In realtà Engels si interroga se : "L'abolizione della proprietà privata sarà possibile d'un sol tratto? No, proprio come nemmeno le forze produttive già esistenti non si possono moltiplicare d'un sol tratto nella misura necessaria all'istituzione della comunanza dei beni. Dunque, la rivoluzione del proletariato che con ogni probabilità sta per avverarsi, potrà trasformare la società attuale solo a poco a poco, e potrà abolire la proprietà privata solo quando sarà creata la massa dei mezzi di produzione a ciò necessaria". il passaggio alla proprietà comune avverrà con la "1. Limitazione della proprietà privata mediante imposte progressive, forti imposte di successione, abolizione della successione per via collaterale (fratelli, figli di fratelli ecc.), prestiti forzosi, ecc.2. Espropriazione graduale dei proprietari fondiari, dei fabbricanti, dei proprietari di ferrovie e degli armatori navali, in parte mediante la concorrenza dell'industria di stato, in parte direttamente, verso indennizzo in assegnati"
Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao a Danzhou, Hainan, Cina
inoltre si chiede
Dunque, prima d'ora la abolizione della proprietà privata non era possibile? No. Ogni cambiamento dell'ordinamento sociale, ogni rivoluzione dei rapporti di proprietà, è stata conseguenza necessaria della generazione di nuove forze produttive, che non si volevano più piegare ai vecchi rapporti di proprietà. La stessa proprietà privata non è esistita sempre; ma, quando verso la fine del medioevo fu creata con la manifattura una nuova maniera di produzione che non si lasciava subordinare alla proprietà feudale e corporativa allora vigente, questa manifattura, troppo cresciuta per trovarsi bene sotto i vecchi rapporti di proprietà, generò una nuova forma di proprietà, la proprietà privata. Ma per la manifattura e per il primo stadio di sviluppo della grande industria non era possibile nessun'altra forma di proprietà all'infuori della proprietà privata, né nessun altro ordinamento della società all'infuori di quello basato sulla proprietà privata. Finchè non si può produrre tanto che non solo ci sia a sufficienza per tutti, ma rimanga inoltre un'eccedenza di prodotti da usare per l'aumento del capitale sociale e per l'ulteriore perfezionamento delle forze produttive, fino a questo momento non possono non esserci una classe dominante che dispone delle forze produttive della società e una classe povera ed oppressa (Engels 1847).
Dunque Engels in particolare, pone condizioni per la socializzazione della produzione (livello di sviluppo delle forze produttive) da farsi gradualmente.

Il modello di Oskar Lange si basa sulla proprietà pubblica ma viene anche tollerata la piccola proprietà e l'economia è coordinata dal mercato ma Kornai ritiene che in Cina la proprietà privata ormai sia troppo diffusa per potere assomigliare al modello "walrassiano" dell'economista polacco.

La versione leninista del modello socialista che poi si è espressa storicamente nella NEP in Russia ha come elemento comune con l'attuale Cina l'elemento "totalitario" ovvero il potere assoluto del Partito Unico. Infatti i cinesi, argomenta l'economista ungherese, respingono anche il modello socialdemocratico che accetta il responso elettorale. I socialdemocratici però non sono contro il capitalismo e contro la proprietà privata e hanno reciso i legami con il marxismo. Il mercato coordina l'economia e lo stato è ridistributivo. In Cina le disugualianze sono in aumento e si va verso un modello Manchester di sfruttamento capitalistico.

E’ ovvio che l’analisi di Kornai costituisce la base di tutti i pregiudizi di destra e di sinistra nei confronti della Cina. Quindi la critica di questa impostazione è fondamentale. Kornai non spiega come i modelli di socialismo che egli propone e che non corrisponderebbero al modello cinese debbano essere adottati piuttosto che adattati. Perché non possono crearsi degli ibridi tra i modelli prendendo i punti di forza de isingoli modelli tralasciando i punti deboli?

Richard McGregor che abbiamo citato all'inizio sostiene che pensare che il Partito Comunista Cinese sia comunista solo di nome sia un errore fatale. Proprio recensendo un libro di McGregor, sul New York Revew of Books, Ian Johnson sottolinea la necessità, per chiunque voglia comprendere la realtà della Cina, di analizzare il ruolo del Partito comunista. Si parla addirittura di fallimento nella comprensione della Cina:
«Il nostro fallimento nel far ciò ha condotto ad uno spettacolare fraintendimento della Cina; si pensi in particolare alla visione in base alla quale il governo avrebbe privatizzato l’economia […] Ancora oggi quasi tutte le aziende cinesi di una certa importanza e dimensione restano nelle mani del governo […] Tutte hanno segretari di Partito che le amministrano assieme ai manager aziendali. Per le questioni importanti, come la scelta dei dirigenti e le acquisizioni all’estero, riunioni di Partito precedono le riunioni aziendali, che di solito approvano le decisioni del Partito […] Anche per quanto riguarda le aziende minori, che sono state “dismesse” dal Partito, il controllo del governo continua ad essere pervasivo anche se meno pressante […] Le aziende si sentono anche obbligate ad allinearsi alle politiche del governo, ad esempio ai piani di sviluppare le regioni povere della Cina».
La Cina ha sostituito la rigida pianificazione centrale, con le imprese statali che convivono con un settore privato forte. Ma i comunisti cinesi hanno avuto cura di mantenere il controllo della politica attraverso il controllo del personale, della propaganda e dell'Esercito Popolare di Liberazione. Il partito detta tutte le nomine di alto livello: dal personale dei ministeri e aziende alle università e mass media, attraverso un corpo ombroso e poco conosciuto chiamato il Dipartimento d'Organizzazione. McGregor conclude che ci sono buone ragioni per cui il sistema cinese venga descritto come “leninismo di mercato”.

McGregor afferma: "...la Cina ha fatto questo senza essere sedotta dal fascino occidentale. Per anni, i banchieri stranieri hanno tentato di vendere a Pechino il vangelo della liberalizzazione finanziaria. Chi potrebbe biasimare i leader cinesi per aver rivelato che tale consulenza fosse in modo evidente interessata e quindi per averla rigettata? Il successo della Cina ha dato origine al concetto di moda di un nuovo “Beijing Consensus”, che evita l’imposizione del libero mercato e della democrazia che sono stati tratti distintivi del vecchio “Washington Consensus”. Al suo posto, il Consenso di Pechino offre apparentemente un’economia pragmatica e una politica autoritaria".

Il Centro Studi Indipendenti (CIS) australiano ha pubblicato, nel luglio 2008, un articolo in cui si sostiene che chi pensa che la Cina stia diventando un paese capitalista fraintende "la struttura dell’economia cinese, che rimane in gran parte un sistema dominato dallo stato piuttosto che dal libero mercato.” infatti: “Con il controllo strategico delle risorse economiche e rimanendo il principale erogatore di opportunità e successo economico nella società cinese, il Partito Comunista Cinese (PCC) sta costruendo istituzioni e sostenitori che sembrano radicare il monopolio del partito al potere. Infatti, in molti modi, le riforme e la crescita economica del paese hanno effettivamente migliorato la capacità del PCC di restare al potere. Invece di essere spazzato via dai cambiamenti, il PCC è per molti versi il suo agente e beneficiario.” (Lee 2008).

Kornai identifica la predominanza del settore privato nell'economia cinese in base alla percentuale di valore aggiunto al PIL giacché caratteristico del capitalismo è  il ruolo dominante del settore privato. L'impresa  Statale è dominante nell'economia politica del socialismo. Per  Lenin è sufficiente che questa occupi i 'Comanding Heights" le posizioni che consentono di dominare i settori non statali: estrazione mineraria, produzione di energia, i trasporti, commercio domestico all'ingrosso, commercio estero, banche e assicurazioni. D'altra parte, nell'agricoltura, nel commercio al dettaglio, e altri servizi per il pubblico in generale, che non si qualificano come 'leve', anche se le imprese di stato possano essere presenti, possono prevalere altre forme di proprietà.

Le ricerche di Vitali sulle imprese che costituiscono la 'rete di controllo' dell'economia mondiale ci dicono che esse hanno un peso dieci volte superiore alla quota posseduta. Di 40.060 società transnazionali (TNC) le 737 maggiori hanno l’80 per cento, e la loro parte superiore i 147 'super-enti' detengono il 40 per cento, del controllo sul valore economico di tutti le TNC. Gli intermediari finanziari detengono il 75 per cento delle prime 147 TNC.

Sostanzialmente il lavoro di Vitali a nella direzione dell'affermazione di Lenin a proposito della rilevanza dei 'Comanding Heights" (anche Kornai considera questo l'elemento decisivo della visione leninista) come fattore principale della forma dominante di proprietà dei mezzi di produzione.Infatti  Lenin afferma: "Qual è il piano o l'idea o l'essenza della NEP ?
(a) Conservazione della terra nelle mani dello stato,
(b) lo stesso per tutti i 'Comanding Heights' in materia di mezzi di produzione (trasporto , ecc);
(c) la libertà di commercio nel settore della piccola produzione;
(d) capitalismo di Stato nel senso di attrarre capitali privati ​​(sia le concessioni che le società miste )".(Lenin 1922). Lenin già dal 1917 ha sostenuto la nazionalizzazione al minimo e solo per i settori più avanzati e lo stesso Stalin afferma che con la fine del comunismo di guerra si è tornati al normalità come era stata impostata dopo la rivoluzione in cui appunto c'era stata una nazionalizzazione solo parziale.
Quindi se anche Kornai concorda che una economia di tipo leninista dipende dall'influenza e dal potere di controllo che ha il Partito Comunista sugli istituti finanziati e le principali aziende del paese non rimane che andare a vedere se, e in quale misura,.le teorie di Vitali si possano applicare alla Cina.

Sin qui le critiche di Kornai. Naomi Kelin campionessa degli antiglobalizzatori è  molto più rozza oltrechè incompetente sui temi del socialismo, una tipica semplificatrice della sinistra radicale come ce ne sono molti. La Klein influenzata più dalla controcultura che dal marxismo ha poche idee ma in compenso parecchio confuse. Secondo la sua opinione Deng non sarebbe altro che uno scagnozzo di Friedman, l'economista neoliberale, al pari di Pinochet. Avrebbe provocato a bell'apposta la repressione contro gli studenti "antiliberali" di Tienanmen per poi imporre la terapia shock eterodiretta dallo stesso Friedman. Ciò ha provocato ogni sorta di disastri: abbassamento degli stipendi, licenziamenti di massa, epidemie e cavallette. La Klein si richiama a Wang Hui, peccato che questo dica tutt'altro. David Harvey parla invece di neoliberismo con caratteristiche cinesi pur non arrivando agli eccessi di semplificazione della Klein anzi smentendola in parte. Anche lui si richiama a Wang Hui, vedremo fino a che punto sia legittimo questo richiamo.
Vedremo anche le critiche di Hart-Landsberg e Burkett che vorrebbero una società egualitaria nella scarsità dei beniche sarebbe addirittura un vantaggio per i fautori della decrescita e del neopauperismo. Prenderemo anche in considerazione la variante italica dei nostalgici della Rivoluzione Culturale: Edoarda masi, Angela Pascucci ecc.


Intanto vediamo l’articolo di Wu Qiang originariamente apparso su Qiushi. Wu è assistente caporedattore nella rivista teorica del Partito Red Flag Manuscript. Alla viglia del Congresso del Partito il suo intervento, come molti altri apparsi sulla stampa ufficiale, indicava già che i sostenitori della riforma capitalistica della Cina avevano poco da aspettarsi. Il problema sollevato in Cina è quello della riforma dei monopoli che alcuni ritengono insufficiente per quanto si è fatto sinora. In realtà sostiene Wu la riforma dei monopoli è stata iniziata negli anni '80 dove anche in alcuni settori tradizionalmente dominati dai monopoli sono stati introdotti meccanismi concorrenziali. Occorre tenere presente che i meccanismi concorrenziali di cui si parla sono presenti in società per azioni in cui non è esclusa la prevalenza del pubblico. Quando si parla di "privati" in Cina si intendono tutte le società a non totale controllo pubblico. L'importante è che queste aziende con vari decreti nel 2005 e poi ancora nel 2010 sono state autorizzate ad entrare con certi limiti nei sei grandi settori dell’industria di base e delle infrastrutture, dei servizi municipali e dell’edilizia pubblica, dell’impresa sociale, dei servizi bancari, del commercio e dell’industria della difesa nazionale. E' evidente fin da ora che se si parla ancora non tutto tutto sia stato deregolamentato liberalizzato negli anni '80 o all'inizio degli anni '90 come vanno affermando la Klein e in parte Harvey  altrimenti nessuno porrebbe il problema della liberalizzazione die monopoli.

Wu afferma che monopoli troppo concentrati portano spesso come conseguenza prezzi alti, carenze nei servizi, stravaganze e sprechi. In alcune imprese di stato si sono verificati anche casi gravi di corruzione. Egli sostiene che sebbene esita un pregiudizio nei confronti dei monopoli considerati scarsamente efficienti non tutti monopoli sono uguali. Alcuni sono monopoli naturali e sarebbe irrazionale costruire nella stessa città due acquedotti o due reti elettriche che farebbero addirittura salire i costi, oppure dividere la gestione delle ferrovie. Ciò porterebbe in realtà all'aumento dei prezzi dei servizi rinunciando alle economie di scala.
Conferenza sull'attualità di Lenin in Cina nel 2012
"Monopoli come quello postale, quello del tabacco e quello dei diritti di proprietà intellettuale sono di stato o affidati allo stato per superare i 'fallimenti del mercato'." Infatti si deve garantire la possibilità di comunicare a tutti i cittadini anche a quelli delle località sperdute sebbene sia antieconomico come del resto il monopolio del tabacco evita l'invasione di prodotti a di bassa qualità altamente dannosi per la salute e i diritti di proprietà intellettuale incoraggiando la creatività.
Wu Qiang afferma poi che la concorrenza non porta solo alla rottura dei monopoli ma anche alla loro formazione come è il caso delle aziende aeronautiche come Boeing e Airbus o nei sistemi operativi come Microsoft e Apple. Spesso è la stessa competitività che porta ad oligopoli. In Cina gloi antimonopoliti (cioè i liberisti) parlano con ammirazione delle grandi imprese multinazionali mentre si oppongono a qualsiasi azienda che diventi "grande" nella Cina stessa. Si tratta di anti-monopolismo con due pesi e due misure. Le aziende cinesi non sono troppo grandi, sono in realtà troppo piccole.
Il Rapporto di Hu Jintao al 17esimo congresso del Partito afferma che occorre :”Introdurre meccanismi competitivi e rafforzare il controllo del governo e della società”. Ma la riforma dei monopoli non significa privatizzazione, sostiene l'autore. Naturalmente la polemica è contro i "liberali". Certamente lo sviluppo tecnologico porta anche alcuni settori dei monopoli naturali a potersi confrontare sul mercato. In alcuni settori si può separare la produzione dalla distribuzione. Nei settori privi di concorrenza le aziende statali possono essere divise e messe in concorrenza le une con le altre.
La riforma dei monopoli deve essere orientata a risolvere gli abusi di posizione dominante che attraverso un intreccio tra governo e impresa portino a danneggiare i consumatori con servizi o merci scadenti e a alto prezzo. Quando le aziende agiscono in condizioni di monopolio è indispensabile il controllo del governo e della società per il controllo dei prezzi ma anche per il controllo dei premi al management che sarebbero pagati dai consumatori.
I piani neoliberali legati alla shock therapy non hanno dato poi dei buoni frutti; ad esempio in Russia la privatizzazioni hanno rafforzato solo gli oligarchi e lo stato ha dovuto ricomprare da questi le aziende che prima aveva regalato, per non parlare di monopoli pubblici diventati privati ma rimasti monopoli. Secondo Naomi Klein la shock economy con tanto di privatizzazioni era già stata messa in atto negli anni '90 ma Wu Qiang invece argomenta che sono i pseudo antimonopolisti attuali che vorrebbero attuarla. Wu sostiene che il popolo cinese non potrebbe tollerare che attraverso la privatizzazione le aziende di stato si crei una classe di oligarchi. "L’economia pubblica gioca un ruolo guida nell’economia nazionale, è questa la superiorità del nostro sistema socialista. Le industrie e le aree strategiche per la sicurezza nazionale e la salvaguardia delle condizioni di vita sono nelle mani dello stato, questo è nella natura del sistema socialista, e i monopoli dei paesi capitalisti, costruiti per trarre alti profitti, sono di diversa natura." (Wu Qiang 2012).
Wu Qiang rende il clima, l'aria che tira, tra gli statalisti cinesi che pensano che non ci sia stata nessuna terapia schock in passato e non la vogliono nemmeno per il futuro: "La domanda è: la riforma dei monopoli attraverso la gestione privata potrebbe essere migliore di com’è adesso? Impossibile. In sostanza, il possessore ultimo delle imprese statali è il popolo, i profitti in ultima analisi vanno a beneficio del popolo, quindi non bisogna sacrificare gli interessi della popolazione per trarre alti profitti. Nella pratica, i dipartimenti governativi non prendono i profitti come misura completa delle performance delle imprese di proprietà statale, ma includono anche altre doveri sociali di vario tipo. Su molti monopoli il governo ha dato una stretta al controllo e alla supervisione dei prezzi e previene la ricerca della massimizzazione del profitto da parte delle imprese di stato. Se l’impresa privata dominasse i monopoli, questo sarebbe difficile da ottenere." (Wu Qiang 2012). La cosa così impostata non sembra propriamente farina presa dal sacco dei neoliberisti.
Wu fa a questo proposito due esempi. In Cina la domanda di elettricità supera l'offerta tanto che nei picchi  questa viene a mancare. L'altro caso è il petrolio. La Cina ha fame di energia ma mantiene il prezzo relativamente basso secondo Bloomberg che ha stilato una classifica in proposito.  Se questi due elementi fossero posti sul mercato puntando alla massimizzazione del profitto sarebbe difficile mantenere un prezzo ragionevole.

L'autore si chiede la ragione dell'interesse marcato dell'Occidente per riforma delle imprese statali cinesi e se siano genuinamente interessati alla competitività della Cina Di queste imprese se ne parla male perché sopravviverebbero solo grazie alla loro posizione monopolistica.
"Le relazioni internazionali vengono sempre svolte col fine di beneficiare il proprio paese. Il comportamento di questi occidentali è spiegabile proprio con il timore dell’aumento della competitività delle imprese statali cinesi. Il vice segretario di stato americano ha parlato molto chiaramente: le compagnie americane non solo sono in posizione sfavorevole nella concorrenza con le imprese di stati cinesi e nel mercato cinese in generale, ma attraversano una fase difficile anche nel mercato interno e nei paesi terzi; il capitalismo liberale occidentale è sottoposto a una seria sfida."(Wu Qiang 2012).
All'ultimo congresso celebrato nel 2012,
è stata confermata l'ispirazione marxista del Partito,
Nelle imprese statali cinesi, dice l'autore,  c'è una migliore gestione del personale, delle tecnologie dell'innovazione rispetto a quelle private che sono sopravanzate in termini di alta competitività, tecnologie avanzate e miglior management.
Le imprese statali guidano lo sviluppo comune di un’economia comprendente diverse forme di proprietà e l’aumento della competitività internazionale. Anche se un certo numero di monopoli sono di proprietà statale, anche la produttività è cresciuta. Per esempio, in un’impresa-chiave come la Petrochina Daqing Oilfield il management, la capacità esplorativa e le tecnologie estrattive rispondono agli standard mondiali. Il morale della forza lavoro è alto e la capacità innovativa è buona. Non ha ottenuto buone performance solo sul mercato interno, ma anche nella competizione internazionale ha spesso battuto le controparti straniere (Wu Qiang 2012).
La realtà è che i governi occidentali non solo non sono per nulla interessati a far diventare più competitive le aziende cinesi ma pongono in realtà seri ostacoli all'espansione delle aziende cinesi all'estero, anche di quelle private. Insomma far passare la privatizzazione in Cina non sarà una cosa tanto facile anche a vent'anni di distanza della pretesa terapia shock in salsa cinese inventata di sana pianta dalla Klein.
Le aziende statali cinesi sono sotto il tiro incrociato dei liberali cinesi e della Banca Mondiale (le truppe cammellate della sinistra radicale proteggono solo la retroguardia): "Questo accade non solo perché il settore statale sta crescendo rapidamente, ma anche perché sezioni del privato stanno incontrando serie difficoltà. Internazionalmente, il settore statale cinese sembra più sicuro di se stesso e meglio capitalizzato che mai e questo avviene proprio nel momento in cui le economie liberali occidentali stanno soffrendo a causa di una recessione prolungata. Inoltre, le imprese di Stato cinesi ora stanno investendo in paesi ed aree tradizionalmente nella sfera d’influenza occidentale, entrando in competizione diretta con aziende multinazionali americane ed europee (Lin 2012)". Insomma il socialismo sta vincendo sul capitalismo.
Un giudizio più sfumato sulla realtà del socialismo cinese viene da Alberto Gabriele "In Cina, da qualche decennio a questa parte, si è venuta costituendo una formazione economico-sociale di tipo nuovo, non-capitalista. Lo stato cinese ha un un alto grado di controllo diretto e indiretto sui mezzi di produzione e sul processo di investimento e di accumulazione: di conseguenza, le relazioni sociali di produzione sono diverse da quelle prevalenti nei “normali paesi capitalisti. E’ inoltre plausibile, in un senso peraltro fortemente limitato, considerare questa formazione economico-sociale come una forma di socialismo di mercato. I risultati ottenuti finora in termini di crescita economica e di riduzione della povertà sono ben noti. Tuttavia, lo sviluppo della nuova formazione economico-sociale cinese è stato caratterizzato sin dall’inizio da forti distorsioni e contraddizioni di natura ecologica e sociale [3]. In linea di principio, questi gravi problemi sono superabili in una ottica “riformista”: in altre parole, senza negare alla radice la natura non-capitalista del sistema cinese, ma anzi trasformandola parzialmente e sviluppandola in una direzione più coerente con i principi fondamentali del socialismo (Gabriele 2012).

Note

(1) Zakaria, Fareed 2008 We should join Hands”, in «Newsweek», 28 September 2008  L’intervista è stata  ripresa dal «Corriere della sera» :


Bibliografia
Gabriele, Alberto 2012. Cina: socialismo di mercato e distribuzione del reddito, Marx21.it, 22 Giugno 2012.
Johnson, Ian 2010. The Party: Impenetrable, All Powerful, The New York Review of Books, 30 settembre 2010
Lee, John 2008“Putting Democracy in China on Hold,” 28 maggio 2008, Center for Independent Studies
Lin, Kevin 2012. Declino e ascesa dell’industria di stato in Cina.  Cneresie, 24 settembre 2012.
McGregor, Richard 2010. The Party: The Secret World of China’s Communist Rulers, Harper, 2010.Wu Qiang. 2012. Alcune questioni riguardanti la riforma dei monopoli

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