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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

domenica 18 maggio 2014

6.2.2: Scioperi: siamo alla vigilia della rivoluzione operaia?

6. L'imminente crollo della Cina
6.2: Il mito del Social Volcano



Per vent'anni la formula della globalizzazione è stata: taglio dei tassi d'interesse e delocalizzazione, un'equazione che ha evitato al capitalismo, quello vero, non il suo avatar finanziario, di confrontarsi con il suo nemico numero uno: la caduta tendenziale del saggio di profitto. Marx ne parla a lungo, ma anche Smith e Ricardo accennano a questo virus che si rafforza con il dilagare della produzione meccanizzata. Meno lavoro umano si utilizza nella produzione, meno grasso sarà il profitto; l'uomo e la sua intelligenza hanno un valore aggiunto superiore alla macchina. Gli asiatici lo sanno bene, noi ce ne siamo dimenticati. La Honda e la Foxconn si piegano ai voleri degli operai cinesi invece che rimpiazzarli con nuove tecnologie o delocalizzare la produzione in Vietnam perché il valore aggiunto della manodopera cinese è ancora imbattibile. Per produrre autovetture ed ipod di prima qualità ci vuole, per dirla alla Adam Smith, la mano "magica" dell'operaio specializzato. 
(Napoleoni 2010)

"Una serie di proteste in aziende straniere stanno facendo aumentare i salari degli operai. Pechino sperimenta con maggiore libertà sociale e la crescita del potere di acquisto degli strati più bassi" (Sisci 2010). Così scriveva il corrispondente della Stampa per gli scioperi avvenuti in alcune multinazionali straniere.
I primi dispacci della Reuters riportavano scioperi in alcune fabbriche senza però che si fermasse la produzione, che aveva subito soltanto una flessione, soprattutto negli stabilimenti dell'Honda. Alcuni lavoratori in sciopero avrebbero avuto l'intenzione di formare sindacati indipendenti, ma la richiesta non avrebbe ottenuto un consenso generalizzato e diffuso (Lotte operaie 2010). La notizia segnalava che parte dei lavoratori della fabbrica sono più vecchi e hanno poco a che fare con i lavoratori immigrati recentemente dalla campagna. Non era quindi probabile un'alleanza. Nelle aziende statali, la forte crescita economica ha comportato automaticamente aumenti di profitti e salari. I lavoratori di queste aziende non sembravano propensi a scontrarsi contro la dirigenza (Lotte operaie 2010).

La Reuters segnalava che i media statali non avevano dato molto spazio alle sollevazioni, ma il messaggio viaggiava tra i lavoratori attraverso Internet (Lotte operaie 2010). Ma a questo punto c'è stato un coro di osservatori della Cina che hanno segnalato proprio il contrario "Gli scioperi sono stati ampiamente coperti dalla stampa cinese e i cronisti stranieri recatisi sul posto non hanno avuto difficoltà a seguire gli eventi, segnali chiari da queste parti che Pechino non si oppone alle dimostrazioni, anzi" (Sisci 2010).




Franceschini dice di essersi "inaspettatamente trovato di fronte a tutta una serie di copertine inneggianti a questa nuova “ondata operaia”. Nanfengchuang, Xin Shiji Zhoukan, Sanlian Shenghuo, Fenghuang Zhoukan, tutte riviste che seguo abitualmente, dedicavano voluminosi inserti alle lotte dei lavoratori cinesi, ricorrendo a toni epici per descrivere la resistenza di questi ultimi, non risparmiando critiche radicali al sindacato ufficiale, e richiedendo a gran voce la concessione del diritto di sciopero " (Franceschini 2010).

Il presidente cinese Hu Jintao e il premier Wen Jiabao hanno dichiarato che il miglioramento delle condizioni lavorative e assistenziali dei contadini e dei lavoratori è un punto centrale nelle loro politiche. Il governo cinese, considera sempre meno gli scioperi una minaccia al proprio controllo. Il governo ha permesso ai lavoratori di reclamare e ha evitato di usare la forza per sedare gli scioperi (Lotte operaie 2010). La Stampa riportava in un grosso articolo ben documentato il risalto nei media locali per la nuova generazione di sindacalisti e agitatori. Spiegava nel dettaglio le dinamiche per cui il PCC è interessato a premere sulla protesta nelle aziende private e parlava di come il governo "allevi" una nuova generazione di sindacalisti indipendenti favorendone l'esposizione mediatica.
Franceschini ci vede la coincidenza di interessi tra lavoratori e i livelli più elevati del Partito che "hanno tutto da guadagnare dal “mettere il cappello” su queste proteste operaie, come effettivamente è stato fatto nei giorni scorsi dal premier Wen Jiabao, con la sua apologia (1) dei lavoratori migranti, e dal Quotidiano del popolo, che in un suo recente editoriale ha richiamato la necessità di alzare i salari. Si tratta di una dinamica perversa in base alla quale i lavoratori vengono a considerare il Partito come un effettivo difensore dei loro interessi, sempre pronto ad ascoltare le loro richieste" (Franceschini 2010). La "dinamica perversa" non si sa da dove salti fuori.
Vladimiro Giacchè scrive che "La stampa ufficiale (il “Quotidiano del popolo” e il “China Daily”) ha preso apertamente posizione per gli scioperanti, e lo stesso hanno fatto diversi esponenti del partito comunista. La cosa non sorprende. Questi aumenti infatti non rispondono soltanto ad ovvie logiche di equità: sono funzionali alla creazione di un mercato interno. Puntare sul suo sviluppo è fondamentale per ridurre la dipendenza dell’economia cinese dalle esportazioni, ed è un obiettivo esplicito del governo. Non è un caso che negli ultimi mesi siano state più volte rilanciate dalla stampa ipotesi di un progetto governativo per un raddoppio delle retribuzioni in 5 anni" (Giacchè 2010). Anche secondo Sisci, Pechino vuole stimolare la domanda interna e per questo ha bisogno di gente che guadagni di più e possa alla fine anche comprare più beni e il governo ha conseguentemente appoggiato le richieste operaie in particolare delle aziende giapponesi e asiatiche "che nell’immaginario cinese hanno le condizioni di lavoro più dure" (Sisci 2010). Per Rocca "Assistiamo infatti a una semi-istituzionalizzazione della protesta, la quale non risulta da una pressione sociale esterna al partito ma dall'azione di individui e di gruppi situati all'interno stesso del «sistema». Questa particolarità costringe a uscire dal quadro abituale dell'analisi politica, che oppone spesso un «potere» onnipotente dalle pratiche tortuose e prive di scrupoli, a una «società» percepita di volta in volta come rassegnata o sull'orlo della rivolta" (Rocca 2010).

Sisci nota come gli scioperi non siano una novità. Nel Guangdong sono iniziati negli anni 2000 e nel Nordest del paese, dove vi sono le aziende più arretrate, in fallimento, alla fine degli anni ‘80 (Sisci 2010). Per Cheek il Partito risponde "concretamente alle mi­gliaia di proteste dei lavoratori delle città o delle campagne contro gli abusi delle imprese o dei funzionari locali, adottando la politica del bastone e della carota. Finché i disordini sono di ordine locale e orientati a una rivendicazione specifica, è frequente che il Partito paghi gli stipendi arretrati, reintegri le pensioni, o provveda a indennizzare le terre confiscate per progetti di sviluppo" (Cheek 2007, p. 131).  Per Sisci non è nemmeno una novità una "relativa tolleranza delle autorità verso forme di organizzazione operaia che escano dal sindacato tradizionale, integrato rigidamente nel partito. La novità è la pubblicità concessa alla protesta e al loro successo, cosa che poi dà maggiore libertà alle nuove organizzazioni operaie. Vista la capacità pervasiva dell’organizzazione comunista cinese però è probabile che anche nel nuovo sindacato ci siano già cellule del vecchio partito" (Sisci 2010).

Secondo la Reuters era poco probabile che gli scioperi, dalla zona manifatturiera nel sud della Cina, potessero espandersi sul territorio conquistando una dimensione nazionale (Lotte operaie 2010) sebbene come rilevava Sisci nuovi scioperi "seguiranno probabilmente nelle prossime settimane in altri stabilimenti che non si adegueranno alla tendenza attuale di aumenti delle paghe nell’ordine del 25-40 per cento. È un balzo del potere di acquisto degli operai di qui visto che sta portando i salari intorno ai 2.000 yuan al mese, circa 300 dollari americani, o anche di più se a questo si aggiungerà l’attesa rivalutazione della moneta cinese" (Sisci 2010).

«Ovviamente, dopo quanto accaduto, molte imprese straniere sono preoccupate. Ciononostante, non credo che queste ultime, che peraltro già pagano stipendi superiori rispetto alle loro concorrenti cinesi, siano disposte a concedere nell'immediato futuro aumenti salariali nell'ordine del 20 o 30%», avverte Alberto Vettoretti, presidente della Camera di Commercio Europea nel Delta del Fiume delle Perle (Vinciguerra 2010). La carenza di manodopera si fa sentire rafforzando le pretese dei lavoratori«Per lungo tempo l'industria manifatturiera cinese ha potuto contare su un bacino pressoché illimitato di manodopera a basso costo - osserva l'economista indipendente, Andy Xie -, ma oggi il quadro è cambiato radicalmente. I contadini che, fino a pochi anni fa, migravano felici per andare a lavorare nelle fabbriche del Guangdong, non sono più disposti a trasferirsi a migliaia di chilometri da casa per un salario che garantisce loro giusto la sussistenza. Oggi chi lascia il villaggio per trasformarsi da contadino a operaio vuole di più» (Vinciguerra 2010). Nel Delta del Fiume delle Perle la manodopera ha iniziando a scarseggiare e i salari di conseguenza lievitano di pari passo già da anni. Vi è una estrema facilità di trovare impieghi migliori senza grossi problemi, unitamente al fatto che lo sviluppo delle regioni occidentali ha comportato che molti lavoratori rientrano nelle zone di origine oppure non emigrano più.
Tra l'altro l'aumento dei salari avveniva in concomitanza con un forte balzo, il maggiore in sei anni, dell'export, che registrava un più 48,3 per cento. Gli aumenti salariali sono in parte compensati dall’aumento crescente della produttività e protetti da un rapporto qualità-prezzo dei beni ottimale. Proprio nel 2009, anno della crisi globale, la Cina è diventata il primo paese esportatore al mondo (Sisci 2010). La “carestia di lavoratori” ha dato ai lavoratori un maggiore potere contrattuale. Le aziende non possono permettersi di perdere manodopera non facilmente sostituibile. Le analisi concordavano sul fatto  che anche se il costo del lavoro in Cina salisse del 30% nei cinque anni successivi, la Cina manterrebbe ugualmente intatta la propria competitività.
Il grafico sopra mostra l'aumento dei salari del personale urbano e dei lavoratori (lavoratori formalmente occupati) 1995-2012. Fonte dei dati: Ufficio Nazionale di Statistica della Cina.

Franceschini raffredda un po' i bollori di chi vuole fare la rivoluzione a casa degli altri: "Quanti sostengono che questi scioperi sono il preludio per una trasformazione politica in Cina, quasi si trattasse di una sorta di prova generale di un’imminente rivoluzione, stanno dunque prendendo un clamoroso abbaglio". I lavoratori cinesi si muovono sempre per motivi economici: "Anche se spesso criticano il sindacato ufficiale, non scendono mai in strada per richiedere sindacati indipendenti o, ancora peggio, riforme politiche. Al contrario, gli slogan degli scioperanti quasi sempre si appellano alla benevolenza e alla comprensione del Partito" (Franceschini 2010). Franceschini commenta uno studio di Linda Wong pubblicato sul “China Quarterly” nel 2010, circa il 70% dei 2.617 lavoratori intervistati sarebbe stato a conoscenza della Legge sul lavoro, mentre il 55% afferma di conoscere la Costituzione. Franceschini afferma che ciò avviene anche che sia innegabile che"grazie ad un’incessante opera di propaganda da parte sia dello Stato che della società civile, la consapevolezza del diritto si stia diffondendo tra i lavoratori cinesi" (Franceschini 2012). "In definitiva, scrive Franceschini, un conto è affermare che i lavoratori cinesi siano sempre più consapevoli dei propri diritti e non siano più disposti a lasciarsi mettere i piedi in testa per qualche centinaio di yuan, un altro è descrivere la Cina come se fosse sull’orlo di una rivoluzione operaia. Ciò dimostra solo quanto poco si sappia di questo paese e quanto limitata sia la capacità di analisi di tanti operatori dei nostri media" (Franceschini 2010). I lavoratori poi non si sarebbero improvvisamente risvegliati ma sarebbero sempre stati vigili. Gli scioperi poi non sono organizzati. "Non esiste una versione cinese di Solidarnosc, né una qualsiasi cabina di regia che diriga e coordini le azioni degli scioperanti. Questo è inevitabile, se si considera il fatto che il sindacato ufficiale in genere se ne sta ai margini dei disordini, svolgendo un ruolo di mediatore" (Franceschini 2010). Lo stesso Franceschini, uno degli osservatori più aquiti della realtà operaia cinese afferma: "In sostanza, dopo decenni in cui i lavoratori cinesi sono stati descritti come nient’altro che vittime passive del capitale globale, dal 2010 giornalisti, accademici ed attivisti hanno cominciato a far a gara nel descrivere i lavoratori migranti cinesi come portatori di una rinnovata consapevolezza giuridica, sottolineando come questo si traduca in proteste non più mirate ad ottenere benefici esclusivamente economici, in genere in linea con gli standard minimi stabiliti dalla legislazione in vigore, ma in un numero sempre maggiore di rivendicazioni di natura sindacale o richieste che vanno oltre quanto già previsto dalla Legge (Franceschini 2012). Egli riprende il discorso iniziato all'Honda nel 2010, in occasione degli scioperi avvenuti nel 2012 nella giapponese Ohms Electronics di Shenzhen: "La stessa idea che negli ultimi anni la Cina sia stata soggetta a “ondate di scioperi” dovuti ad una crescente consapevolezza giuridica dei lavoratori, per quanto affascinante appare tutt’altro che scontata. Sembra infatti che esista una generale tendenza nei media, tra gli attivisti e in parte del mondo accademico a trasformare fatti particolari e ben circostanziati, come ad esempio lo sciopero della Honda, in tendenze generali, come se si trattasse di punti di svolta rappresentativi dell’evoluzione della società cinese" (Franceschini 2012). Se vediamo le rivendicazioni di questi lavoratori sono molto economicistiche aumenti salariali fino al 30%, prestiti agevolati per l'acquisto della casa, reintroduzione dei bonus cancellati dopo la crisi finanziaria del 2008. Ecco come spiega la vertenza un delegato: "«Una trentina di noi, i più anziani, hanno fatto volantinaggio, poi ci siamo riuniti in assemblea e alla fine ci siamo tirati dietro 3.500 dei 4.600 dipendenti» della Hailiang, che nel marzo prossimo passerà dal marchio hi-tech giapponese agli americani della Western digital. Le autorità - l'Assemblea dei lavoratori (l'organo del Pcc in fabbrica) e i funzionari provinciali - hanno svolto un ruolo di mediazione tra proprietà e maestranze" (Cocco 2012). Dunque alla fine è proprio il Congresso dei Lavoratori che va a trattare per conto degli operai. Niente di particolarmente sovversivo. Continuando con lke rivendicazioni operaie scopriamo anche che gli operai protestano per la riduzione delle ore di straordinario: "A Dongguan - a metà strada tra Shenzhen e il capoluogo provinciale Guangzhou - il mese scorso è entrata in sciopero la taiwanese Pou Chen che produce, tra gli altri marchi, per Nike e Adidas. Circa duemila operai hanno manifestato contro l'intenzione dell'azienda di spostare l'impianto nella provincia del Jiangxi e la riduzione delle ore di straordinario" (Cocco 2012). L'articolo di Cocco è intitolato Gli scioperi che piegano Deng riferendosi al fatto che sono localizzati dalle parti di Shenzhen dove Deng lanciò la sua politica di apertura all'esterno. L'articolo è pieno di contraddizioni. Le saracinesche delle aziende sarebbero chiuse quindi ai migranti dequalificati non rimarrebbe che ritornare alle "antiche povertà" dei loro luoghi d'origine, però si lamentano gli imprenditori di essere "a corto di manodopera non specializzata" e rigurado alle zone delle "antiche povertà" dice lo stesso imprendiore :«Che convenienza ha un operaio a venire qui, se nel Sichuan, nello Hunan, nello Hubei o nel Guizhou può guadagnare quasi altrettanto?». Insomma l'articolo non brilla per coerenza ed è sempre venato da una presunzione di superiorità della sinistra occidentale sui comunisti cinesi. Insomma una atteggiameno da grillini in cui insieme alle critiche spesso populiste contro il governo cinese non si sa proporre nulla di alternativo. Uno di questi critici che va per la maggiore è tale Pun Ngai. Essa afferma: "questa è l’ingiustizia fondamentale, laddove la forza lavoro a basso costo sostiene la produzione a basso costo, prodotti per i paesi occidentali come gli usa, dove chi non ha soldi li chiede in prestito per consumare. Il governo cinese presta continuamente soldi a coloro che possono consumare le merci fatte con forza lavoro a basso costo nel sistema economico globale, laddove il sacrificio finale ricade sulle masse dei lavoratori contadini migranti" (Ngai 2010). Pun Ngai innanzitutto non concepisce come in una economia pianificata si possa risparmiare nei momenti di boom economico (investendo presso il maggior offerente che spesso è il debito americano) per poi spendere nei momenti di crisi. In secondo luogo non si vede quale sacrifico compiano i lavoratori migranti i quali guadagnano quanto l'intera famiglia d'origine semplicemente trovando un lavoro alternativo all'agricoltura.


I lavoratori si riuniscono il 22 aprile 2014 al cancello della Yue Yuen 
Industrial Holdings a Dongguan, nella provincia di Guangdong. 
Lo sciopero è iniziato dopo che la società non ha risposto 
alle preoccupazioni dei lavoratori
.
Per una critica di queste posizioni eurocetriche andiamo ad analizzare la posizione Hosea Jaffe che definisce la posizione di Biagio Borretti su Proteo come “tipica di un paternalista, condiscendente marxismo eurocentrico, che per brevità chiameremo euromarxismo” che “si oppone allo Stato cinese ed implicitamente (ed anche esplicitamente) parteggia per una controrivoluzione anti-PCC in nome della “lotta per la liberazione dalle catene”, “hic et nunc” e sostenuta dalla “solidarietà” del “proletariato occidentale”. Senza andare oltre, ci si permetta di dire che il “proletariato occidentale” non ha mai, e dico: mai, sostenuto in modo rivoluzionario ed in massa alcuna lotta dei popoli coloniali e semi-coloniali per - sia consentita l’espressione - la “liberazione nazionale” dall’imperialismo. Perché mai dovrebbe farlo adesso? Che B.B. sostenga che la Cina sia diventata così malvagia da divenire uno Stato imperialista - una tesi così assurda da non spenderci parole a riguardo? Nel suo infelice ultimo paragrafo, B.B. scrive degli “ultimi sprazzi di Welfare state di keynesiana memoria” e dei suoi “alti tassi di profitto per potersi permettere il lusso del compromesso storico”. In breve sostiene che il “proletariato occidentale” derivò, tra le altre cose, i suoi alti salari dall’alto tasso di profitto che esso - e non gli operai cinesi e così via - creava per le classi (imperialiste) capitaliste. Vi sono due non-verità in merito: (i) il tasso di profitto nei paesi imperialisti (OCSE) non è alto, anzi è circa il 30% o meno degli alti tassi di profitto indiani e di altre semi-colonie di tali paesi capitalisti; (ii) gli alti salari del proletariato nei paesi imperialisti consiste in buona parte (più del 30%) di super-profitti realizzati grazie al super-sfruttamento dei lavoratori del Terzo mondo. In breve, il “proletariato occidentale” di B.B., sin da quando il capitalismo imperialista faceva i suoi primi passi (1870-1900), è stato uno sfruttatore del proletariato delle colonie e delle semi-colonie. E B.B. vorrebbe che questa classe aiutasse a “liberare” i lavoratori cinesi! Liberare da cosa? B.B. ce lo dice: dalle “classi dominanti cinesi e da quella borghese transnazionale che opera in Cina con l’esportazione dei capitali, con le joint venture” e dalla “burocrazia” del Partito Comunista Cinese (PCC). Ma B.B. sconfessa il suo stesso argomento ammettendo la continuata massiccia esistenza, socialmente così come politicamente, del PCC e cioè ammette che non c’è stata, almeno finora, una controrivoluzione che ha rovesciato lo Stato della Repubblica Popolare della Cina (RPC)” (Jaffe 2010).

Sembra però che le speranze riposte sul proletariato cinese che dovrebbe sostituire nell'immaginario della sinistra occidentale la ormai imbolsita classe operaia occidentale, siano alquanto mal riposte. Nessuna rivoluzione è alle porte. Scrive Thomas König, coordinatore del “China programme” di European council on foreign relations (ECFR). “... più penso a questa questione, più mi convinco che proteste e dissenso in Cina non sono un veicolo di cambiamenti reali, ma soltanto un modo per esprimere un malcontento e ottenere una risposta parziale”. Mentre uno studio delChina labour bulletin (Clb), “Searching for the union: the workers’ movement in China 2011-2013”, segnala 470 tra scioperi e proteste nelle fabbriche cinesi, scoppiati tra giugno 2011 e dicembre 2013, il 57% dei quali nella provincia costiera del Guangdong, una delle aree di più antica industrializzazione del Paese. Nel settore trasporti gli scioperi sono stati 360, mentre altri disordini sono stati registrati in scuole e ospedali. Ma, dall’arrivo di Xi al potere, i dati confermano un calo delle proteste sia nelle campagne che nelle zone industriali. per altro è significativo che le proteste non avvengano nemmeo più nelle fabbriche dove a sentire qualche rivoluzionario nostrano le condizioni sarebbero invivibili.
Operai e contadini non sanno più scioperare è la mesta conclusione (Cappelletti 2014).

Insomma la base di tutte le menate “marxiste” occidentali è che esiste un solo “proletariato di pura razza ariana” quello occidentale e che gli intellettuali che lo rappresentano (i famosi marxisti occidentali) sono gli unici autorizzati a parlare propriamente di marxismo. Costoro auspicano il rovesciamento del potere del Partito Comunista in Cina. A questo punto ci si chiederà di quale magnifico “proletariato” questi intellettuali siano espressione. Beh quel proletariato ha battuto la fiacca non dico nella “solidarietà” con il proletariato cinese ma persino nella lotta sindacale nazionale. Allora ci si chiederà quali magnifici risultati abbiano ottenuto tali “marxisti” in Occidente. Non solo con tale magnifico proletariato il socialismo è lontano in Occidente ma si va nella direzione opposta e le sue “avanguardie” fanno ormai fatica ad essere rappresentate in parlamento se non nei consigli comunali. Ebbene, non si sa di quali magnifiche sorti sia portatrice la “sinistra di classe occidentale”, che sarà anche sinistra sebbene sia difficile capire di quale classe si parli essendo ormai gli operai una rarità nelle sue file (2).

Note
1. «Oggi i contadini che emigrano per andare a lavorare nelle fabbriche sono la principale risorsa della nostra forza lavoro industriale», ha detto Wen Jiabao  parlando a un gruppo di giovani muratori emigrati dalle campagne. «La nostra ricchezza e i nostri grattacieli sono il distillato del vostro sudore», ha aggiunto il premier cinese (Wen 2010).
2. La Lista Tsipras espressione della sinistra radicale italiana era una delle meno rappresentative degli operai secondo un sondaggio IPSOS (Silvani 2012).

 Bibliografia
Cappelletti Alessandra 2014. The no protest era / operai e contadini non sanno più scioperare, Cinaforum.
Cheek, Timothy 2007. Vivere Le Riforme. La Cina dal 1989. EDT.
Cocco, Michelangelo 2012. Cina - Gli scioperi che piegano Deng, Il Manifesto 3 gennaio 2012.
Franceschini, Ivan 2012. Il presunto risveglio dei lavoratori cinesi (due anni dopo), 29 maggio 2012.
Giacchè, Vladimiro 2010. La nuova Cina che abbiamo sottovalutato, 16 agosto 2010.
Jaffe, Hosea 2010.  In difesa della Cina contro l’eurocentrismo, Proteo, 2010.
Napoleoni, Loretta 2010Sorpresa: è tornato Carlo Marx, L'Unità, 16 Giugno 2010
Ngai, Pun 2010. La proletarizzazione incompiuta. Vedere la cina a partire dai suicidi della Foxconn,“Forum su globalizzazione e sviluppo sociale”, 19/7/2010.
Lotte operaie 2010. Sulle lotte operaie in Cina. Reuters, 15 Giugno 2010
Rocca, Jean-Louis 2010. Cina, un partito di governo e di lotta, L'impero di mezzo nel fuoco dei movimenti sociali.
Sisci, Francesco 2010. Scioperi e nuvole in Cina, la stampa, 14/6/2010.
Vinciguerra, Luca 2010. Se a Pechino finisce l'era del lavoro low cost, Il sole 24 ore, 16 Giugno 2010.
Wen 2010. Wen: rispetto per gli operai cinesi, AGI China 24, 16/06/2010.

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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.