8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?
La rivoluzione industriosa della Cina si è basata anche sull'impiego di manodopera qualificata al posto di costosi macchinari. Questo ha contribuito a creare centinaia di milioni di posti di lavoro nelle fabbriche:
Si tratta di un'altra riformulazione della tesi di Sugihara sulla duratura importanza della Rivoluzione industriosa dell'Estremo Oriente. L'osservazione fatta dalla Hart che nelle imprese di municipalità e villaggio la coltivazione intensiva di piccoli appezzamenti si combina con forme di lavoro industriale o comunque non agricolo e con investimenti destinati a migliorare la qualità della forza-lavoro, non fa che confermare la validità di quella tesi. Ma altrettanto fa l'osservazione, piuttosto comune, che, anche nelle aree urbane, il principale vantaggio competitivo dei produttori cinesi non sta nel basso livello salariale in quanto tale, ma nell'adozione di tecniche basate sull'impiego di economico lavoro qualificato invece che su quello di costosi macchinari e di dispendiosi dirigenti. Un buon esempio ci viene dalla fabbrica di automobili Wanfeng, vicino a Shanghai, nella quale "non si vede neanche un robot". Come in molti altri impianti cinesi, sulle linee di montaggio ci sono squadre di giovanotti, appena usciti dalle scuole tecniche cinesi in rapida espansione, al lavoro con nient'altro che trapani elettrici, chiavi inglesi e mazze di gomma. I motori e le parti della carrozzeria, che in una fabbrica occidentale, coreana o giapponese sarebbero trasportati automaticamente da una stazione all'altra, qui vengono trasportati a mano o con carrelli a mano. È così che Wanfeng può vendere in Medio Oriente le sue jeep di lusso "Tribute", fatte a mano, a un prezzo che va da 8000 a 10.000 dollari. L'azienda non investe in macchinari da molti milioni di dollari, e usa invece lavoratori di alto livello [la cui] paga annuale [...] è inferiore a quella mensile di un nuovo assunto di Detroit. (Arrighi 2008, pp. 402-403).