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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

giovedì 19 aprile 2012

7.4: Socialismo della miseria o miseria del socialismo occidentale?

7. Socialismo vs. turbo-capitalismo


Solo l'uomo povero ha un Dio ricco. 
Dio corrisponde al sentimento di un bisogno.
Ludwig Feuerbach (L'essenza del cristianesimo; 2a ed. 1842)


Come ha scritto, in modo tagliente, Eric Margolis, caposervizio esteri del Toronto Sun, il "massacro di Piazza Tiananmen" è diventata una causa celebre tra la sinistra e i letterati alla moda, che non hanno mai perdonato i governanti cinesi di avere "abbandonato il socialismo." 
Justin Raimondo (1999)

La cosa un pochino singolare è che i cinesi sono percepiti a sinistra come dei febbrili consumatori del tutto occidentalizzati, ad esempio, i “maledetti cinesi” che hanno “cinquecento milioni di febbrili e decerebrati consumatori” (Umpiérrez Sánchez 2005). Magari poi ci si lamenta perché i cinesi non sviluppano il mercato interno. Insomma tutto e il contrario di tutto. L'argomento dei cinesi occidentalizzati è uno dei miti più persistenti quanto infondati tra i pseudo esperti della Cina.
Giustamente Berthold rileva che il consumo non è monopolio dei paesi avanzati e dei capitalisti e che la presenza di shopping center non significa che i cinesi siano consumisti o “capitalisti” come predicano gli ingenui missionari della decrescita. Perché gli shopping center dovrebbero essere monopolio dell'Occidente e per quale ragione i cinesi dovrebbero frequentare piccoli negozi. Non è affatto un male che i cinesi possano acquistare di tutto dato che uno degli elementi che fecero crollare i paesi socialisti fu proprio la mancanza di merci di buona qualità e a buon mercato. Certo c'è anche il lusso ma continua Berthold che non si vede la ragione per la quale se uomini d’affari stranieri o anche cinesi vogliono macchine lussuose non possano comprarle poiché lo stato preleva forti tasse sui prodotti di lusso. Denaro che ritorna alla collettività” (Cannaerts 2004).

Parafrasando Feuerbach si potrebbe dire che comunisti ricchi (dell'Occidente) sognano un comunismo povero, i comunisti poveri sognano un comunismo ricco. Almeno a sentire certi ragionamenti neo pauperistici, anticonsumistici e sostanzialmente neo-malthusiani in voga presso la sinistra occidentale. Lenin rileva atteggiamenti simili anche nella Russia Sovietica e scrive: “Noi siamo costretti, ed io specialmente per le mie funzioni, a udire ogni giorno molte fandonie comuniste dolciastre, e talvolta ci si sente mortalmente nauseati”. Ci sono persone che “si atteggiano a quasi comunisti, sicché da lontano non si distingue se credono in dio o nella rivoluzione comunista" (Lenin 1922b, p. 260).

Bisogna considerare che lo stesso welfare state in Occidente e l'aumento della capacità d'acquisto dei lavoratori sono stati in gran parte conquiste ottenute dalla presenza di forze sindacali comuniste e socialiste. Ha ragione il sinologo americano Victor Lippit quando sostiene che la modernizzazione della Cina richiede una maggiore integrazione con il sistema mercantile mondiale. Inoltre egli ritiene che il capitalismo dovrà svolgere il suo ruolo storico prima di essere soppiantato e che il welfare state nella varietà continentale europea può essere la cosa migliore che si possa fare al momento in Cina. E' singolare che teorie anticonsumistiche legate alla “decrescita felice” si siano innestate nel comunismo, una teoria che ha come conditio sine qua non l'abbondanza dei beni prodotti.

Contro Lippit polemizzano Hart-Landsberg e Burkett. La loro posizione è interessante perché rappresenta sotto molti aspetti la tipica critica fatta da intellettuali occidentali alla Cina. Essi hanno una soluzione generale per tutto e per tutti ossia la “worker-community-centered economy”, una formula vaga e astratta che non è dato sapere da quale esperienza storica discenda (Hart-Landsberg 2008). Quanto riporta Martin Hart-Landsberg, un intellettuale rappresentativo del punto di vista della sinistra liberatario-populista occidentale, rileva come nei paesi socialisti o avviati verso il socialismo ci sia interesse reale verso l'esperienza cinese:
Mentre la maggior parte degli intellettuali di sinistra sono ormai critici della strategia cinese delle riforme del mercato, un numero significativo di difensori restano. La gente vuole credere che vi siano alternative praticabili al neoliberismo, e la fede nella natura progressiva della trasformazione sociale della Cina è senza dubbio incoraggiata dal fatto che la Cina continua ad essere demonizzata dal governo degli Stati Uniti, la Cina fa prestiti, investe e commercia con Cuba e Venezuela, e il Partito comunista cinese ancora governa e annuncia pubblicamente il suo impegno per il socialismo. Più in specifico, ho partecipato a conferenze e convegni internazionali in cui gli economisti cubani e venezuelani sostenevano la strategia cinese delle riforme del mercato e hanno sostenuto l'adozione di politiche simili nei loro paesi. I difensori del processo di crescita cinese continueranno a sostenere la loro posizione su numerosi forum di discussione della sinistra su internet. La rivista Critical Asian Studies non ebbe difficoltà a organizzare una tavola rotonda in cui diversi redattori della rivista erano in disaccordo con la critica dell'esperienza cinese di riforme del mercato fatta da me e da Paul Burkett nel nostro libro China and Socialism, Market Reform and Class Struggle. Inoltre, studiosi ben noti come Giovanni Arrighi, David Schweickart, Immanuel Wallerstein continuano a pubblicare articoli e libri in cui si celebra l’ascesa della Cina come potenza non-capitalista e socialista. Per un esempio recente di tali scritti vedi Giovanni Arrighi, Adam Smith a Pechino (Hart-Landsberg 2008).
Negli anni ’60-70 la Rivoluzione Culturale esercita un certo fascino tra gli intellettuali occidentali per i suoi tratti egualitaristi basati sulla mobilitazione di massa e sugli incentivi morali al posto di quelli materiali [1]. Le tesi come quelle sostenute da Hart-Landsberg e Burkett vorrebbero una società comunista senza se e senza ma in un’economia caratterizzata dalla scarsità dei beni, la qual cosa ha a che fare con il marxismo quanto i fioretti di S. Francesco. Domenico Losurdo concentra l’attenzione proprio sulla percezione della Rivoluzione Culturale in Occidente sottolineando come in Cina essa abbia avuto come parola d’ordine «Fare la rivoluzione e stimolare la produzione» mentre tra i marxisti occidentali la seconda parte sia tralasciata. Lin Piao ribadisce ancora al IX Congresso del partito nel 1969 che “La Grande rivoluzione culturale proletaria costituisce una potente forza motrice per lo sviluppo delle forze produttive sociali nel nostro paese”, e sottolinea i successi economici nei campi della produzione agricola, industriale, nella scienza e nella tecnologia. Secondo quanto approvato dal congresso che, occorre sottolinearlo avviene al culmine della Rivoluzione Culturale: "Dobbiamo sviluppare appieno l'iniziativa e la creatività rivoluzionaria delle masse popolari delle varie nazionalità, fare con fermezza la rivoluzione e stimolare con vigore la produzione, e adempiere e superare il piano di sviluppo dell'economia nazionale". Altro che decrescita felice qui poco ci manca che ci si appelli allo stakanovismo. L’accusa nei confronti di Liu Shao-chi è quella di appoggiare il socialismo a passi di lumaca. Ossia l’accusa classica che Stalin riservava a Bucharin. Lin Piao riprende sostanzialmente la parola d’ordine del Grande Balzo in Avanti di raggiungere il livello di sviluppo dei paesi avanzati in breve tempo. In effetti, il "socialismo" che secondo gli intelletuali di Margolis i dirigenti cinesi hanno abbandonato è quello della Rivoluzione Culturale, per di più come venne percepita in Occidente, ossia nella sua componente anarcoide. la Comune di Shanghai.
Certo Mao con il Grande Balzo in Avanti ha presente marxianamente la necessità dello sviluppo delle forze produttive. Non ripropone certo il socialismo della miseria. Tutt'altro, egli vorrebbe portare la Cina al livello della Gran Bretagna in dieci anni. Purtroppo Mao pensa che cambiando i rapporti di produzione si svilupperranno anche le forze produttive mentre per Marx è il contrario (Franssen 2007). Deng invertirà il discorso. Per lui i rapporti di produzione cambiano con lo sviluppo delle forze produttive e per questo ci vuole tempo. La Rivoluzione Culturale, con la sua eredità di ultra-sinistrismo, frazionismo, e misure estremiste, ha lasciato, alla sua conclusione, i comunisti cinesi in una situazione difficile. I tentativi di imporre rapporti di produzione avanzati a persone che non erano pronte hanno danneggiato l'economia durante il Grande Balzo in Avanti; tentativi analoghi durante la Rivoluzione Culturale hanno portato ad una crisi sia nell'industria che nell'agricoltura. Solo grazie ad alcune misure drastiche che furono intraprese per portare la campagna a risollevarsi, l’alleanza operaio-contadina, che è il fondamento del potere popolare in Cina, ha potuto reggersi.

Sebbene la tendenza egualitarsita sia stata forte durante la Rivoluzione Culturale, l'egualitarismo assoluto e nla mancanza di stimoli materiali è sostanzialmente un mito. Scriveva John K. Galbraith in un rapporto sull'economia cinese pubblicato dall'Espresso nel 1972:
Da noi (in USA) gli incentivi pecuniari e principalmente il desiderio di far soldi, vengono ampiamente celebrati. I cinesi non hanno rifiutato gli incentivi pecuniari. Circa l'ottanta per cento della popolazione è ancora collegata all'agricoltura,: Le squadre di produzione, che costituiscono le unità di base delle comuni popolari, vengono pagate per ciò che guadagnano, detratti i costi e le imposte, e la produzione viene suddivisa tra i membri a seconda delle ore di lavoro prestate, computo che viene modificato da un sistema di punti basato sull'abilità, la forza fisica e l' "attitudine al lavoro" ossia sul quanto sono diligenti o pigri. Chiaramente i cinesi si fidano fortemente, più fortemente che nelle altre economie socialiste, dell'organizzazione. Il sistema economico è un grande battaglione nel quale alcuni conducono, molti rispondono e viene dato grande rilievo al senso di motivazione dei soldati. L'organizzazione è per sua natura gerarchica, contenendo in sé un sistema di classi in cui alcuni comandano e molti assentono (Leftcom 1972).
Continua Galbraith che riferisce ciò che gli dice un dirigente di fabbrica, i livelli salariali degli operai sono otto. Il guadagno minimo mensile è di 34 yuan (ogni yuan equivale a 270 lire italiane del tempo ovvero a circa due euro attuali), il massimo è di 108 mentre i dirigenti di partito guadagnano 200 yuan al mese. I giovani apprendisti guadagnano 16 yuan al mese per i primi due anni. La media salariale nella fabbrica in questione è di 68 yuan (quattro euro attualizzati). Questo nel 1972  dopo anni di Rivoluzione Culturale. Mentre nel saggio cult per i seguaci occidentali della Rivoluzione Culturale, Il socialismo in Cina di Bettelheim-Charrière-Marchisio, del 1966 quindi agli inizi di quell'avvenimento, si dice che i livelli sono otto gradini che vanno da 40 a 120 yuan mensili, mentre il salario medio è fra i 70 e gli 80 yuan. I tecnici guadagnano fra i 60 ed i 100 yuan mensili, mentre in una grande officina di concimi di Shangai, l'ingegnere-capo riceve 250 yuan al mese e i direttori da 120 a 180 " (Leftcom 1972). La stessa cosa riferisce Jacoviello nel In Cina due anni dopo (Jacoviello 1973) Dunque c'è poca differenza tra il prima e il dopo della Rivoluzione Culturale almeno nel livelli salariali. Rispetto ad ora c'è semplicemente un baratro negli stipendi. Gli stipendi minimi a Pechino sono 90 volte superiori e quelli medi più 100 volte.
In realtà i livelli retributivi erano addirittura aumentati rispetto all'inizio degli anni sessanta. Infatti, Mende parla di sette livelli salariali (Mende 1962) e sempre di sette livelli si parla nella Risoluzione su alcuni problemi concernenti le comuni popolari che è della fine del 1958 (Leftcom 1972). I critici della sinistra radicale come Hart-Landsberg e Burkett sostengono che la Cina di Mao fosse egualitaria più dell Russia staliniana dove proliferava la burocraiza e il "capitalismo di stato" (categoria  bastarda il cui uso abbiamo criticato qui). In realtà l'Unione Sovietica era più egualitaria della Cina che "non era più egualitaria dell'Unione Sovietica in questo periodo, e in realtà lo era meno in alcuni aspetti importanti. Nella metà del 1950, la Cina ha istituito un salario e la struttura degli stipendi in imprese di proprietà statale modellata su quella dell'Unione Sovietica, e che la struttura è stata mantenuta per tutta l'era di Mao. Il rapporto tra reddito del grado superiore di amministrazione al più basso della classe operaia di grado era di 15 a 1" (Market Reform. 2006).

Ritratto di Stalin in un ristorante cinese
Come ben ricordava Stalin ancora nel 1952 parlare di soppressione del mercato nel socialismo è irrealistico. Quello che si può fare in una situazione di scarsità di beni quale quella cinese è al massimo emulare il mercato. Infatti in Cina ai tempi della Rivoluzione Culturale:
Le decisioni riguardanti la produzione vengono prese in relazione alla domanda di consumi, riflessa tramite una grossolana approssimazione al sistema ordinario dei prezzi. I prezzi vengono stabiliti in linea con i costi medi con un supplemento (specifìcatamente non in relazione con i costi) per la qualità più elevata. Sui capitali in prestito vengono addebitati interessi. Attualmente i tassi sono del 5,04 per cento per gli stabilimenti industriali e commerciali; 4,56 per cento per le comuni; 1,216 per cento per lavori di costruzione ed irrigazione di basilare importanza. La Banca del Popolo paga il 3,24 per cento sui depositi vincolati. [...] Stabiliti i prezzi, ciò che la gente compra determina ciò che viene prodotto (Leftcom 1972).
I quanto alla pianificazione e il sistema centrale dei prezzi riguardano solo 300 merci fondamentali:
I prezzi di circa trecento prodotti ricadono sotto la giurisdizione del governo centrale. Per gli altri, i prezzi vengono stabiliti dalle autorità della programmazione, statali o locali, ma i "bruschi cambiamenti" devono essere riferiti al governo centrale. Nell'agricoltura la produzione è organizzata dalle comuni popolari che, come i kibbutz israeliani, svolgono una attività industriale collaterale. Altrove lo strumento di base è la azienda familiare ed universale (Leftcom 1972).
La Cina dell'inizio degli anni '70 non era dunque propriamente il regno dell'egualitarismo assoluto e tanto meno della pianificazione totale. In realtà come rileva Jabbour le concezioni che si sono confrontate in Cina sono radicate nella millenaria tradizione del paese asiatico e difficilmente “esportabili”. L'egualitarismo maoista ha a che vedere con le comunità agricole influenzate dal Taoismo mentre la concezione di Deng Xiaoping è segnata dal culto dell’accumulazione anch'essa radicata nella tradizione del paese  (Jabbour 2008a).
Per Mao, rileva Losurdo, è importante la lotta contro le diseguaglianze all’interno, ma come abbiamo visto, forse anche di più le diseguaglianze esterne tra le nazioni perché il destino della Cina è di tornare a essere una nazione potente e rispettata annullando il gap con le nazioni avanzate. (Losurdo 2008).Il travisamento completo del patriottismo maoista lo possiamo vedere in un articolo di Lidia Menapace che attribuisce a Mao “l’internazionalismo pratico che afferma non potersi né volere in Cina puntare su un miglioramento delle condizioni di vita del popolo, una volta raggiunto il minimo vitale («un pugno di riso al giorno per tutti e tutte, un paio di sandali per ogni paio di piedi, una casa su tutte le teste») fino a che non si potesse procedere insieme agli altri popoli poveri” (Menapace 2009). E’ abbastanza improbabile che Mao possa avere fatto un’affermazione simile ma indubbiamente così fu visto il maoismo in Occidente adeguandolo alle concezioni che nel mentre la sinistra radicale elaborava (decrescita felice, anticonsumismo fondato sulla controcultura ecc.). 

La Rivoluzione Culturale dal punto di vista della sinistra occidentale liberario-populista è un episodio dell’eterna lotta tra le masse (pure) e il potere (corrotto-burocratico-revisionista impuro e frutto del tradimento). Mentre gli intellettuali dovrebbero esercitare unicamente la critica. Scrive ancora Losurdo:
... il marxismo occidentale ha finito col rappresentare involontariamente due fondamentali figure della filosofia hegeliana: nella misura in cui si appaga della critica e anzi nella critica trova la sua ragion d’essere, senza porsi il problema di formulare alternative percorribili e di costruire un blocco storico alternativo a quello dominante, esso è l’illustrazione della saccenteria del dover essere; allorché poi gode della lontananza dal potere come di una condizione della propria purezza, esso incarna l’anima bella. Forse non è un caso che ai giorni nostri riscuota grande successo a sinistra un libro che già nel titolo invita a «cambiare il mondo senza prendere il potere». L’autodissoluzione del marxismo occidentale si configura qui come l’abbandono del terreno della politica e l’approdo alla religione  (Losurdo 2008 ).
La radice libertario-populista è evidentissima nell’interpretazione della Rivoluzione culturale. Edoarda Masi la legge come una reazione al corpo dei mandarini formatosi a causa del modello istituzionale e all’interferenza diretta dell’URSS (certo un’interpretazione stravagante). Mao non avrebbe potuto impedire che “l'esercito guidasse le milizie contadine a far strage di giovani studenti e operai essi si sentirono traditi e fu la disperazione: la loro rivolta parve diventare l'occasione per uno dei tanti vuoti slogan” (Masi 2006). Beh a quanto risulta non è che non abbia saputo impedirlo piuttosto è stato lui a chiamare l’esercito anche perché pare che lui stesso fosse diventato un obbiettivo per gli studenti anarcoidi. Inoltre le varie fazioni di Guardie Rosse erano spesso in lotta tra di loro in una vera guerra per bande. D’altra parte non si vede cosa ci sia di così particolarmente rivoluzionario nel fatto che studenti giovanissimi e brufolosi vadano a molestare i veterani della lunga marcia (solo dei burocrati potevano marciare a piedi per migliaia di chilometri). Il sessantottismo riprende dalla Rivoluzione Culturale uno dei quattro elementi di cui era costituito ovvero il giovanilismo ossia la credenza che i giovani in quanto tali abbiano sempre ragione. Gli altri tre elementi li abbiamo visti o li vedremo sono il minoritarismo, il populismo e la controcultura. Alcune delle storie delle ex Guardie Rosse sono significative. Nie Yuanzi autrice del primo datzebao oggi è una supporter della “democrazia occidentale” dopo avere passato in galera 18 anni. Song Binbin che consegnò a Mao la fascia di Guardia Rossa fu letteralmente sconvolta dall’assassinio a bastonate, avvenuto nella sua scuola, del segretario del Partito, l’insegnate Bian Zhongyun, da parte delle Guardie Rosse. Naturalmente ciò che ha portato alla distruzione di questo mondo idealizzato è il “mercato”, qualsiasi cosa si intenda con questo termine:
Li ha spazzati via, divorando la stessa borghesia, un padrone anonimo come Dio indiscutibile e onnipotente, che chiamano "mercato" per non usare il termine "capitale", che sarebbe più corretto. Il padrone anonimo domina oggi nel mondo, semina degrado dolore e distruzione anche nei paesi che avevano cercato la via socialista; anche in Cina, dopo che, con la morte di Zhou Enlai e di Mao Zedong, ebbero fine le lunghe lotte con cui prima, durante e dopo la rivoluzione culturale, si era tentato disperatamente di bloccarne l'ingresso. Si era arrivati, da parte dei rivoluzionari cinesi, a riconoscere il dominio effettivo del capitale anche nell'Unione Sovietica staliniana e brezneviana (le stesse conclusioni alle quali, per altra via, è giunto Istvan Meszaros); e ad attaccare quanti, nel Pcc, intendevano seguirne la strada: quelli che oggi sono al potere. Come già da un pezzo e ripetutamente è stato dimostrato, il degrado e la distruzione, l'allargamento oltremisura della forbice che divide i ricchi dai poveri, la stratificazione sociale sempre più rigida, la perdita di ogni reale cittadinanza da parte dei poveri - la stragrande maggioranza - non sono fenomeni marginali, difetti ai quali porre un rimedio, nè residui di un passato di "arretratezza" da superare, ma il risultato del meccanismo universale in atto e la condizione stessa della sua esistenza. Rapidamente avanzano dalla periferia verso il cuore delle metropoli: chiunque non sia del tutto cieco ne fa esperienza quotidiana (Masi 2006).
La verità è che Rivoluzione culturale ha lasciato un gran numero di persone confuse e demoralizzate. Questa alienazione, o "crisi di fede", come è stato talvolta chiamato alla fine del 1970, ha colpito particolarmente i giovani. La cosa è abbastanza naturale in quanto ci si rese conto una serie di convinzioni profondamente radicate che si erano forgiate in un altro periodo erano sbagliate, e hanno causato danno alla Cina. Circa 700.000 persone furono perseguitate in un modo o nell’altro tra il 1966 e il 1976, e ora la gente si rendeva conto che era stato un errore (Zhao Ziyang 2009)[2]. Non è sorprendente che un certo numero di sondaggi d'opinione pubblica nei campus universitari nei primi anni 1980 abbiano rivelato che una parte consistente di studenti non si consideravano marxisti. Già durante la prima ondata di manifestazioni studentesche che risalgono al 1986 era abbastanza chiaro quale fosse l’idea del movimento studentesco (Wang Hui 2002). Wang Hui rileva indubbiamente una caratteristica che portò gli intellettuali ad appoggiare le manifestazioni di Tienanmen: “Per la generazione che è cresciuta dopo la rivoluzione culturale, l'unico sapere che sia valido viene dall'Occidente, o più esattamente dagli Stati Uniti” (Wang Hui 2002). In effetti, i fatti di Tienanmen furono intrisi di filo-occidentalismo ma la situazione mutò radicalmente in seguito, paradossalmente mentre la Cina si apriva sempre più al mondo.

Abbiamo visto l’elitarismo del movimento studentesco. Ciò era già chiaro nei suoi vagiti del 1986 quando si susseguono una serie di manifestazioni studentesche che anticipano l’ottantanove: "Che diritto ha la classe operaia di esercitare la leadership su tutti gli altri? Nella nuova rivoluzione democratica e la rivoluzione socialista in Cina, quanti dei leader rivoluzionari sono venuti dalla classe lavoratrice? Ora gli intellettuali sono stati designati come parte della classe operaia, questo non è corretto. Nel nostro paese, le classi sono state eliminate, e non c'è più bisogno di differenziare le persone in classi. Ora, in Cina, le persone non sono differenziati in base allo stato di classe, ma per livello di istruzione. Chi ha la possibilità ha il diritto di dirigere." Studenti del Dipartimento di Scienze Sociali presso l'Università dello Zhejiang parlano sulle cause della manifestazione degli studenti, Guangming Ribao cit. in (Kelly 1992). L’aspirazione è verso la democrazia di tipo occidentale: "Assumendo una visione ampia delle cose nel mondo, troverete la democrazia è un processo storico irreversibile. Essa ci obbliga a riflettere, quando si vede la differenza nella velocità di aggiornamento sulle due facce del 38° parallelo [Corea ], il muro di Berlino, e lo stretto di Taiwan. La marea della democrazia inevitabilmente spazzerà via tutti i conservatori, e la ruota massiccia della riforma, certamente farà crollare i piccoli rettili che osano resistere al progresso".  - Volantino degli studenti dell'Università Cinese di Scienza e Tecnologia. cit. in (Kelly 1992) e verso la proprietà privata: "Quale è lo sbocco della Cina? Il sistema della proprietà privata! La proprietà privata di una libera economia e una società basata su un'economia di mercato". Volantino degli studenti in Università Jaiotong (Kelly 1992). Liu Xiaobo, premio Nobel per la Pace nel 2010 è stato identificato come "uno dei pochi" che ha saèuto manipolare il movimento degli studenti, un paio di parole su di lui sono indispensabili. Nel 1988, in un articolo firmato, Liu ha scritto che lui era a favore delle ”quattro sostituzioni" che erano "L'assolutismo del partito unico, può essere sostituito solo dal sistema democratico multipartitico, la proprietà pubblica e l’economia pianificata dalla proprietà privata e dell'economia di mercato, il pensiero monistico dalla libertà di espressione pluralistica e l'ideologia e la cultura tradizionale cinese da parte della moderna  cultura mondiale (occidentale) " (Kelly 1992).

I collegamenti tra Piazza Tienanmen e la Rivoluzione Culturale così come furono visti in Occidente dalla sinistra sono assai aleatori al di là degli elementi di diffamazione per gente che aveva già subito la stessa sorte negli anni '60. Hu Yaobang, cui si richiama il movimento studentesco fu una vittima della Rivoluzione Culturale, viene allontanato dalla segreteria del Partito durante la campagna contro il “liberalismo borghese” per essere troppo favorevole all’occidentalizzazione della Cina. Deng Xiaoping così si esprime nell’aprile del 1985: "Dopo la caduta della Banda dei Quattro, una tendenza ideologica è apparsa che noi chiamiamo liberalizzazione borghese. Suoi esponenti adorano la 'democrazia' e la 'libertà' dei paesi occidentali capitalisti e respingono il socialismo. Questo non può essere consentito in Cina. La Cina deve modernizzarsi, ma non deve assolutamente liberalizzarsi o prendere la via del capitalismo come i paesi occidentali hanno fatto. Gli esponenti della liberalizzazione borghese che hanno violato la legge statale devono essere trattati con severità" (Kelly 1992). In teoria proprio Deng avrebbe dovuto rappresentare la sinistra. Comunque è singolare che la sinistra inveisca contro Deng. Ad esempio prendiamo un discorso di Deng Xiaoping sulla riforma economica: "La riforma è l'unica strada" dove dichiara:  "Nel corso della riforma è necessario che noi per mantenere il nostro orientamento socialista. Stiamo cercando di realizzare la modernizzazione in industria, agricoltura, difesa nazionale, e la scienza e la tecnologia. Alla parola 'modernizzazione' però vi è da aggiungere la parola 'socialista'. Le politiche di rinvigorimento della nostra economia nazionale e l'apertura verso il mondo esterno sono stati effettuati in conformità con i principi del socialismo. Il socialismo ha due requisiti importanti. In primo luogo, l'economia deve essere dominata da proprietà pubblica, che può consistere di proprietà di tutto il popolo o la proprietà da parte della collettività. La nostra economia di proprietà pubblica influisce per oltre il 90% del totale ... Il secondo requisito è che non ci deve essere polarizzazione tra ricchi e poveri. Se c'è, le riforme sono state un fallimento ... " (Kelly 1992). Sebbene la sinistra abbia collegato la sommossa dell'89 con la differenziazione dei salari a seguito della riforma ci sono indicazioni invece che famosa “ciotola di ferro” ovvero il dare a tutti indipendentemente dal lavoro svolto, addirittura fosse ancora forte non solo nel 1989 ma anche oltre. Ad esempio, il Segretario Generale del PCC del dopo Tienanmen Jiang Zemin scriveva qualche anno dopo i fatti di Tienanmen: "Il malcostume ostinato dell’egualitarismo non è stato eliminato, ma è addirittura aumentato e ampliato in alcuni dipartimenti e sfere. Il problema è particolarmente evidente nella distribuzione delle retribuzioni nelle imprese e nelle istituzioni statali. Soprattutto le disparità salariali tra il personale si stanno riducendo di giorno in giorno". Jiang passa quindi a citare un mix di professioni in cui le differenze salariali si stanno restringendo (Kelly 1992).

Mentre alcune persone potrebbero pensare che questo egualitarismo sia sano, in realtà non lo è. Significa che le persone che svolgono lavoro specializzato o complesso ricevono salari, benefici, ecc, simili a quelli con una formazione minore e molta meno esperienza. Il risultato è la scarsa motivazione per le persone a sviluppare nuove competenze, e coloro che le hanno tendono a regredire (Kelly 1992). Sono cose palesi nell’esperienza comune della gente in Occidente. Sembra tuttavia che per la sinistra occidentale il socialismo debba essere una sorta di paese dei balocchi in cui sono annullate tutte le esperienze quotidiane. La teoria prediletta di alcuni esponenti della sinistra occidentale è che i lavoratori cinesi fossero furiosi perché la ciotola di ferro (garanzia di posti di lavoro, dei salari, dei benefici indipendentemente dal lavoro svolto) viene distrutta, mentre la leadership conserva una ciotola d'oro di riso per se stessa. La cosa che accumuna la sinistra occidentale e “gongzillan” è il populismo e la demagogia spicciola. Non c’è dubbio che alcuni lavoratori in Cina fossero timorosi del programma di riforma dei salari, ma ci sono buone ragioni per credere che la maggior parte lavoratori dei cinesi non vedessero le cose in quel modo. Per prima cosa, non si può davvero dire, come abbiamo visto, che la ciotola di riso di ferro sia stata distrutta, e per un altro, ci sono dati disponibili su come i lavoratori cinesi hanno visto la riforma dei salari. L'indagine condotta dai sindacati dalla Federazione dei Sindacati Cinesi indica che la stragrande maggioranza dei lavoratori ha avuto un’impressione positiva del programma di riforma dei salari, anche se le ragioni sono varie. Circa il 67% approva, a condizione che il divario retributivo non fosse "troppo grande". Un altro 22% è favorevole perché crede che ciò porti ad un aumento del salario che compensi l'inflazione. Circa il 7% si oppongono, ritenendo che non sarebbe corretto per l'unità dei lavoratori e ciò avrebbe invece portato alla concorrenza tra i lavoratori stessi (Kelly 1992). Sono disponibili informazioni statistiche anche su ciò che pensano i membri del Partito, come risultato di una vasta indagine condotta dalla Federazione dei Sindacati. Da una parte, circa il 5,5% "ha un atteggiamento negativo verso la difesa dei quattro principi cardinali." Circa il 20,5% vede la riforma come una ”forma di capitalismo, o qualcosa dal carattere incerto e impuro." Teoricamente quindi dovrebbe esserci un’opposizione da “destra” e da “sinistra” sebbene fortemente minoritaria (Kelly 1992). La riforma dei salari, è stata fatta pienamente nel segno del marxismo ovvero: "Da ciascuno secondo le proprie capacità, a ciascuno secondo il proprio lavoro." Durante il periodo del socialismo, chi lavora di più, e sviluppa le sue capacità professionali deve essere pagato di più ovvero a uguale lavoro uguale salario. Siccome il lavoro è nella fase del socialismo necessariamente diseguale anche il salario lo sarà. Un altro modo per dirlo è che gli incentivi materiali devono essere utilizzati per stimolare la produzione.

Il "marxismo occidentale" è stato molto più influenzato
 da Woodstock che da Marx
Anche prima della riforma in realtà le cose funzionavano praticamente in questo modo: "in misura crescente, l'unità produttiva è la squadra di produzione che conta 150-200 membri, che stabilisce i compiti di ciascun lavoratore. In essa, secondo il principio neo-socialista (per usare le parole di uno dei nostri interlocutori) per cui "ciascuno fa del suo meglio - ciascuno secondo il proprio lavoro", viene stabilita la misura del compenso individuale. Le imposte sulle comuni rimangono fissate in un ammontare stabilito e pertanto diminuiscono in proporzione all'aumento della produzione. Attualmente esse sono in media dell'8 per cento. Dopo le deduzioni dagli introiti dell'1 o 2 per cento per la conduzione, dal 5 al 7 per cento per spese di assistenza ed accumulazione di capitale, nonchè il costo dei fertilizzanti ed altre spese in denaro, le entrate vengono divise tra le squadre secondo la loro produzione; e all'interno delle squadre, come già detto, secondo la quantità e la qualità del lavoro dei singoli membri"(Leftcom 1972).
Ma le ragioni e i torti dell’egualitarismo a parte, la realtà il divario salariale era in calo, unito al fatto che non vi è stato alcun reale cambiamento del grado di sicurezza del lavoro (licenziamenti e cassa integrazione sono ancora quasi sconosciuti), che potesse mettere in discussione la "ciotola di ferro" (Kelly 1992). Beh se il 90% dell’economia era nelle mani del settore socialista e sostanzialmente la differenziazione dei salari era abbastanza bassa, contro chi protestavano i “rivoluzionari” di Tienanmen. E’ chiaro che si tratta di una domanda retorica perché questi rivoluzionari non volevano affatto il socialismo. Lo hanno detto prima, durante e anche dopo. 


La controcultura americana ha influenzato molto
la percezione del marxismo nella generazione del  sessantotto
Questa sinistra liberario-populista ha cominciato a demonizzare la Cina molto prima di quanto non abbiano fatto i paesi occidentali. Se in questi ultimi, come abbiamo visto la demonizzazione avviene particolarmente dopo Tienanmen, nei primi è iniziata già nel 1978 appena i cinesi hanno cominciato a parlare con la lingua biforcuta del demonio: il “mercato”. Certo i dottrinari cercando rifugio in Marx possono asserire che il socialismo è contrario alle categorie di mercato. In astratto non sarebbe sbagliato, ma occorre vedere se ciò avviene all'inizio o alla fine di un processo storico e comunque la storia, la dialettica e la pratica concreta ci portano sempre nuove insidie e queste ci spingono forse a una comprensione maggiore dello stesso Marx (Lerouge 2007). La dissoluzione del mercato avverrà per Marx in quello che Losurdo chiama il futuro utopico dopo che si è dispiegato al massimo proprio il mercato e la produzione industriale. Per il resto Marx pensa al mercato come gestore della scarsità che sarà superato solo dalla libertà dal bisogno ovvero dal regno dell’abbondanza. Lenin durante la Nep è certamente favorevole al mercato e respinge fermamente le obbiezioni dell’estrema sinistra divenuta la sua bestia nera, per non parlare di Stalin per cui il mercato è uno strumento che può essere utilizzato sia dal socialismo che dal capitalismo. Se poi ci aggiungiamo la polemica jugoslava contro la dittatura dell’offerta, le analisi di Oskar Lange e l’implementazione del socialismo di mercato in Polonia e Ungheria scopriamo che quest’ossessione anti-mercatista non è bene assodata tra i marxisti e non deriva dal comunismo storico, ma si deve ricercarne le radici piuttosto nella “controcultura” degli anni ’50. Era stato il vecchio maestro di Lenin ossia Karl Kautsky (La rivoluzione del Lavoro, 1922) che aveva criticato l'utopia dell'economia naturale senza moneta che era uno degli obbiettivi della “opposizione operaia” contro la Nep promossa da Lenin. Egli sosteneva che in una situazione ancora caratterizzata dalla scarsità dim merci ciò si potesse realizzare solo nel caso ci fosse una sola azienda centrale che assegna i compiti a ciascuna impresa e nel contempo raccolga tutti i prodotti e li distribuisca a ciascun consumatore. Kautsky paragonava una simile società ad una società carceraria. (Jabbour 2005). L'antimercatismo nato in ambiente libertario porta come conseguenza al più bieco "totalitarismo".

Come ben hanno dimostrato Joseph Heath e Andrew Potter, in The Rebel Sell si è formata una grande onda di controcultura che combatte questo mondo apparentemente dominato dalle multinazionali, ma non lo combatte più con una contrapposizione di tipo marxista, bensì con fenomeni e movimenti legati alla controcultura. La controcultura è un pezzo della cultura, un pezzo del sistema, funzionale ad esso tanto da trasformare le proprie mode in beni di consumo non appena diventano di successo. La conrtrocultura è dunque apparentemente anti-sistema (Heath e Potter 2002). Non c’è dubbio che il pensiero controculturale abbia avuto un'influenza enorme sulla sinistra, e che tale influenza non sempre è stata positiva.

Il "movimento" ha inseguito
tutti i movimenti minoritari
Negli anni ‘60 i militanti politici, per i diritti civili (gay, femministe), il movimento contro la guerra nel Vietnam e la controcultura si considerassero ancora abbastanza distinti ma con gli anni ’70, il riflusso, la scoperta del privato e via dicendo è sempre più difficile trovare differenze tra i due movimenti. La controcultura degli anni ‘50, ’60 è abbastanza vicina alle origini della “beat generation” per poi diventare un movimento eclettico caratterizzato da afflati mistici (buddismo, guru, viaggi in India ad esempio) fino all’interesse per fenomeni occulti e magici, uso di droghe e via dicendo come sintetizzato nel movimento hippie, l'anticonsumismo ecc. La controcultura diventa sempre di più rifiuto del sistema ed anzi antagonismo assoluto come nei fenomeni rap e gangsta. La base della convergenza è l’odio per il sistema caratterizzato dal mercato. La rivolta individuale contro il sistema in realtà dicono Heath e Potter non lo scalfisce perché 'il sistema' non è qualcosa che cerca la conformità, ma piuttosto il contrario, cerca l'individualità e il concorso per distinzione. Il sistema capitalista, non sta cercando di soffocare l'individualità, ma è piuttosto una forza di distinzione sociale a guidare il mercato. Spesso gli elementi controculturali diventano mode perfettamente inserite nel mercato una volta che diventino di successo.
La commistione con la controcultura ha portato alla banalizzazione dei concetti marxisti nella sinistra radicale libertaria. Come sottolineava Lenin "la storia è stata scritta in questo modo! La grande dottrina rivoluzionaria è stato distorta in concetti volgarizzati".


Bibliografia

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Heath, Joseph, and Andrew Potter. 2002. “The Rebel Sell”. This Magazine. http://this.org/magazine/2002/11/01/the-rebel-sell/.
Jabbour, Elias. 2005. “O Que é Socialismo De Mercado?”.
Jabbour, Elias. 2008. “Reflexões Sobre a China (final).” Portal Vermelho. http://www.rubro.paginaoficial.ws/coluna.php?id_coluna_texto=1381&id_coluna=17.
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Losurdo, Domenico.2008. Come nacque e come morì il «marxismo occidentale». 15 Gennaio 2008
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Zhao Ziyang. 2009. “Estratti Da Prigioniero Di Stato.” Manifesto Dossier. Tiananmen Vent’anni Dopo.


9 commenti:

  1. buongiorno a tutti,innanzitutto volevo fare i complimenti per il blog:ho letto quasi tutti gli articoli del blog negli ultimi giorni e lo trovo molto interessante,inoltre trovo necessaria la vostra operazione di informazione verso una realtà ai più sconosciuta e soprattutto volutamente bombardata e criticata mediaticamente e non solo,ormai i pregiudizi sono diffusi tra la stragrande maggioranza degli italiani e credo degli europei in generale.Quindi complimenti.Vorrei però muovere alcune critiche,due sono di carattere generale:la prima è che trovo il vostro giudizio sempre "troppo" positivo,capisco la vostra ammirazione per il modello proposto dalla Cina però secondo me sarebbe utile a volte sottolineare anche le cose negative;seconda critica invece è dovuta che al fatto che a mio avviso le critiche rivolte al modello sovietico siano talvolta ingenerose e vadano oltre i reali demeriti dei suoi governi,secondo me per lo meno.
    Nello specifico in questo articolo non mi trovo daccordo sulla "questione del lusso",per carità ben lungi dall'essere un sostenitore del pauperismo o di versioni idealistiche del socialismo,semplicemente il fatto che esistano redditi che si possano permettere beni di estremo lusso significa che c'è margine di prelievo fiscale o di pianificazione per far si che costoro possano vivere bene magari senza una Ferrari da 300.000 euro o magari senza abiti da 10.000 euro a capo,e essere reinvestiti a favore di coloro che ancora vivono "pauperisticamente",la mia critica avviene proprio perchè non voglio un socialismo "della miseria" e non essendo i mezzi di produzione abbastanza sviluppati da poter permettere un lusso diffuso,sarebbe meglio secondo me garantire una base di qualità a tutti i cittadini(o al maggior numero possibile),non parlo di egualitarismo e di assenza di incentivi materiali,sottolineo solo il fatto che in un paese che cammina verso il socialismo mi sembra sbagliato che possano coabitare lusso e disagio economico,e credo che questo errore sia dovuto a una fiducia forse eccessiva nel "bene" del mercato che forse nella visione del partito da mezzo neutrale per l'allocazione delle risorse è passato all'essere visto come "migliore" strumento per la loro allocazione(spero di poter essere smentito).Eccessive disuguaglanza rischiano di portare a differenze di interessi e anche a un "imbastardimento"passatemi il termine dei valori socialisti( i miei ex-coinquilini sono della ex DDR e mi raccontavano di quanto i loro genitori fossero dispiaciuti della perdita delle "vere" relazioni umani instaurate in quel periodo,ormai difficilissime da instaurare nel nuovo sistema).Io credo inoltre che in questo interessante articolo manchi la differnziazione tra consumismo inteso come crecita del benessere ,dei consumi e del livello di vita e qualità della merce con il consumismo inteso come necessità maniacale di consumare prodotti talvolta inutili o comunque non dettata non da reali bisogni ma da necessità di crearsi status symbol.Inoltre non pensate che la creazione di un mercato del lavoro competitivo non possa essere organizzata in maniera tale da renderlo competitivo ma in modo da assorbire completamente la disoccupazione?non sarebbe secondo voi positivo se anche i disoccupati potessero contribuire alla crescita e allo sviluppo delle forze produttive?
    Scusate la mole delle questioni sollevate,ci tengo però a essere ben informato e a conoscere il più possibile sulla questione per potermi creare un punto di vista completo,vedo ottime cose in ciò che sta facendo la Cina ma altrettanti punti rimangono oscuri o comunque non riesco a capire determinate scelte del PCC.
    Cordiali saluti

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    1. Grazie per l'incoraggiamento. In una economia mondiale di mercato chiudersi nel proprio ghetto non è affatto auspicabile perchè ciò assomiglierebbe moltissimo a quella galera di cui parlava Kautsky. Ad esempio per non pagare adeguatamente profumatamente ricercatori, professori universitari, manager bisogna mettere forti restrizioni all'emigrazione verso altri paesi creando un sistema poliziesco. Se invece vuoi che vadano a studiare nelle migliori università stranieri con un altissimo tasso di rientri devi pagarli profumatamente soprattutto se addiruttura vuoi attirare cervelli dall'estero (come sta facendo la Cina)invece di regalare i tuoi stupidamente ai paesi capitalisti. Se vuoi attirare i capitali invece di estorcerli ai tuoi cittadini ad esempio con onerosissime tasse ai contadini come si faceva ai tempi di Mao devi avere un sistema legate fondato sul diritto (anche della proprietà), una tassazione ridotta, mantenendo un debito ridotto dello stato e una bassa inflazione che oltre a danneggiare il lavoratore a reddito fisso allontana anche i capitali stranieri. Se attiri i capitali non vedo perché non dovresti attirare i capitalisti (moltissimi provenienti da Taiwan e Hong Kong che ormai vivono in Cina). Questo a due vantaggi: consumano i loro guadagni in Cina creando ulteriormente posti di lavoro, pagano le tasse in Cina contribuendo al benessere del bilancio statale. E allora perché dovresti proibirgli di comprare una Ferrari in Cina in cui le tasse sul lusso sono salatissime. Con le tasse su una Ferrari ci mantieni 10 scuole in villaggi sperduti del Sinkijang. Magari tutte le Ferrari venissero comprate in Cina!!! Siamo sicuri che se il PdCI o il PRC una volta andati al governo chiedano la chiusura della Ferrari? Sarebbe una misura popolare? Non bisogna chiedere agli altri di fare ciò che noi consideriamo una follia se fatta da noi.
      Naturalmente c'è una ragione se tutti i paesi socialisti cercano di imitare il modello cinese come c'é una ragione se i paesi socialisti europei sono caduti. Perchè sono caduti appunto di Sua Sponte senza complotti interplanetari. Bisogna riconoscere ai paesi socialisti i loro meriti ma anche i loro demeriti e solo un bilancio completo basato sull'analisi obiettiva e non su concetti bastardi come "la burocrazia" o il "capitalismo di stato" che spiegano tutto e quindi non spiegano nulla, usando questo fallimento come insegnamento per il futuro. Critica ogni articolo del blog che ritieni opportuno, ciò ci darà la possibilità di chiarire meglio i problemi

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    2. Piano e mercato: come dimostrerò nell'articolo sulla mano invisibile dello stato la Cina è un paese ancora largamente pianificato e con bassa libertà economica (l'ho già scritto da qualche parte). La genialità sta nel pianificare con mezzi indiretti.
      Disoccupazione. in una larga parte della Cina costiera c+è scarsità di manodopera. La media nazionale per le città è il 4,1% essendo considerato il 3% fisiologico (assenza di disoccupazione involontaria). In ogni caso in Cina c'è un sussidio di disoccupazione e i disoccupati vengono utilizzati per lavori socialmente utili.

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  2. Il mio concetto è,c'è di sicuro ulteriore margine per trattenere e attirare senza lasciare così "in ritardo" un numero comunque ancora consistente di cittadini?Secondo me si.Inoltre non considero il lavoro come una concessione dei capitalisti,se le condizioni sono favorevoli a entrambi bene,se no ritengo non sia giusto assecondare i loro capricci lasciando però indietro una fetta in calo ma comunque consistente di società,penso che un grande stato socialista come la Cina possa permettersi qualche capitalsita in meno e un'ulteriore avanzata della proprietà statale.Per quanto riguarda l'URSS di sicuro nessun complotto internazionale ma un susseguirsi di scelta che quasi volutamente hanno portato al collasso,mi riferisco al periodo Gorbacioviano.Parlando francamente mi sembra che alla questione sociale venga largamente anteposta quella della crescita (non sempre) meramente quantitativa,ancora più francamente parlando del mio caso personale,io vedo nel socialismo una speranza non solo per il mondo in astratto ma anche per la mia vita,e confrontando i problemi miei,dei miei amici dei miei conterranei ecc ecc penso:se ora vivessi in Cina potrebbe capitare di averceli lo stesso(certo con tutte le differenze di un economia in crescita rispetto a una in recessione),penso se fossi nato in Urss magari avrei avuto la stanza o le scarpe diverse(la stanza uguale dato che ora vivo in Lituania in un dormitorio costruito in epoca sovietica ahhaa)però alcuni problemi non li avremmo avuti e magari si sarebbe riusciti ad aprirsi,a crescere materialmente(ripeto ben lontano dal pauperismo e cazzate simili,solo questione di priorità) senza esporsi ad alcune problematiche sociali;allo stesso modo penso ad alcuni aspetti morali causati senza ombra di dubbio dal modo di produzione capitalistico che schifo in Italia e non solo,e penso che magari(non so non ho esperienza diretta a riguardo)li troverei anche in Cina.
    Ho scritto con grande sincerità per far capire cosa muove questi miei dubbi a riguardo,non sono sicuro in parole povere di poter dire se il modello cinese sia auspicabile o no per la "nostra" vita(tenendo ovviamente conto della particolarità nazionali),e non riesco a capire perchè nonostante la grandissima crescita non si riesco/voglia fare il salto di qualità in una direzione marcatamente più "socialista".
    cordiali ssaluti e grazie per la disponiblità

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    1. Avere meno capitalisti significa anche avere, al giorno d'oggi, meno lavoro e avere meno lavoro significa che c'è più concorrenza tra lavoratori e salari più bassi. Al loro posto bisognerebbe creare più cooperative. Senza sviluppo economico, come ha detto giustamente Raul Castro, è illusorio mantenere un welfare state decente. Se si produce poco e male chi è che mantiene i medici, gli insegnati ecc. Se un ingegnere non riesce nemmeno a comprarsi un computer che ingegnere è?

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  3. perchè dev'essere necessariamente poco e male?e perchè meno capitalisti=meno lavoro?la crescita del settore statale non potrebbe garantire quei posti e metterli " al servizio" della produttività di questo settore?
    purtroppo o mi sono espresso male io o sono stato frainteso,ripeto mi sembra scontata la necessità di una crescita della produzione,un'abbondanza di merci ecc ecc mi sembra sbagliato che ancora quest'abbondanza che si sta creando in Cina sia così mal distribuita.E mi viene il dubbio che sia un problema struttrale e non un qualcosa di "passeggero" visto che comunque le disuguaglianze si stanno sì riducendo ma con lentezza e in percentuale bassa.(spero vivamente di essere smentito)
    ciao!

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  4. Il socialismo per Marx non è qualcosa di solo pensato. E' lo sviluppo necessario (ossia oggettivo) della storia. Questo sviluppo necessario deriva dall'analisi scientifica della realtà. Bisogna adottare il metodo scientifico (qualsiasi cosa si intenda con questo termine)per prova ed errore attraverso un'ampia sperimentazione. Dall'analisi scientifica si sa che i paesi più vasti e popolati e più differenziati geograficamente, quelli in più rapida espansione economica, quelli che devono ancora completare la transizione dalla città alla campagna dovrebbero avere le maggiori differenze di reddito. Quindi la Cina dovrebbe essere il paese con le maggiori differenze di reddito del mondo ma non è così. La Cina è solo metà della graduatoria mondiale. Ad esempio storicamente le differenze di reddito sono partite da un differenziale basso all'inizio poi sono progressivamente aumentate per poi diminuire in un secondo tempo ritornando tendenzialmente allo stato iniziale. Cìò dipende da vari fattori lo sbalzo nel livello di istruzione con l'istruzione di massa, il lavoro agricolo è scarsamente remunerativo con aumenti di produttività annuali nettamente inferiori a quello industriale quando si attua una più o meno veloce passaggio a quello industriale è ovvio che il lavoratore della città guadagnerà molto del contadino.Inoltre c'è una tendenza all'inurbazione selvaggia che in Cina per fortune è stata evitata e che crea disagio sociale.
    A volte nella sinistra si pensa all'economia non come una scienza, seppure con molti elementi ideologici, e che dunque si possa saltarne i precetti elementari. Sostituire una analisi empirica della realtà con l'ideologia e il volontarismo ha sempre portato ad immani disastri nel movimento comunista.
    Lo stato deve dominare nei comanding heights come sosteneva Lenin, non deve fare tutto.

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  5. Immagino Lenin si riferisse alla situazione specifica dell'URSS in una determinata fase storica,penso che una volta raggiunto un buono sviluppo delle forze produttive più lo stato "controlla" migliore quantitativamente,qualitativamente e meglio redistribuita sarà la produzione e anche l'ulteriore sviluppo,isolato da logiche di profitto,proseguirebbe meglio la sua crescita.(come ho letto proprio qua anche le aziende statali che operano al di fuori dei comanding heights producono e parecchio bene)Comunque grazie per l'interessante scambio di opinioni,comtinuerò con grande interesse a seguire il blog e non mancherò di diffonderlo!
    ciao!

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Chi siamo

Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.