Benvenuti

Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

sabato 30 novembre 2013

6.4.5: Il paese con la crescita più veloce nel tenore di vita

ì6.4 Verso il benessere


Mai prima d'ora tanta ricchezza è stata creata da così tante persone in un così breve lasso di tempo.

Roderick MacFarquhar (Lorenz e Wagner 2007).

Molti a sinistra condannano la Cina perché ha la pretesa di far star meglio la gente attraverso lo sviluppo economico. Come ben sa la popolarissima sinistra occidentale per far star meglio la gente c’è una sola via: decrescere!!!

C’è chi pensa ingenuamente che l’aumento dell cosidetto “sviluppo umano” di cui abbiamo già parlato possa essere ottenuto senza l’aumento del tenore di vita, in altre parole dei consumi. Al fondo di questa pretesa non c’è ovviamente il marxismo ma qualche teoria legata alla controcultura anni ‘60 come abbiamo già avuto modo di spiegare. In altre parole l’aumento dello sviluppo umano ottenuto con la decrescita è una stupidaggine che infervora solo l’inconsistente sinistra occidentale. Il rapido aumento del PIL pro capite in Cina è indissolubilmente accompagnato da un rapido aumento del suo indice di sviluppo umano (ISU) che misura il progresso sociale di un paese.

domenica 10 novembre 2013

6.4.4: Come è migliorata la qualità della vita dei cinesi: l’Indice di Sviluppo Umano

6.4 Verso il benessere


Nessun paese è mai progredito nel benessere del proprio popolo –in nutrimento, alfabetizzazione, sanità, alloggi- come la Cina in questi venti anni. 
Deng Xiaoping

In Cina ci sono regioni che si potrebbero confrontare con i paesi ricchi. Ma il paese nel suo complesso rimane un paese in via di sviluppo. Tre criteri sono utilizzati per classificare un paese in questa categoria: Indice di sviluppo umano (ISU), PIL pro capite e salari medi. I tre criteri non lasciano dubbi: la Cina è ancora un paese in "via di sviluppo".

Evoluzione dell'indice di sviluppo umano. Nel 1950 la Cina era probabilmente uno dei paesi con il livello più basso al mondo. Oggi il paese con il minore sviluppo umano è il Niger con 0,34.
Se si esamina l'ISU il paese raggiunge il 104° nel ranking mondiale (su 186 paesi). E 'un dato nettamente superiore a quello dell'Africa, ma ancora al di sotto dell'America Latina. Per quanto riguarda il PIL pro capite, è classificata al 91° posto. Il PIL pro capite in Francia è otto volte superiore a quello della Cina e il salario medio è di quasi nove volte superiore. Naturalmente qui si considera lo stipendio al cambio della moneta e non quello in rapporto alla capacità d'acquisto che è molto più favorevole per il lavoratore cinese.
Pertanto, non ha senso paragonare la Cina con i paesi del nord del mondo. Tuttavia, è ciò che accade continuamente. La Cina è considerata in rapporto all'Europa e le sue performance sono misurate con il metro dei paesi ricchi. E' come paragonare i praticanti di uno sport dilettantistico con un atleta professionista di alto livello. In realtà si dovrebbe confrontare la Cina con i paesi comparabili, cioè i paesi del sud del mondo (Vandepitte 2012). E' ciò che cercheremo di fare qui.

venerdì 11 ottobre 2013

6.4.3: Assistenza sanitaria

6.4 Verso il benessere




Assicurare l’assistenza sanitaria ad un miliardo e 350 milioni di persone in un paese che fino a ieri aveva “le pezze al culo” come si suole dire, è sempre stata problematico in Cina. I comunisti conquistarono nel '49 un paese devastato da anni e anni di guerra, con una base industriale in rovina e dove povertà, malnutrizione, epidemie e malattie endemiche esistevano ancora su larga scala. I cinesi hanno dimostrato al mondo che sotto il socialismo è possibile per una nazione poverissima raggiungere un'assistenza sanitaria di base non solo per la città ma anche per la popolazione rurale, fornire istruzione a tutti, per garantire non solo la sicurezza alimentare ma uno standard di vita decente per coloro che erano i più poveri nella vecchia società.  "Tutti gli analisti di sviluppo della storia cinese nell'ultimo mezzo secolo, anche quelli ostili al socialismo, sono costretti comunque a malincuore, ad accettare che, in termini di indicatori di sviluppo umano, sicurezza alimentare, progressi nel campo della salute e dell'istruzione, nella diminuzione della povertà, insomma nel promuovere il benessere delle persone - il record è eccezionale, in realtà migliore di quella di  paesi capitalisti sviluppati con 10 volte il reddito pro capite della Cina. Tutte le economie socialiste, tra cui Cuba, naturalmente, hanno ottimi risultati in questo senso, ma il caso della Cina acquisisce importanza a causa della enormità dei problemi che sono stati affrontati e dell'enorme dimensione della popolazione che ne ha beneficiato" (Patnaik 1999). Sostiene l'indiano Patnaik che la base di questo miglioramento per il passato è stata proprio la socializzazione della proprietà, che ha consentito un fondo di benessere collettivo da istituire, come anche le politiche di distribuzione egualitaria, in particolare per quanto riguarda il cibo e altre necessità. Il trattamento medico, spesso rudimentale era ampiamente disponibile a tutti i suoi cittadini. Erano oltre un milione i "medici scalzi" diplomati delle scuole medie di solito con un corso di pronto soccorso, oppure giovani studenti mandati, dopo 1-2 anni di formazione a gestire gli ambulatori di campagna che giravano tra i villaggi offrendo esami prenatali e aggiustando arti rotti. Il servizio, per cui si doveva pagare una modesta quota assicurativa, ha contribuito a debellare quasi tutte malattie a trasmissione sessuale migliorando lo stato della salute con campagne di immunizzazione di massa; lebbra, peste e schistosomiasi furono virtualmente sradicate: si condussero campagne contro la tossicodipendenza dall'oppio, prevenzione e l'igiene pubblica erano le priorità, migliorò l'igiene delle acque e la qualità dell'alimentazione portando quasi al raddoppiamento dell'aspettativa di vita del paese da 35 a 66 anni tra il 1949 e il 1978. Nello stesso periodo il tasso di mortalità infantile da oltre il 250 per mille, ossia la morte di un bambino ogni quattro,  fu portato sotto il 40 per mille (Forney 2003). La conferenza internazionale sull’assistenza sanitaria primaria di Alma Ata (1978)  riconobbe nella sanità cinese post rivoluzione una delle esperienze migliori di sempre, portandola come esempio per il mondo intero e come modello da seguire per i paesi in via di sviluppo (Moreton s.d.).

venerdì 13 settembre 2013

6.4.2: La Cina come modello per i paesi poveri

6.4 Verso il benessere

La strategia di riduzione della povertà in Cina dovrebbe uscire dall'ombra e diventare parte integrante della politica economica globale.
Keith Griffin (Riskin 2004)

La Cina è un esempio a livello internazionale per ridurre la povertà, ha dichiarato Yukon Huang, capo del dipartimento cinese della Banca Mondiale (BM) dal 1997. Huang è stato chiaro "La politica di lotta alla povertà attraverso lo sviluppo si è rivelata un grande successo". Il governo cinese ha condotto una lotta su vasta scala contro la povertà in maniera organizzata e pianificata nel corso degli ultimi decenni, avendo accumulato risorse umane, materiali, la forza finanziaria e mobilitato tutti i settori della società per questo scopo. Mentre l'aumento degli investimenti per migliorare la produzione e le condizioni di vita nelle aree colpite dalla povertà, la Cina ha anche prestato maggiore attenzione alla tutela ecologica e ambientale e allo sviluppo sostenibile. 
Il governo cinese ha attivamente studiato l'esperienza internazionale di lotta alla povertà e ed ha attuato la cooperazione con organizzazioni internazionali di aiuto alla lotta contro la povertà sin dal dal 1990. "L'esperienza della Cina è molto utile alla Banca per gli insegnamenti circa gli approcci per ridurre la povertà, che siamo in grado di trasferire ad altri paesi", ha detto Huang. Debolezza delle infrastrutture, una popolazione in rapida crescita, le precarie condizioni fisiche e un basso livello di riduzione della povertà sono tutti fattori che potrebbero impedire futuri progressi nel migliorare gli standard di vita nei paesi più popolosi del mondo.

venerdì 30 agosto 2013

6.4.1: La più grande vittoria sulla povertà che la storia ricordi

6.4 Verso il benessere



Li Ao, un uomo di 70 anni, che è uno degli scrittori più celebri di Taiwan, ha visto il cambiamento cinese. In una recente visita alla Cina continentale evocava i suoi ricordi di infanzia a Pechino. In televisione ha parlato di una vivida immagine che ricorda da bambino: un povero contadino che caricava il tradizionale palo sulle spalle. A un estremo portava un cesto con verdure, nell’altro, portava suo figlio. Alla sera, aveva venduto le verdure e anche il bambino, e piangeva. Li Ao ricordò quella scena che di nuovo portava alla memoria l’estrema povertà della Cina prima della rivoluzione. Molte famiglie contadine, per alimentare i loro figli, ne vendevano qualcuno agli abitanti della città. In un modo insolito, e da parte di un cittadino di Taiwan che non era obbligato a fare una dichiarazione simile, Li Ao ringraziava il Partito Comunista per la grande trasformazione che aveva sperimentato il paese.
Higinio Polo (2006)

Una delle più grandi conquiste dell'umanità alla fine del ventesimo secolo, è passata quasi inosservata in Europa: quasi tutti i cinesi non patiscono più la fame. Attualmente 1,2 miliardi di cinesi sul 1.3 non conoscono più le carestie in un paese dove la terra arabile è molto limitata e le problematiche legate all'acqua costituiscono una sfida.

Bruno Parmentier 2007

La Cina che nel 1949 era il paese più povero del mondo è stato classificato come paese povero fino al 2000, poi passato nel novero dei paesi medio-poveri per entrare nel novero dei paesi medi. Ossia ha un reddito pro-capite che è due volte e mezzo quello indiano (negli anni ’70 la Cina era ancora dietro l’India). Nel 2007 in India, che è il paese con cui si devono fare i confronti,  l’80% della popolazione vive con meno di mezzo dollaro al giorno (India 2007).
Nel 1978, i poveri, che guadagnano circa 85 dollari annuali in base alle norme nazionali, o 200 dollari secondo la Banca Mondiale, variavano tra i 250 e i 265 milioni di persone. Nel 1995 erano 100 milioni i poveri secondo la Banca Mondiale. Nel 2002 erano 28,2 milioni, nel 2005 23,6 milioni[2], nel 2006 si erano ridotti di 22 milioni per arrivare a 21,5 milioni. Secondo le agenzie cinesi tale numero è stato ridotto a meno di 20 milioni di persone nel 2007, cioè da circa il 30% all’1,5%, concentrati in gruppi che vivono in zone remote e montuose del paese[1] (Diaz Vasquez 2006).

mercoledì 31 luglio 2013

8.17: Sindacati liberi?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


Nota: L'iconografia di questa pagina è tratta in gran parte dalla guerra civile spagnola. La lotta che il Fronte Popolare antifascista chiedeva ai lavoratori e ai sindacati era quella di aiutare la produzione per sconfiggere i fascisti. Anche questa è lotta classe in realtà molto più avanzata della mera lotta economicista a cui gli "operaisti" senza operai vorrebbero ridurla. La lotta della Cina per riemergere dal secolo dell'umiliazione è attualmente il fronte più avanzato della lotta di classe a livello mondiale.


Scrive Domenico Losurdo a proposito del sindacato cinese che supera la logica grettamente corporativa:
Nel grande paese asiatico ogni anno tra i 10 e i 15 milioni di abitanti abbandonano la campagna (sovraffollata e ancora appesantita dall’arretratezza) per stabilirsi nelle città (comprese le nuove città che crescono dal nulla): in queste condizioni, anche la CGIL del grande Di Vittorio avrebbe messo l’accento sul posto di lavoro e dunque sull’espansione dell’economia. E comunque – si lamenta «Wall Street Journal–Europe» del 6 giugno 2007 – «da diversi anni i salari cinesi crescono ininterrottamente al ritmo annuale del 10% per cento». Il tasso di crescita tende a conoscere un’ulteriore accelerazione: a causa anche del netto miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne, ora gli emigrati «si attendono salari più alti del 16% rispetto all’anno precedente» ed esigono e riescono a strappare anche benefici e miglioramenti ulteriori. Ancora più impressionanti sono i dati riportati dal settimanale tedesco «Die Zeit» del 18 ottobre, in un articolo di Georg Blume: «Attualmente, i salari più bassi crescono del 30% all’anno, mentre il reddito medio cresce del 14%, e dunque ben più rapidamente di un’economia che pure si sviluppa in modo dinamico». E’ vero, il costo del lavoro aumenta più lentamente, ma solo a causa del rapido sviluppo della produttività. A ben guardare, pur con tutti i suoi limiti e ritardi, il sindacato ufficiale cinese si rivela nettamente più maturo dei suoi critici (anche quelli di «sinistra»): chiama la classe operaia a non rinchiudersi in un gretto corporativismo, per essere invece la protagonista del processo di industrializzazione e modernizzazione del gigantesco paese asiatico nel suo complesso, la protagonista della lotta nazionale per l’acquisizione delle tecnologie più avanzate, in modo non solo da rafforzare l’indipendenza della Cina ma anche da spezzare il monopolio in questo campo finora detenuto dall’Occidente. E’ anche grazie all’incrinarsi di tale monopolio e alla possibilità di accedere ai prodotti industriali sempre più sofisticati e alla tecnologia in rapido sviluppo della Repubblica Popolare Cinese che paesi come Cuba e Venezuela sono in grado di resistere alla politica di strangolamento economico messa in atto da Washington. Lo sanno bene i circoli imperialisti maggiormente impegnati nella politica di isolamento del gigante asiatico: è attraverso questo isolamento che passano la riaffermazione della dottrina Monroe in America latina e l’imposizione dell’egemonia statunitense nel mondo. 
(Losurdo 2007).

domenica 30 giugno 2013

8.16: Socialismo imperiale e Labor imperialism

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Il calcio nel sedere al cinese dai
famosi maestri dei diritti umani
Ernesto Guevara "sente che nelle questioni sociali e politiche il ruolo dell'America Latina è del tutto trascurato. Come esempio di questo, ha osservato in una occasione, cinquemila lavoratori sono stati uccisi negli altopiani boliviani, e non vi è una sola riga sui giornali di New York, che affermano che non ci sono scioperi in Bolivia. Ci si chiede se i cosiddetti sindacati internazionali degli Stati Uniti abbiano un qualche interesse per il lavoratore del Sud America e se possano aiutare ad aumentare il tenore di vita dei latinoamericani a un livello che possa avvicinarsi a quello degli americani del Nord"
CIA-relazione biografica sul Che, 1958

La terza forma di socialimperialismo, oltre le due già descritte nel post precedente, è quella direttamente legata alle centrali spionistiche occidentali in gran parte americane, ai sindacati gialli  e ammanicata con le rivoluzioni colorate. E' quella che viene chiamato comunemente Labor imperialism; un quarto tipo è quella che diremmo confindustriale che si batte perchè la classe operaia in Cina faccia quello che è assolutamente sconveniente che faccia la classe operaia in Occidente, ossia la lotta di classe.

martedì 25 giugno 2013

8.15: Socialimperialismo ovvero come fare i comunisti con il c... degli altri

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Eurocentrismo o etnocentrismo. New York come centro del mondo
Per me il movimento è tutto, e ciò che comunemente è chiamato obiettivo finale del socialismo è nulla. 
Eduard Bernstein. I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, 1899.

Noi, 
anche ad ogni cuoca 
insegneremo a dirigere lo stato.
V. Majakovskij,  Lenin.

Ci sono almeno quattro tipi di socialimperialismo [1]. Dei primi due tratteremo in questo post degli altri due tratteremo in un post successivo.
Con la rottura tra URSS e Cina i maositi
accusarono i sovietici di socialimperialismo
Il primo è quello dei sostenitori di sinistra della classe operaia cinese (in Occidente la classe operaia non ci caga ma in Cina siamo fortissimi: 100 mila ribellioni al giorno!!!) a cui loro forniscono "buoni consigli e cattivi esempi" come nella canzone di De Andrè,  anche se non si sa per quale stravagante ragione i lavoratori cinesi dovrebbero seguire le fallimentari pratiche di questi perdigiorno; poi ci sono le organizzazioni per i consumi etici che al pari dei leghisti pensano che non si dovrebbero comprare i prodotti da paesi che non hanno le stessi nostre leggi (praticamente tutti  i paesi poveri) così si darebbe un'efficace aiuto ai poveri (una delle forme più rivoltanti di imperialismo).

mercoledì 5 giugno 2013

8.14: Congressi dei Lavoratori e elezioni dirette. La democrazia di base.

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


Secondo i regolamenti, tutte le aziende, comprese quelle provenienti da Hong Kong e Macao, così come le società di Taiwan, straniere e private, sono tenute ad operare sotto il "'sistema del Congresso dei Lavoratori". Il sistema prevede la gestione democratica delle imprese e  stabilisce che i lavoratori  hanno il diritto di eleggere, controllare e deporre il loro manager. I regolamenti immaginano e promuovono la formazione di Congressi dei Lavoratori di fabbrica e di zona. Se questi regolamenti si trasformeranno in realtà, i lavoratori di Shanghai avranno più diritti democratici sul lavoro che le loro controparti in qualsiasi paese capitalista.
Heiko Khoo 2012

In realtà, c'è nella legge cinese almeno una disposizione che va al di là delle leggi sul lavoro nei paesi sviluppati: quella che afferma che le imprese statali e collettive dovrebbe stabilire un Consiglio generale dei lavoratori e dipendenti al quale è concessa l'autorità legale - almeno sulla carta - di controllare la direzione, di partecipare al processo decisionale o di opporsi a talune decisioni. 
Anita Chan 2004.

Il Partito Comunista promuove i Congressi dei Lavoratori come strumento per la partecipazione democratica dei lavoratori alla gestione delle aziende. La maggior parte delle imprese hanno adottato il sistema dei Congressi, che sono la forma basilare del management democratico attraverso il quale i lavoratori partecipano alle decisioni, alla gestione delle imprese e alla supervisione dei dirigenti. Negli ultimi anni, virtualmente tutti i direttori e manager delle grandi e medie imprese statali sono stati esaminati e il loro lavoro valutato con la partecipazione e la supervisione dei Congressi dei Lavoratori. (Political Rights s.d). In un libro bianco del Governo si può leggere: "Il governo cinese incoraggia le imprese a rafforzare continuamente le funzioni del Congressi dei Lavoratori e dei sindacati migliorando il sistema di partecipazione democratica del personale. (Labor 2002)

L’espressione a cui si è accennato “tutto il potere al popolo” si adatta molto bene al concetto di Congresso dei Lavoratori in quanto organo democratico dei lavoratori. Scrive un sindacalista indiano in visita in Cina: "Si promuove e rafforza le gestione democratica nell’industria, nelle aziende e stabilimenti dove i Congressi dei Lavoratori sono chiamati a decidere sugli impegni presi consultando i sindacati. Essi tengono anche in considerazione lo sviluppo tecnologico delle unità e pianificano l’avanzamento della produzione. Anche le imprese private sono ora coperte dal sistema Congressi dei Lavoratori così che l’impegno è di farle funzionare in modo democratico" (Pandhe 2004).

venerdì 10 maggio 2013

3.3.3: I media turchi condannano la Cina per il colpo di stato in Honduras

3.3 False Report

Lo vedi, tu gesticoli come me, hai la mia stessa pelle bianca: sei indoeuropea, vorresti essere oppressa da un comunista con la pelle gialla?
Rebiya Kadeer leader del World Uyghur Congress

Luglio 2009, i media turchi condannano la Cina per il colpo di stato in Honduras. Cataclisma a Urumnchi (Xinjiang Cina). Zelaya è il presidente dell'Honduras deposto da un golpe made in USA. Il fallito ritorno di Zelaya a bordo di un aereo è presentato come la prova di un bombardamento cinese.


Cataclisma a Urumchi (Xinjiang Cina). I dimostranti hanno chiaramente la bandiera dell'Honduras

domenica 5 maggio 2013

8.7. Il lavoro: dall'alienazione alla noia

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

l lavoro nello stabilimento Foxconn di Shenzhen può essere ripetitivo, faticoso e alienante come ovunque nel mondo. Foto e didascalia prese da Wired

I giornali sono pieni degli stessi banali discorsi di intellettuali che ritengono che il 12% della popolazione mondiale che vive in Occidente può continuare a dominare l'88% delle persone che vivono altrove.
Kishore Mahbuban
L'alienazione

"Molti si lamentano di un lavoro noioso, ripetitivo e deprimente. Solo 8,6% degli intervistati dice di sentirsi bene con il proprio lavoro (...). Vogliono ottenere una qualifica invece di ripetere gli stessi gesti, "dice Xin Lui, che ha condotto le indagini. Questa insoddisfazione cresce la mobilità (Bari et Sankar 2012). Il lavoro nello stabilimento Foxconn di Shenzhen può essere ripetitivo, faticoso e alienante come del resto ovunque nel mondo scrive Wired. La scoperta che il lavoro non sia sempre divertente è senz'altro da ascrivere alla sinistra occidentale. A questo punto non si capisce come mai la stessa sinistra non faccia nulla per far diventare divertente il lavoro in occidente. A quanto pare quando i lavoratori intervistati sostengono di non essere lì per divertirsi ma per lavorare e di volere fare degli straordinari non esprimono un'opinione radicalmente differente semplicemente sanno che in qualsiasi società sia essa capitalistica che socialista occorre lavorare. La vecchia sinistra aveva un'etica del lavoro ("chi non lavora non mangia", lo stakhanovismo, i lavoratori modello in Cina) la nuova si basa sul "rifiuto del lavoro". Per questo finirà con l'essere emarginata anche dalla classe operaia occidentale.

Ma vediamo quanto ci dice una sociologa di Hong Kong portata in processione dalla sinistra radicale come la Madonna Pellegrina. Secondo Pun Ngai: "I media mainstream parlano di questi tragici eventi come si trattasse di una questione personale: il suicidio di un giovane laureato che sembrava aperto e gioioso è ricondotto a un problema spirituale, altri che si sono suicidati lo avrebbero fatto per problemi psicologici. Fra questi c’è un lavoratore maschio, che si sarebbe gettato dal tetto del dormitorio a causa della pressione dovuta a problemi di fertilità.(Pun Ngai 2010). Inutile dire che queste sono anche le ragioni per le quali ci si suicida in tutto il mondo compresa proprio la fertiltà. Pun Ngai addirittura intitola il suo libro sulla Foxconn "Suicide or Murder? Unraveling Apple Dream and Foxconn Suicides" (Pascucci 2012), nel quale si parla di assassinio deliberato. Se si è trattato di un assassinio deliberato come mai i suicidi sono improvvisamente cessati?  

venerdì 19 aprile 2013

8.6: Il costo umano della Banda Larga e il caso Daisey

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


Le accuse rivolte dai media contro le condizioni di lavoro dei lavoratori cinesi della Apple si sono trasformate in un fiasco.
Le Figaro.

Suicidi alla Telecom France  

I suicidi alla Foxconn non sono nulla se paragonati a quelli della Telecom France. Quando ancora alla Foxconn eravamo a quota 9 nell'azienda francese erano 46, maggiori di 5 volte. 11 nei primi mesi dell'anno 2010. Per di più la Telecom ha solo 102 mila addetti in tutta la Francia e il tasso di suicidi in Francia è (forse) inferiore a quello cinese. Il tasso dei suicidi in Francia è 17 ogni 100 mila abitanti. Siccome veniamo a sapere che tra il 2008-2009 i suicidi alla Telcom France sono stati 35 e probabilmente si è trattato di un cluster allora dobbiamo ancora constatare che il numero di suicidi rispetto alla popolazione di riferimento non è eccezionale sebbene nettamente più alto di quello della Foxconn. Il solito Foremski ha commentato: "E' questo il costo umano della banda larga a prezzi competitivi?" (Foremski 2010). Sembrerebbe che sia il lavoro in quanto tale, anzi un buon lavoro per la verità quale quello dell'azienda francese e pagato bene a provocare i suicidi.
La Living International, una società di consulenza statunitense, ha descritto la Francia come il "miglior paese del mondo" dal punto di vista della qualità della vita eppure: "I francesi, per esempio, hanno 1,9 volte più probabilità di suicidarsi rispetto agli olandesi, 2,8 volte più probabilità rispetto agli italiani e 2,4 volte più probabilità rispetto gli spagnoli o gli inglesi. Ci sono nazioni con tassi peggiori - la Finlandia, per esempio, dove i suicidi vengono attribuiti all'alcolismo, o il Giappone, che è stato storicamente tollerante per il suicidio. Ma nella ricca Europa occidentale, la Francia si distingue, con almeno 10.500 persone che hanno posto fine alla propria vita l'anno scorso" (Sage 2009). Quindi il tasso di suicidi non dovrebbe dipendere nemmeno dalla qualità della vita.

martedì 9 aprile 2013

8.5: L'inaccettabile costo umano del sapere.

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?
Vergognatevi!!! I consumatori occidentali delle "i-robe" dovrebbero solo vergognarsi
secondo il giornalismo moraleggante quanto ignorante


Il letto è il posto più pericoloso del mondo: vi muore l'80% della gente.
Mark Twain

Ebbene sì: l'inaccettabile costo umano del sapere! Nei college americani i suicidi sono statisticamente quattro volte maggiori che negli impianti cinesi della Foxconn (Johnson 2011)[1], la fabbrica taiwanese che produce il 40% dell'elettronica mondiale, che è stata al centro di una serie di suicidi. Il desiderio dell'Oriente per il sapere occidentale porta a un costo disumano in America. "Chi è morto per tuo libro di fisica, filosofia, sociologia ecc.?" "E' solo un libro, vale la pena di morire?" Bisogna boicottare la cultura occidentale per salvare vite umane in America. "I suicidi nei college americani: Devi biasimare te stesso per tutte quelle morti nella fabbrica della cultura americana? Sì!".

martedì 26 marzo 2013

8.13: Welfare e Assicurazioni sociali

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?




Casa di riposo
Un sistema sociale legato alle assicurazioni di vecchiaia, di disoccupazione e di malattia e alla garanzia del minimo vitale finanziato dalle imprese è stato formato per l’essenziale già da diversi anni. Questo sistema gioca un ruolo nella riforma delle imprese e nel mantenimento della stabilità sociale. Non si deve credere che la legge sul lavoro del 2008 abbia introdotto il welfare per il lavoratore che prima era completamente assente. Ad esempio i disoccupati, già prima venivano protetti a vari livelli: "I lavoratori disoccupati sono protetti da un piano di assicurazione di disoccupazione. Sotto questo piano un lavoratore viene dato un minimo stipendio per un periodo di tre anni. Se non si arriva da avere un lavoro in questo tempo un minimo garantito viene dato al lavoratore.  La somma comunque varia tra le differenti provincie. Alcuni lavoratori sono provvisti di assistenza finanziaria per iniziare una attività in proprio che gli dia di che vivere. I figli dei disoccupati hanno speciali facilitazioni negli studi in scuole e college."(Pandhe 2004).

Nel 2006, 186 milioni di persone avevano acquistato una assicurazione pensionistica, 157 milioni una assicurazione medica, 111 milioni una assicurazione di disoccupazione 102 per gli incidenti sul lavoro 25,38 milioni di migranti avevano acquistato una assicurazione per gli infortuni sul lavoro, 12,86 in più dell’anno prima mentre 23,67 avevano acquistato una assicurazione sanitaria con una crescita di 18,78 milioni anno su anno (Urbanites 2007). La previdenza sociale per operai e impiegati, è ulteriormente migliorata già l'anno successivo. Nel 2007 il numero di iscritti alla previdenza sociale superava i 200 milioni, 54 milioni in più del 2002. Per migliorare il welfare lo stato ha destinato nel 2008 276,2 miliardi di yuan, con un incremento rispetto al 2007 di 45,8 miliardi. Dal 2008 per tre anni consecutivi è stato finanziato l’ampliamento della base contributiva per le pensioni di anzianità. Infine nel 2011 si è arrivati alla nuova legge sui contributi sociali per i lavoratori ricostruita nelle tabelle che consultabili più avanti.

giovedì 21 marzo 2013

8.12: I salari più alti del mondo?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Confronto tra gli aumenti salariali di USA e Cina nel periodo precrisi

Forbes rileva che per alcuni tipi di lavoro, in generale di carattere manageriale, sulla base degli stipendi del 2011, alcuni impiegati cinesi guadagnano quanto i loro omologhi americani. Mentre gli stipendi degli Stati Uniti scendono, quelli della Cina sono in aumento.(Rapoza 2012).

Professione
Stipendio in dollari
Ingegnere supervisore

25.000 - 42.000
Amministratore delegato

130.000 - 330.000
Direttore R & D

100.000 - 167.000
Direttore acquisti

67.000 - 150.000
Capo controllo qualità

67.000 - 150.000
Chief Technology Officer

167000 - 330000
Direttore marketing

100.000 - 130.000
PR / Manager Communicazione

34.000 - 67.000
Manager Vendite Regionali

67.000 - 100.000
Source: (Hays 2012) Salary Guide – Asia


L’Emerging consumer survey 2013, indagine condotta dalla Nielsen per la banca svizzera Credit Suisse in otto paesi emergenti, evidenzia come il salario medio mensile dei giovani trentenni cinesi sia di circa 1.100 euro, il 15% in più rispetto ai loro genitori. Quello dei trentenni italiani? Per quei pochi che lavorano è di 830 euro. I trentenni in Cina guadagnano più dei cinquantenni, e più dei coetanei italiani. Peraltro Datagiovani ha calcolato, su base Istat, che la retribuzione media di un under 30 al primo lavoro in Italia è di 823 euro al mese (Trentenni cinesi 2013) .

lunedì 4 marzo 2013

8.11: Il mito dei lavoratori cinesi pagati in scodelle di riso


8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Previsioni sull'andamento dei salari in Cina  e USA al cambio ufficiale.
Quelli italiani saranno superati prima

Rispondendo alla domanda se l'economia cinese si cresciuta "principalmente attraverso lo sfruttamento crudele di manodopera a basso costo" un noto sinologo risponde che siamo alle solite: "Ogni volta che un paese in via di sviluppo comincia a crescere rapidamente, gli stati più ricchi lo accusano di "barare" per mantenere i salari bassi e il tasso di cambio artificialmente basso. Ma questo non è affatto giusto; Si tratta di una tappa naturale dello sviluppo che ha un un punti finale in ogni paese. Lo stesso sarà in Cina (Kroeber 2010)"

Il vantaggio comparato della Cina come produttore a bassi salari sparità con il tempo.Ma quando un paese arretrato manca ancora vantaggi reali, come l'istruzione superiore, mercati e imprese efficienti , e capacità di innovazione, ha bisogno di salari bassi per mantenere una crescita sostenuta. Kroeber continua:"La Cina è cresciuta molto come altre economie che oggi vediamo come mature e di successo, tra cui Giappone, Corea del Sud e Taiwan. Queste nazioni hanno investito fortemente in infrastrutture e istruzione, e rapidamente spostato i lavoratori a bassa produttività nelle zone rurali verso posti di lavoro più produttivi nelle città. Quando il lavoro rurale era abbondante, i salari erano bassi, ma sono aumentati rapidamente dopo questi lavoratori in eccedenza si sono uniti alla forza lavoro urbana. La Cina sta arrivando a quel punto: il numero di giovani che entrano nella forza lavoro (dai 15 ai 24) dovrebbe diminuire di un terzo nel corso dei prossimi 12 anni. Con la diminuzione del numero di giovani lavoratori, l'andamento dei salari non può che essere ascendente. Questo sta già accadendo: il mese scorso, nella provincia di Guangdong (asse maggiore delle esportazioni della Cina) i salari sono cresciuti di almeno il 20 per cento"(Kroeber 2010). Come abbiamo già detto i luoghi comuni che si ripetono sulla Cina non sono altro che quelli che un tempo dsi dicevano delle cosidette Tigri asiatiche.


I salari cinesi nelle unità urbane sono cresciuti a doppia cifra per un intero decennio afferma Sangheon Lee, coautore dell' ILO Global Wage Report 2012/2013. I salari sono più che triplicati tra il 2000 e il 2010, e l'era del lavoro a basso costo in Cina è finita. Le cifre sono relative alle aziende del settore pubblico (SOE) i cui salari sono definiti molto alti, ma analisi separate sulle aziende piccole e medie del settore privato mostrano lo stesso andamento anche se un po' più contenuto. I salari più alti nelle aziende pubbliche dimostrano che il settore socialista dell'economia è in grado di pagare meglio i lavoratori che per altro costituiscono la vera base sociale del Partito Comunista. Scrive il Corriere della Sera: "Secondo uno studio del Boston Consulting Group (Bcg), i salari cinesi crescono a due cifre dal 2000. Altre statistiche dicono che dal 2009 a oggi sono lievitati del 43 per cento e che il costo per unità di lavoro in dollari è aumentato del 22 per cento dal 2007. Il vantaggio competitivo dell'economia cinese fondato sulla manodopera a basso costo è sostanzialmente stato annullato" (Taino 2013).

mercoledì 27 febbraio 2013

8.9: Una manodopera inesauribile?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


La rivoluzione industriosa della Cina si è basata anche sull'impiego di manodopera qualificata al posto di costosi macchinari. Questo ha contribuito a creare centinaia di milioni di posti di lavoro nelle fabbriche:
Si tratta di un'altra riformulazione della tesi di Sugihara sulla duratura importanza della Rivoluzione industriosa dell'Estremo Oriente. L'osservazione fatta dalla Hart che nelle imprese di mu­nicipalità e villaggio la coltivazione intensiva di piccoli appezzamenti si combina con forme di lavoro industriale o comunque non agricolo e con investimenti destinati a migliorare la qualità della forza-lavoro, non fa che confermare la validità di quella tesi. Ma altrettanto fa l'osservazione, piuttosto comune, che, anche nelle aree urbane, il principale vantaggio competitivo dei produt­tori cinesi non sta nel basso livello salariale in quanto tale, ma nell'adozione di tecniche basate sull'impiego di economico lavoro qualificato invece che su quello di costosi macchinari e di dispendiosi dirigenti. Un buon esempio ci viene dalla fabbrica di automobili Wanfeng, vicino a Shanghai, nella quale "non si vede nean­che un robot". Come in molti altri impianti cinesi, sulle linee di montaggio ci sono squadre di giovanotti, appena usciti dalle scuole tecniche cinesi in rapida espansione, al lavoro con nient'altro che trapani elettrici, chiavi inglesi e mazze di gomma. I motori e le parti della carrozzeria, che in una fabbrica occidenta­le, coreana o giapponese sarebbero trasportati automaticamente da una stazione all'altra, qui vengono trasportati a mano o con carrelli a mano. È così che Wanfeng può vendere in Medio Oriente le sue jeep di lusso "Tribute", fatte a mano, a un prezzo che va da 8000 a 10.000 dollari. L'azienda non investe in macchinari da molti milioni di dollari, e usa invece lavoratori di alto livello [la cui] paga annua­le [...] è inferiore a quella mensile di un nuovo assunto di Detroit. (Arrighi 2008, pp. 402-403).

martedì 19 febbraio 2013

8.10: 2017: i sindacati cinesi contro la schiavitù degli operai italiani ?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?



La Cina attuale è senza dubbio il solo regime comunista che si sia mai preoccupato della politica sociale. Il fatto si è avverato da una decina d'anni ma è diventato spettacolare.
Jean-Luc Domenach. Sinologo. Direttore di ricerca al CERI. 2008

E' singolare che Domenach sostenga che la Cina sia il solo paese comunista che si sia interessato delle politiche sociali. Ovviamente tutti i paesi comunisti sono nati per fare questo. Sicuramente non tutti alla distanza ci sono riusciti. Ma è curioso che molti comunisti occidentali sostengano l'esatto contrario ovvero che il regime cinese sia il solo che se ne strafreghi delle politica sociale. Tutti e due sbagliano ma certamente Domenach è molto più informato sulla Cina attuale.

Secondo il Rapporto sul costo internazionale della vita dell’Unione delle Banche Svizzere (UBS 2012) per comprare un Big Mac (un panino farcito) al Mc Donald un lavoratore metalmeccanico romano deve lavorare per 23 minuti mentre un lavoratore di Shanghai deve lavorarne 29 minuti. Siccome il prezzo del Big Mac costituisce uno dei modi in cui internazionalmente si stabilisce il potere d’acquisto, cioè il cosiddetto Purchasing Power Parity, allora sappiamo che nel 2012 il lavoratore di Shanghai aveva un potere d’acquisto che era circa l'80% di quello di Roma (nel 2006 era il 65,4% di quello del suo omologo romano).

mercoledì 6 febbraio 2013

8.8: Migranti e sistema Hukou

 8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?



I lavoratori emigrati dalle campagne sono l'esercito principale della forza lavoro dell'industria cinese. La nostra ricchezza e i nostri alti edifici sono un distillato del vostro duro lavoro e sudore. Il vostro lavoro è cosa gloriosa e dovrebbe essere rispettato dalla società, Il governo e tutte le parti della società dovrebbero trattare i giovani lavoratori emigrati come tratterebbero i propri figli.
Wen Jiabao 2010

Un giornalista indiano istituisce un paragone tra India e Cina a proposito degli slum:
Se Cina e India vengono confrontate dalla eleganza delle loro città, allora la Cina dovrebbe vincere generosamente. Mentre la Cina è intenta a creare super città, l’India sta ancora lottando con i problemi basilari dell’acqua e dell’elettricità. L'India ha impiegato due anni per costruire un cavalcavia; nello stesso tempo la Cina ha costruito migliaia di chilometri di autostrade. […] Mente la Cina è conosciuta per i grattaceli, le città indiane sono conosciute per i loro slum. Bombay, la capitale finanziaria del paese, è la sede del più grande slum dell’Asia e almeno metà degli abitanti della città risiedono nello slum.[…] Bambay, in particolare, e le città indiane in generale, sono cadenti e hanno miglia da percorrere prima di potere essere chiamate città. (Saraf 2008)
Egli ne deduce che il gioco di imitare la Cina non valga la candela. Ma è sempre una questione di proprietà e di relativismo delle scelte: "E’ abbastanza interessante notare come la Cina è stata capace di evitare il problema degli slum. Immaginate, se doveste chiedere il permesso per trasferirvi da Bombay a Delhi! Sembra incredibile, ma un simile sistema (l’Hukou) esiste in Cina! Sono pronti gli indiani a sacrificare tali fondamentali diritti per rimuovere gli slum dalle città?" (Saraf 2008).
Il Terzo plenum del PCC del novembre 2013 ha deliberato un ulteriore allentamento dell'Hukou per chi intende risiedere nelle città di media grandezza che però non porterà agli slum che rimarranno però in India. Il modello pianificato cinese rivela dunque ancora la sua superiorità.

martedì 29 gennaio 2013

8.4: Schiavitù, lavoro minorile e incidenti sul lavoro

 8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?




Troppo spesso si continua ad associare il lavoro minorile con le forme estreme di sfruttamento presenti nei paesi in via di sviluppo. Bisogna invece comprendere che il problema della negazione dei diritti dei minori non riguarda soltanto paesi lontani, ma tocca anche noi. Per questo abbiamo insistito molto perché venisse riconsiderato con attenzione anche in Italia.
Sergio Cofferati (Cofferati 2000).

Con queste parole l’ex segretario della CGIL introduceva un libro sul lavoro minorile in Italia che interessa ancora qualcosa come 400.000 bambini ossia il quasi il 10% della popolazione in età infantile[1]. Basterebbe poi citare una inchiesta di qualche anno fa, tra i lavoratori schiavi immigrati in Puglia[2] di Fabrizio Gatti (Gatti 2006), comparsa sull’Espresso, per vedere come il problema della schiavitù sia presente senz’altro in Italia. (Pleuteri 2006).

Nel 2007 dopo la sparizione di un ragazzo sedicenne (dunque in età da lavoro) la polizia cinese ha eseguito un'indagine a tappeto in un paio di regioni tra le più arretrate del paese. Il 22 giugno 2007, 359 persone, inclusi 12 ragazzi con meno di 16 anni, erano state liberate dai forni per mattoni illegali nello Shanxi e la polizia aveva arrestato 38 persone. Nell’Henan, in quattro giorni durante i quali più di 35.000 poliziotti hanno ispezionato 7500 forni, sono state liberate 217 persone, inclusi 29 ragazzi non ancora in età da lavoro. Più di 30 capi-forno e impiegati sono finiti sotto giudizio in relazione allo scandalo del lavoro coatto. Le accuse comprendono la coercizione al lavoro in condizioni indicibili e lesioni intenzionali (Lavoro coatto 2008).

martedì 22 gennaio 2013

7.3: A Tienanmen si è aperta la strada alla shock economy?

7. Socialismo vs. turbo-capitalismo

I riformatori cinesi hanno evitato la "terapia d'urto" a cui è stata sottoposta la Russia dopo il crollo quello dell'Unione Sovietica, spiega l'economista Wang Jue della scuola del Partito comunista di Pechino. In un primo momento il partito ha permesso solo piccole unità di lavoro privato nei villaggi e nei centri rurali, fornendo l’occupazione tanto necessaria per il surplus di agricoltori. Il motto di Deng Xiaoping per rivitalizzare il suo immenso paese era quello di «attraversare il fiume sentendo le pietre sotto i piedi». 
(Lorenz e Wagner 2007)
Con il 1989 e il crollo dell’URSS e degli altri paesi socialisti si è diffusa l’opinione che il socialismo producesse solo miseria. I paesi con una economia di successo come la Cina o il Vietnam dunque non potevano che essere ultra-liberisti e tubo-capitalisti (termine molto in voga tra i redattori di Liberazione o del Manifesto). La Cina è anzi il simbolo, la rappresentazione plastica che il sistema capitalista, quando non gli si impongono limiti, lacci e laccioli diventa una grande fonte di illimitato sviluppo economico. E’ il turbo-capitalismo. Che la Cina sia capitalista, ultra-liberista è ormai un luogo comune: “La Cina è un gigante capitalista”dice Bertinotti. La maggiore vittoria dei liberali è di avere instillato nelle testoline della fu sinistra radicale l’idea che ci sia un solo sistema funzionante: il capitalismo. Ciò contrasta con l’affermazione di un economista liberal come James Galbraith il quale vede negli anni ’90 la vittoria del “socialismo” sul liberismo. Infatti egli ritiene che gli anni novanta non siano "l'età d'oro del capitalismo" ma "qualcosa di molto prossimo all'età dell'oro del socialismo riformato in due paesi (la Cina e l'India[1]) e invece come un'età di disastri per tutti quelli che hanno seguito le indicazioni di 'The Economist”. (Arrighi 2008, 391).

domenica 20 gennaio 2013

8.3: Il caso Wal-Mart

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Pensate quello che volete su i sindacati cinesi, ma hanno 131.000.000 membri. Questo è un sacco di gente come te e me che vogliono le stesse cose che vogliamo noi: salari vivibili, la correttezza sul posto di lavoro, condizioni di lavoro sicure e salubri  e una voce collettiva che faccia i conti col loro datore di lavoro. I nemici della Cina non solo ci dividono da quei 131 milioni di alleati in Cina, ma promuovono anche gli stereotipi razzisti e divisioni nella classe operaia americana. I lavoratori asiatico-americani sono diventati una forza significativa nel lavoro statunitense, dedicando la loro abilità, il duro lavoro e l'esperienza per la nostra causa comune. 
(Marshall 2003)


L’americana Wal-Mart è un fuorilegge, famosa per il suo atteggiamento anti-sindacale. Aveva chiuso addirittura i suoi super-market in Canada per non avere i sindacati. E' la più grande catena di distribuzione al mondo e il più grande datore di lavoro privato del mondo. E' finanziariamente maggiore della Svizzera e impiega più di otto volte il numero di soldati dispiegati da Bush per l'invasione dell'Iraq. Di fronte ad aziende straniere che vietano la sindacalizzazione dei lavoratori cinesi, l'ACFTU ha intrapreso un'azione legale aggressiva nei confronti del gigante della distribuzione nordamericana Wal-Mart che è costretto a soccombere per la prima volta in tutto il mondo e accettare le attività di sezioni sindacali in 34 centri commerciali dove lavorano 20.000 dipendenti. Un vice presidente dell'Anp, Cheng Siwei, ha avvertito seriamente nel 2004 la Wal-Mart : "Devono rispettare le nostre leggi, altrimenti ne subiranno le conseguenze". La Federazione dei Sindacati Cinesi ha lanciato una campagna per riconoscimento il sindacato in azienda alla Wall-Mart incontrando un muro di gomma. La corporation americana ha rifiutato sostenendo che il sindacato non è “un canale effettivo” per risolvere le dispute sul lavoro. Il risultato è stato che la Wal-Mart ha oggi il sindacato in azienda con cui ha firmato un accordo per l’aumento degli stipendi. Ha persino sottoscritto un contratto collettivo con i dipendenti di uno dei suoi circa cento negozi, quello di Shenyang con aumenti dell’8% dello stipendio. Ma il sindacato è quello cinese mentre imperterrita l'azienda continua a non avere il sindacato americano e addirittura è uscita dal mercato tedesco per problemi con il sindacato (Ardù 2006) (RSINEWS 2008). Sembra che uno dei libri più venduti nei negozi Wall-Mart in Usa sia quello di sul “lavoro forzato” e la negazione dei diritti dei lavoratori in Cina. Ma rileva un sindacalista americano: "La recente notizia di incursioni dell'INS (Immigration and Naturalization Service) sui lavoratori delle pulizie dei negozi Wal-Mart privi di documenti hanno rivelato la pratica illegale comune della società di non pagare gli straordinari di per i lavoratori immigrati costretti a lunghe ore di fatica in condizioni brutali (e hanno messo) in luce la natura criminale dei rapporti aziendali di Wal-Mart con lavoro. E come tutti nel mondo del lavoro sanno, questa è solo la superficie delle tante pratiche anti-sindacali illegali di Wal-Mart. Ma Wal-Mart non è solo un criminale negli Stati Uniti è anche colpevole di infrangere il diritto del lavoro in Cina. In Cina, i sindacati sono protetti dalla legge. Il Diritto del lavoro cinese impone che se qualsiasi lavoratori richiede il sindacato, l'azienda deve riconoscere il sindacato e accetta di negoziare un contratto di lavoro (Marshall 2003). Occorre dire che una organizzazione come “Veritè” che pone la libertà di formare liberi sindacati come uno delle premesse di un equo rapporto di lavoro, accusa poi alcuni paesi in via di sviluppo di non rispettare di fatto ciò che accettano di diritto. E’ anche il caso di molte aziende americane.

mercoledì 16 gennaio 2013

7.7: La mano invisibile dello stato


7. Socialismo vs. turbo-capitalismo
L'Economist riscopre Lenin come ispiratore degli interventi nell'economia degli stati colpiti dalla crisi. 
Duro risveglio dopo anni di teorizzazione dello stato minimo.

Se Vladimir Lenin si fosse reincarnato nel 21° secolo a Pechino e fosse riuscito a distogliere lo sguardo dagli scintillanti grattacieli della città e dal consumismo vistoso, egli avrebbe immediatamente riconosciuto nel ruolo del Partito comunista Cinese, una replica del sistema che aveva progettato quasi un secolo fa per i vincitori della rivoluzione bolscevica. Basta guardare la struttura del partito per vedere come il sistema politico cinese rimanga comunista e leninista.
Richard McGregor (Foreign Policy)

Ironia della sorte, mentre gli economisti in Europa e negli Stati Uniti si battono per "meno governo" e "mercati aperti" come risposta alla globalizzazione e alla sfida cinese, il partito marxista-leninista che governa la Cina si avvale sfacciatamente di tutti i vantaggi del capitalismo, mentre con fermezza rifiuta di rinunciare al controllo statale sull'economia.
(Lorenz e Wagner 2007).

Il settore statale in Cina è diviso in tre parti: Imprese statali (SOE) gestite dalla State-owned Assets and Supervision Administration Commission (SASAC) sotto il Consiglio di Stato, Aziende di Stato gestite dalle SASAC locali e sotto livelli inferiori di governo, Aziende di Stato controllato da altre aziende di Stato ed imprese che sono possedute e controllate tramite delle sussidiarie delle SOE. La SASAC nazionale è stata costituita nel 1999 con il compito di vigilare sulle attuali 121 imprese centrali di proprietà pubblica (CSOEs). Negli anni 1990 dalle società di gestione del risparmio (SGR) sono state formate quattro banche commerciali statali al fine di evitare perdite per i crediti inesigibili. L'Asset Management Companies (AMCs) fu formata allora affinché le aziende di Stato fossero più reattive sul mercato.

La figura sotto mostra il grado della concentrazione del capitale nelle mani delle più grandi 150 società. Secondo il censimento economico nel 2008, ci sono stati 4.950.000 imprese registrate in Cina con un totale attivo di 207.800 miliardi di yuan (comprese quelle nazionali, gli investitori di Hong Kong, Macao o Taiwan (HKMTI), e straniere). Il patrimonio delle più grandi 117 aziende statali entro le prime 150 imprese è pari al 41,2 per cento del patrimonio totale delle aziende Cinesi.

martedì 15 gennaio 2013

8.2: In Cina non ci sono i sindacati?

  8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


We have several hard nuts to crack including McDonald’s and Wal-Mart. 
Zhang Hongzun, presidente della China’s Educational, Scientific, Cultural, and Medical Workers Union (22 milioni di membri) (Wood 2003).

I sindacati devono tutelare gli interessi dei lavoratori e di promuovere la giustizia sociale, per conquistare la fiducia del pubblico e il sostegno.
Xi Jinping segretario del Partito Comunista Cinese (Ottobre 2013).



Cristina Bombelli, esperta di risorse umane, parla del dilettantismo degli investitori quando approcciano la Cina: "La cosa che colpisce di più quando si sentono gli imprenditori italiani parlare di Cina è il susseguirsi di luoghi comuni che snocciolano. Il costo del lavoro è irrisorio, non ci sono i sindacati, non ci sono standard da garantire. È per questo che nei casi di insuccesso le risorse umane sono la causa principale. Per rimanere in Cina bisogna prepararsi a un mondo dove le persone hanno ambizioni, esiste il sindacato anche se è unico e diverso dal nostro" (Casadei 2007).

Il Consiglio di Stato cinese afferma: "Il governo cinese incoraggia le imprese a rafforzare continuamente le funzioni dei congressi dei lavoratori e i sindacati, e migliorare il sistema di partecipazione democratica. dei lavoratori. Per formare un meccanismo di auto-coordinamento dei rapporti di lavoro nelle imprese, la Cina ha promosso sperimentato e attuato un sistema di contratti collettivi attraverso la consultazione paritetiche. Le leggi e i regolamenti cinesi prevedono che i dipendenti di una impresa possono svolgere la consultazione paritetica e firmare contratti collettivi con quest'ultima tramite rappresentanti sia sindacali che direttamente raccomandati dagli stessi lavoratori, per quanto riguarda la remunerazione del lavoro, l'orario di lavoro, il riposo e le ferie, la sicurezza del lavoro, l'igiene del lavoro, le assicurazioni, il welfare e di altre questioni. Le consultazioni paritetiche assumono forme diversificate, e contratti collettivi hanno contenuti di ampio respiro. La firma di contratti collettivi attraverso la consultazione tra il sindacato e l'impresa viene ormai adottata dalla maggior parte delle imprese" (Labor 2002).

La Federazione Nazionale dei Sindacati Cinesi (ACFTU) si è battuta con forza per avere efficaci leggi di tutela del lavoro, avvertendo le imprese che non potranno sottrarsi alle loro responsabilità e battendosi per contratti più favorevoli ai lavoratori. Il sindacato ora si è impegnato per avere contratti collettivi di lavoro e non più solo per difendere il singolo lavoratore dagli abusi della controparte. I sindacati cinesi avevano 239 milioni di lavoratori[1] associati nel 2010 con un aumento di più di 13 milioni rispetto all'anno precedente. Alla fine di giugno 2013, il numero di organizzazioni sindacali nazionali è pari a 2.753.000, che copre 6.378 mila unità di lavoro. La sindacalizzazione del personale era dell'81,1% con 280 milioni di persone affiliate. I sindacati degli agricoltori hanno 109 milioni di iscritti, più del 40% del numero totale di lavoratori rurali che sono 260 milioni in Cina (Zhang 2013).
Nel 2013 il sindacato cinese contava 
280 milioni di membri
Nel settembre 2010 erano stato sottoscritti 1.408.000 contratti collettivi a livello nazionale, coprendo 2.439.000 imprese e 185 milioni di lavoratori. Entro il settembre del 2010, 2.244.000 imprese e istituzioni erano sindacalizzate in tutto il paese e stavano praticando il sistema dei Congressi dei lavoratori e 87.000 sistemi di congressi regionali dei lavoratori dell'industria erano stato istituiti, con la copertura di 690.000 aziende e in totale di 183 milioni di lavoratori; 2.107.000 imprese e istituzioni hanno messo in atto il sistema aziendale di trasparenza, che copre 142 milioni di lavoratori. I sindacati hanno istituito la "Coppa per la Sicurezza e la Salute " ossia una campagna di emulazione, con 285.000 imprese e 87 milioni di lavoratori che vi hanno partecipato.



"La Federazione cinese dei sindacati (ACFTU) è cresciuta ad un ritmo incredibile. L'adesione era di 87 milioni nel 2001, 239 milioni nel 2010 e 280 milioni nel 2013. L'Ufficio legale del dell'ACFTU elabora in modo proattivo la legislazione e stabilisce i centri di assistenza legale che sostengono la sua attuazione. L'introduzione di Diritto del Lavoro nel 2008 e nel diritto delle assicurazioni sociali nel 2011 ha risvegliato un maggiore senso di consapevolezza dei diritti soprattutto tra i lavoratori migranti" scrive Heiko Khoo (Khoo 2014).
Il sindacato ha tra i suoi compiti la formazione professionale e l'aiuto e il sostegno ai lavoratori bisognosi. I sindacati organizzano attivamente il lavoro di inserimento professionale e si assumono il compito della formazione permanente per rilanciare l'occupazione. Nel 2010, i sindacati hanno aiutato con successo 1.889.000 di persone in cerca di lavoro a trovarne uno e hanno iniziato la “Sunshine Employment Action” per aiutare 85 mila laureati provenienti da famiglie di lavoratori bisognosi a trovare un impiego. Durante il giorno di Capodanno e della Festa di Primavera nel 2010, i sindacati ai vari livelli hanno raccolto un totale di 3,36 miliardi di yuan per il Warmth Fund visitando 169.000 imprese e 5.710.000 famiglie di lavoratori bisognosi e coordinandosi con i servizi di trasporto delle ferrovia per aiutare 7.126.000 lavoratori migranti a tornare a casa, fornendo aiuti finanziari per 150 milioni di yuan ai lavoratori migranti. I sindacati a vari livelli hanno fornito sostegno finanziario per 890 milioni di yuan aiutando 656.000 figli di lavoratori bisognosi a frequentare la scuola. I sindacati dedicato notevoli sforzi per promuovere la costruzione di centri di assistenza e di sostegno. 3.457 lavoratori bisognosi di aiuto hanno ricevuto aiuti e 27.830 punti e stazioni di aiuto e di supporto per lavoratori bisognosi sono stati istituiti in tutto il paese.
Il sindacato si è impegnato ad istituire le organizzazioni sindacali a norma di legge in ogni azienda per sindacalizzare la stragrande maggioranza dei lavoratori, compresi i lavoratori migranti e dei servizi del lavoro, facendo ogni sforzo per aumentare il tasso di sindacalizzazione a livello nazionale con il 65% delle imprese sindacalizzate e il numero le iscrizioni al sindacato che sono arrivate oltre l'80% nel 2011 (Il tasso di sindacalizzazione a livello nazionale dovrebbe raggiungere il 90% delle imprese e il numero degli iscritti superare il 90% entro la fine del 2013). Il sindacato si è impegnato ad avviare la contrattazione salariale a norma di legge, rafforzando la contrattazione salariale collettiva regionale e la sindacalizzazione del lavoro delle prime 500 imprese mondiali in Cina che ha consentito al sistema di contrattazione salariale collettiva di coprire il 60% delle imprese sindacalizzate nel 2011 (oltre l'80% entro la fine del 2013) (Labor Union 2011).

Questi ambiziosi programmi dei sindacati sono confermati anche da studiosi stranieri: "...le nostre interviste con i rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro a livello nazionale e comunale hanno mostrato un chiaro impegno per sviluppare il potere delle loro rispettive organizzazioni in qualità di rappresentanti indipendenti, e consentire loro di articolare gli interessi, le aspirazioni e le rivendicazioni dei loro membri all'interno del sistema del dialogo sociale ". La commissione di informazione ha anche osservato che "l'ACFTU è il più attivo sostenitore della consultazione trilaterale come mezzo per proteggere i propri membri e mantenere la pace sociale" (Chan 2004).

Spesso le critiche ai sindacati cinesi vengono da paesi come gli Usa dove gli iscritti sono sì e no il 8% oppure dalla Gran Bretagna dove i lavoratori sindacalizzati sono uno su otto con percentuali minori nel settore in rapida crescita dei servizi. Paesi dunque ampiamente de-sindacalizzati. Scrive James Petras su Dissident Voice : "Sollevando lamentele più o meno ugualmente applicabili all’Occidente e al Giappone, sull’ambiente, sulla sicurezza dei prodotti ed i diritti sindacali (più del 91% dei lavoratori del settore privato degli Stati Uniti non è iscritto al sindacato e la maggior parte dei lavoratori del settore pubblico hanno un diritto di sciopero altamente limitato o nullo), sia gli Stati Uniti che l’UE stanno tentando di ostacolare l’emersione della Cina come potenza economica mondiale" (Petras 2007).

In Occidente si pensa che gli operai in sciopero ripudino la direzione sindacale. Non è affatto così:
I diri­genti del sindacato di Shekou erano militanti sinceri che avevano stretti legami con i lavoratori e ne difendevano fedelmente i diritti. L’esame del sistema organizzativo del sindacato indica che il presidente era elet­to pubblicamente con voto diretto e che tutti i dirigenti erano scelti sul­la base di test. Inoltre i dirigenti venivano regolarmente valutati dagli operai. Dopo la riforma delle imprese, i sindacati cominciarono ad agire come partner nella gestione dell’impresa. Compito principale del sinda­cato era di difendere i diritti basilari dei lavoratori, in particolare quando venivano ignorati. Per esempio, quando più di 1.300 operai dell’officina di Kaida Toy entrarono in sciopero per esigere un aumento di salario, fu il sindacato, con tre lavoratori dell’impresa, a negoziare con il datore di lavoro. Questi insisteva sul fatto che i salari degli operai erano supe­riori al salario minimo stabilito dal governo locale. Ma il sindacato di­mostrò che i salari includevano il pagamento degli straordinari, e che di fatto erano inferiori al salario minimo. Le due parti non riuscivano a trovare un compromesso, e il caso fu portato davanti all’amministrazio­ne del lavoro. Le autorità finirono per dichiarare ufficialmente che “il pagamento degli straordinari non doveva essere conteggiato nel salario minimo”. Perciò il datore di lavoro fu obbligato ad aumentare i salari, con soddisfazione di tutti (Feng 2006).
Come si vede il sindacato non è necessariamente estraneo agli scioperi e di solito tratta per i lavoratori in sciopero. Il Washington Post informa che l'ACFTU “sembra interessata a mostrare la sua solidarietà ai lavoratori in sciopero” e riconosce che l'ACFTU “simpatizza con gli operai” smentendo così la notoria versione occidentale che li accusa di abbandonarli per prendere la parte degli imprenditori (Egido 2008). In realtà lo sciopero è considerato piuttosto normale in Cina. Bisogna però ridimensionare la percezione che c’è in Occidente. Gli scioperi coinvolgono nemmeno un milione di operai l’anno. Quanto uno sciopero generale in Lombardia. Nulla se consideriamo i 300 milioni di lavoratori cinesi.
Tra l'altro sotto la pressione dei sindacati nel 1998 e poi ancora con le modifiche del 2001 fu introdotta quella che viene considerato come il riconoscimento della libertà di sciopero. Infatti l'articolo 27 recita:
In caso di blocchi del lavoro o scioperi del rendimento in un’impresa o in un’istituzione, il sindacato dovrà, per conto dei lavoratori e degli impiegati, tenere delle consultazioni con l’impresa o l’istituzione o le parti coinvolte, presentare le opinioni e le richieste dei lavoratori e degli impiegati, e avanzare delle proposte. Riguardo alle richieste ragionevoli fatte dai lavoratori e dagli impiegati, l’impresa o l’istituzione dovrà provare a soddisfarle. Il sindacato dovrà assistere l’impresa o l’istituzione nel trattare propriamente la questione, in modo da aiutare a ripristinare il normale ordine della produzione e l’altro lavoro il più velocemente possibile (Franceschini 2007).
Un altro caso è ancora più evidente. In un’azienda ci fu un problema tra i lavoratori pensionati della società:
(…) il presidente del sindacato prese la parola di fronte alla folla: “Cari vecchi compagni, sono il presidente del sindacato generale, che, come voi tutti sapete, è un portavoce fedele dei lavoratori. Vi domando con sincerità di accordarmi la vostra fiducia e di autorizzarmi a negozia­re con le autorità.” Cadde il silenzio, la folla si calmò e i negoziati che seguirono furono coronati dal successo.
Due anni dopo, nella stessa impresa ci furono ancora dei problemi quando fu tagliata l’elettricità per delle bollette non pagate. Il sindacato dell’impresa cominciò a preparare una marcia di protesta. Il suo atteg­giamento fu immediatamente definito “antigovernativo”. Il sindacato generale dichiarò al governo locale che in quelle circostanze era dovere legale del sindacato stare al fianco dei lavoratori e negoziare. Le autorità locali accettarono la posizione del sindacato e l’incidente fu risolto con la massima serenità. In questo caso, si vede che il comitato locale del Partito ha sostenuto il sindacato, appunto perché esso è legalmente au­torizzato a difendere i diritti dei lavoratori (Feng 2003).
Dunque il sindacato fa una marcia di protesta e non si vede per quale ragione non avrebbe dovuto farlo dato che la Costituzione garantisce la libertà di manifestazione. Naturalmente questa non è sempre stata la regola generale del sindacato.
II sindacato generale del dipartimento di Lishu, nella provincia di Jilin, fu selezionato nel 1998 (ACTU, 1998c). Come in molti altri luoghi della Cina, i dirigenti dei sindacati venivano scelti dalle autorità. Negli anni ottanta, grazie a un’inchiesta, il sindacato generale della contea si rese conto che la maggior parte dei dirigenti dei sindacati locali svolgeva un ruolo solo simbolico. La loro età media era di 54 anni e il 95% aveva un’istruzione limitata al diploma secondario. Ma il peggio era che dove­vano rendere conto della loro attività solo alle autorità. Spesso trascura­vano i diritti legali degli iscritti al sindacato e non facevano nulla per proteggerli. E viceversa, gli iscritti al sindacato si disinteressavano di un’organizzazione in cui non avevano il diritto di eleggere i dirigenti. Dopo il 1984, tutti i presidenti dei sindacati locali vennero eletti diretta­mente dagli iscritti. Inoltre essi ottennero il diritto di dare periodicamente una valutazione dell’operato del presidente o della presidente. Per riprende­re le parole degli iscritti al sindacato: “Questi portavoce, siamo noi che li abbiamo scelti”. Quattordici anni dopo, 320 sindacati locali della con­tea avevano a capo dei dirigenti eletti direttamente, dinamici e devoti al loro compito. L’età media era di 36,7 anni e il 69% di loro aveva fatto studi superiori. Tutti divennero veri portavoce degli iscritti al sindacato (Feng 2003).
Quindi è un mito che i lavoratori contino meno oggi che non durante il periodo pre-riforma.
Sono state condotte varie inchieste sulla percezione dei sindacati da parte di vari tipi di lavoratori: operai qualificati, tecnici e operai agricoli. Prendiamo questi ultimi che vengono ritenuti quelli più svantaggiati. In realtà i braccianti sono ancora più sensibili (60,6%) degli operai qualificati (48,6%)  e dei tecnici (55,1%), alle funzioni sociali del sindacato. In ogni caso la funzione sociale e non quella strettamente corporativa del sindacato è quella maggiormente gettonata in tutte e tre le categorie.
Alla domanda “Secondo voi, su quale compito dovrebbe concentrarsi il sindacato?”, il 24,5% degli operai agricoli ha risposto “stabilire meccanismi di consultazione collettiva” e il 75,5% “far funzionare il sistema del Consi­glio dei lavoratori”. Il secondo gruppo include coloro che avevano scel­to di rispondere “valutare la gestione dell’impresa” (12,7%), “partecipa­re a importanti riforme politiche” (2%), “aiutare gli operai a risolvere difficoltà personali” (38,2%), “fare formazione professionale” (11,8%), “organizzare concorsi di produzione” (4,9%) e “promuovere attività educative e ricreative” (5,9%). Coloro che hanno indicato dei compiti riguardanti il funzionamento del consiglio dei lavoratori, vale a dire la partecipazione democratica, sono nettamen­te più numerosi di coloro che hanno optato per l’instaurazione di mec­canismi di consultazione collettiva. Dunque ancora si tratta di un meccanismo che rafforza le funzioni sociali del sindacato.
In generale i lavoratori si dicono soddisfatti dei loro sindacati, oggi si ritengono più soddisfatti che per il passato.
Un sindacalista occidentale è abbastanza stupito delle funzioni del sindacato cinese: 
Essi allestiscono l'assicurazione sanitaria e le prestazioni previdenziali in imprese di proprietà statale, costruiscono le case per gli anziani, aiutano i lavoratori a trovare una casa, gestiscono mense, centri medici, scuole materne e bagni pubblici. In un sondaggio nelle aziende private su ciò che il sindacato fa meglio l'ottanta per cento dei membri del sindacato ha messo al top le manifestazioni culturali e i biglietti del cinema. Solo l'otto per cento ha detto che il sindacato si batte per i salari dei lavoratori e le condizioni di lavoro. E' questa una trasformazione? In Cina la principale responsabilità dei sindacati è vista nello sviluppo economico. In tutte le imprese, il sindacato sostiene la produzione e l'efficienza economica. In alcune aziende la leadership del sindacato è anche al vertice del management (i dirigenti sindacali eletti entrano a far parte del management). Il finanziamento per il sindacato è garantito, in quanto l'impresa è tenuto per legge a versare il 2 per cento di assistenza finanziaria. Ci sono i diritti di partecipazione del sindacato in particolare nelle imprese statali e sempre più nel settore privato. Ma anche se ci sono "consigli e assemblee dei dipendenti", e diritti per il sindacato di concludere contratti collettivi, i contratti collettivi non sono ampi e coprono solo il 22 per cento del settore privato (percentuale mutata radicalmente negli ultimi anni)"(White 2007).
Ho esposto qui una sintesi di un saggio che venne pubblicato da intellettuali generalmente piuttosto critici nei confronti della realtà cinese. Lo studio dà un sunto non solo delle posizioni di studiosi cinesi ma anche occidentali e poi il libro non risparmia critiche, spesso discutibili, ai dirigenti della Repubblica Popolare Cinese.
Recentemente ci sono anche stati scioperi contro padroncini italiani che erano andati in Cina pensando di avere a che fare con schiavi. Se poi gli scioperi sono decine di migliaia sono poca cosa in Cina dato che la Cina ha un numero di operai che supera i 200 milioni nella sola industria manifatturiera.
Quanto sia radicato il pregiudizio sul sindacalismo cinese lo rivela una visita di sindacalisti bergamaschi in Cina portati là da un imprenditore che vuole delocalizzare. Già il sindacalista si rivela pieno di pregiudizi: "Ultima nota di viaggio: corruzione a manetta. Un’automobile costa poco più di 4 mila euro. Ma ce ne vogliono altrettanti per «comprare» la targa. «Ci hanno detto che è così  per legge. Sì, la legge della mazzetta»" (Cartosio 2005).
Delegazione dei sindacati cattolici del Belgio incontra
i leader sindacali cine
si
Quello che sostiene è vero ma c’è un piccolo particolare, i cinesi “tassano le targhe” delle automobili come una sorta di Tobin Tax contro l’inquinamento. Ciò che è una caratteristica positiva diventa immediatamente un aspetto negativo. La visone è del tutto deformata dai  pregiudizi. Non c’è nulla di cui stupirsi se poi continua: "Il sindacato? Non c’è. Per fortuna, visto che quello di regime funziona solo come agenzia di controllo o di collocamento. A un terzista servono 200 operai? Si rivolge al sindacato che li «recluta» velocemente nelle campagne: paghe basse, vivono nei dormitori, tornano al paese solo tre volte all’anno. Il partito comunista cinese? «C’è, ma chi sta lì pochi giorni e non deve concludere affari non se ne accorge. Ho visto solo due o tre bandiere rosse, nessuna statua». Cosa fa il partito? «E’ al servizio del capitalismo più sfrenato»" (Cartosio 2005).

Giustamente osserva Losurdo:
E comunque – si lamenta «Wall Street Journal–Europe» del 6 giugno 2007 – «da diversi anni i salari cinesi crescono ininterrottamente al ritmo annuale del 10% per cento». Il tasso di crescita tende a conoscere un’ulteriore accelerazione: a causa anche del netto miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne, ora gli emigrati «si attendono salari più alti del 16% rispetto all’anno precedente» ed esigono e riescono a strappare anche benefici e miglioramenti ulteriori. Ancora più impressionanti sono i dati riportati dal settimanale tedesco «Die Zeit» del 18 ottobre, in un articolo di Georg Blume: «Attualmente, i salari più bassi crescono del 30% all’anno, mentre il reddito medio cresce del 14%, e dunque ben più rapidamente di un’economia che pure si sviluppa in modo dinamico». E’ vero, il costo del lavoro aumenta più lentamente, ma solo a causa del rapido sviluppo della produttività. A ben guardare, pur con tutti i suoi limiti e ritardi, il sindacato ufficiale cinese si rivela nettamente più maturo dei suoi critici (anche quelli di «sinistra»): chiama la classe operaia a non rinchiudersi in un gretto corporativismo, per essere invece la protagonista del processo di industrializzazione e modernizzazione del gigantesco paese asiatico nel suo complesso, la protagonista della lotta nazionale per l’acquisizione delle tecnologie più avanzate, in modo non solo da rafforzare l’indipendenza della Cina ma anche da spezzare il monopolio in questo campo finora detenuto dall’Occidente (Losurdo 2007).
Losurdo mette l’accento sul sindacato che non svolge un ruolo grettamente corporativo, di questo si è discusso in Cina. Il sindacato ha sì compiti specifici ma i cinesi mettono l’accento anche su quelli generali: "Diversamente dalla funzione di interesse pubblico, il cui fine è di difendere gli interessi di persone fuori dall’organizzazione — pensiamo al partito politico o al governo — il fine di un’organizzazione sindacale è difendere gli interessi di tutti i suoi iscritti. Tradizionalmente il popolo cinese valorizza enormemente l’interesse pubblico, in opposi­zione all’interesse personale" (Feng 2003).
Ossia in generale i cinesi tendono, come vedremo allorché parleremo dei diritti umani, ad anteporre l’interesse collettivo a quello individuale. Il sindacato ha cambiato funzioni rispetto al periodo precedente alle riforme. Prima era una sorta di organismo politico appena diverso dal Partito, ora ha assunto su di se anche l’interesse “individuale” inteso come difesa degli interessi “corporativi” dei lavoratori senza trascurare gli interessi collettivi:
Nel vecchio sistema politico, l’ac­cento veniva posto sugli interessi propri della classe operaia e i sindacati non rappresentavano un interesse sociale particolare. Gli interessi dei lavoratori possono essere generali, collettivi o individuali. Il primo tipo di interesse è rappresentato dal consiglio dei lavoratori e del personale amministrativo, il secondo dal rappresentante legale dell’unità, il terzo dal sindacato. Gli interessi individuali sono un concetto collettivo che non si riferisce solo agli individui ma ai lavoratori considerati nel loro insieme. Esso comprende le questioni legate alla remunerazione del lavoro, alle condizioni in cui si svolge, alle condizio­ni di vita, alla distribuzione dei diritti di proprietà, alla partecipazione democratica, alla formazione tecnica ecc. Quando diciamo che il sindacato rappresenta gli interessi dell’individuo vogliamo indicare che dovrebbe tendere alla soddisfazione dei bisogni dell’individuo. Ma anche in questo caso, non dovrebbe perdere di vista gli interessi di ordine ge­nerale e quelli collettivi (Feng 2006).
Nel passo appena citato vengono chiaramente esposti gli interessi ai vari livelli, ad esempio il Consiglio dei Lavoratori e del personale amministrativo che partecipa anche alla gestione della aziende come rappresentante dell’interesse generale perché proprio di tutta la società poi il rappresentante dell’unità produttiva che rappresenta gli interessi legali, quindi collettivi, dei lavoratori di quella azienda ed infine il Sindacato che rappresenta gli interessi individuali e i bisogni dei singoli lavoratori ma che non sono in conflitto con gli interessi collettivi.
"I sindacalisti mantengono un controllo stretto con i dirigenti dell’amministrazione. Il presidente del sindacato è membro ufficiale del­la direzione dell’impresa e ha il diritto di partecipare alle riunioni della direzione del Partito e della direzione amministrativa. Per la Zhang, il consiglio dei lavoratori e del personale amministrativo è “un sistema che combina la politica e l’amministrazione”, giacché ha la duplice fun­zione di gestione amministrativa e di rappresentanza di interessi. Da questa analisi possiamo dedurre che, nel nostro sistema, anche il sinda­cato ha una funzione duplice di rappresentanza di interessi e di ruolo sociale, fermo restando che il secondo è maggiormente evidente(Feng 2006).
Dunque i sindacati sono la forma attraverso cui i lavoratori partecipano oltre al Consiglio dei lavoratori anche all’amministrazione dell’azienda:
A partire dagli anni no­vanta la consultazione collettiva e il sistema di contratto collettivo (che chiameremo “sistema di consultazione collettiva”) sono stati adottati in un numero crescente di imprese. Questo nuovo sistema, diverso dal consiglio dei lavoratori, offre ai sindacati un mezzo più sistematico di rappresentare gli interessi dei lavoratori. Il diritto del lavoro della Re­pubblica popolare cinese riconosce chiaramente che i lavoratori e le im­prese costituiscono due parti. Secondo l’art. 32 della legge sul lavoro, il contratto collettivo deve essere firmato dalla parte che rappresenta i la­voratori dell’impresa e dall’impresa in quanto controparte. Normalmen­te, è il sindacato che rappresenta i lavoratori. L’art. 84 stabilisce che i conflitti relativi al contratto collettivo che non si possono risolvere fra le due parti vanno presentati all’amministrazione del lavoro, al comitato di arbitrato del lavoro o al tribunale del popo­lo (Feng 2006).
Nella citazione di Feng ci si riferiva a periodi precedenti l’introduzione delle nuove normative del lavoro e si vede come i lavoratori e i sindacati potessero avvalersi, anche allora, di vari strumenti compreso il ricorso davanti ad un tribunale per fare prevalere i loro interessi.
Come sempre i cinesi introducono cambiamenti a livello locale che se poi è il caso li estendono. Ad esempio il salario minimo applicato a livello sperimentale in alcune zone poi generalizzato alla fine degli anni ’90. Poi, in seguito, agli inizi del nuovo secolo 10.000 imprese hanno iniziato un esperimento pilota attraverso negoziati collettivi. 26 provincie, regioni autonome e municipalità hanno pubblicato le linee guida degli stipendi e 88 città pubblicavano guide ai livelli salariali per il mercato del lavoro già nel 2002.
Anche gli studiosi stranieri che hanno analizzato la funzione dei sindacati cinesi concordano sulla loro funzione non meramente corporativa ma anche sociale:
La ricercatrice americana Jeanne L. Wilson e l’australiana Anita Chan hanno analizzato lo sviluppo del sin­dacalismo in Cina dal punto di vista del corporativismo societario Secondo le due ricercatrici, i sindacati in Cina vanno considerati come “organizzazioni a funzione sociale” più che come organizzazioni rappresentative di interessi. La loro analisi suggeri­sce che dagli anni cinquanta ai novanta del secolo scorso i sindacati ci­nesi erano una specie di organizzazione funzionale combinata. In pro­spettiva leninista, il ruolo dei sindacati è di collegare la direzione centra­le del Partito alle masse lavorataci. La doppia funzione che i sindacati avrebbero dovuto svolgere consisteva da una parte nel trasmettere le istruzioni dello Stato centrale dal vertice alla base, per mobilitare i lavo­ratori nella produzione, e dall’altra far risalire le esigenze dei lavoratori dalla base al vertice, per proteggere i loro interessi e il loro benessere. Alcuni giudicano che questo “dualismo classico” sia una contraddizione in sé. Jeanne Wilson nella sua analisi della prassi della Federazione dei sindacati cinesi conclude che malgrado la dimensione contraddittoria di quel dualismo, nella misura in cui il concetto è applicato nella pratica, il mo­vimento sindacale cinese può ottenere un’autonomia maggiore di quella che aveva al tempo di Mao (Wilson, 1986, 244). Anita Chan pensa che la Wilson è una dei rari studiosi occidentali che abbiano veramente col­to il senso delle attività della Federazione sindacale cinese. Chan ritiene che in quanto organizzazione corporativa la Federazione ha svolto un ruolo ancora più importante di quanto non pensi la Wilson. Nel sistema politico attuale, la Federazione rappresenta de facto le funzioni legittime dei lavoratori e la sua natura corporativa diventa sempre più evidente. (…) La sua forma ideale somiglierebbe a una specie di corporativismo sociale. Anita Chan spera che la Federazione saprà im­parare dalle esperienze dei sindacati dell’ex Unione Sovietica e dei paesi dell’Europa orientale. Se questo sforzo sarà efficace, i lavoratori sapran­no riconoscere che la maniera migliore per tutelare i loro interessi di classe è di fare il miglior uso possibile del sistema esistente. Se non sarà così, i cambiamenti di struttura del corporativismo di Stato saranno probabilmente meno rischiosi (Chan, 1993, 21) (Feng 2006).
Dunque la funzione rappresentativa positiva dei sindacati è riconosciuta proprio da studiosi occidentali. Un dirigente sindacale poi ricorda il dibattito all’interno del sindacato che viene paragonato alle organizzazioni femministe per la sua specificità:
“Durante la preparazione del 10° congresso nazionale della Federazione sindacale cinese, si decise di presentare un foglio del percorso all’autori­tà centrale del Partito, per l’approvazione. Nessuno di noi aveva obbie­zioni a focalizzare il lavoro sul problema della modernizzazione. Erava­mo anche d’accordo sui due ruoli principali del sindacato: difendere gli interessi dei lavoratori ed educare i lavoratori. Le opinioni erano però divergenti al momento di stabilire una gerarchia fra i due ruoli. A quale dare priorità? Quando il problema fu presentato all’autorità centrale del Partito, il compagno Hu Qiaomu affermò che se la campagna delle donne era considerata come un movimento femminista e l’obiettivo principale della Federazione femminile cinese era la difesa dei diritti le­gali delle donne e dei bambini, il ruolo del sindacato era parallelamente quello di difendere i diritti legali degli operai. Questo parere fu poi approvato dal segretariato del Comitato centrale del Partito. Per questo il ruolo di difesa degli interessi dei lavoratori è stato particolarmente evidenziato al momento del 10° congresso nazionale della Federazione sindacale cinese” (Chen ji, 1999 citato in Feng 2003).
Per risolvere i conflitti sindacali in Cina sono stati istituiti comitati di arbitrato. Fino alla fine del 2001 in Cina erano stati creati 3.192 comitati di arbitrato per le dispute di lavoro a livello di contea o superiore, consistenti in circa 20.000 “arbitri” a tempo pieno o parziale. Dall‘agosto 1993, quando è stato promulgato il Regolamento delle dispute  concernenti la risoluzione delle delle dispute del lavoro, alla fine del 2001, i comitati nell’intero paese hanno affrontato 688.000 dispute, che coinvolgevano 2.368.000 lavoratori. Più del 90% di queste dispute sono state depositate ufficialmente altre 503.000 non sono state registrate ufficialmente.

La maggior parte di queste cause riguardano gravi abusi: ritardo nel pagamento dei salari (a prescindere dal settore a cui apparttiene l'azienda), la violazione del diritto al risarcimento per i lavoratori licenziati nel settore statale, ritardo nel pagamento  delle pensioni, orari di lavoro eccessivi, la mancanza di risarcimento in caso di incidente o contrazione di malattie professionali. Secondo uno studio, i lavoratori meno istruiti tendono portare le loro lamentele, davanti agli Uffici reclami gestiti dagli Uffici del Lavoro delle Assemblee Municipali del popolo o agli organi del partito, mentre i lavoratori più istruiti e più abili sono più propensi a fare ricorso alla legge. In un caso come nell'altro, è l'azione legale intrapresa in risposta ad un reato. Non si tratta d iniziative collettive per reclamare i diritti come il diritto di presentare denuncia contro una direzione che nega la contrattazione collettiva o contro funzionari sindacali che non tutelano i diritti dei lavoratori. In realtà, queste opportunità di arbitraggio possono anche servire a prevenire una situazione di crisi in cui i lavoratori potrebbero tentare di formare sindacati o impegnarsi in proteste di massa. E questa è la ragione che presiede la politica del governo di istituire procedure legali per la risoluzione delle controversie (Chan 2004).
Il numero delle vertenze di lavoro attraverso procedure arbitrali stabilite dalla nuova normativa, ha ha fatto un balzo significativo, da 19.000 controversie nel 1994 a 184 000 nel 2002. Tra il 1987 e la fine del 2005 ci sono state 1,72 milioni controversia ad arbitraggio del lavoro, che hanno interessato 5,32 milioni di lavoratori, più della metà dei quali coinvolti in controversie collettive, con un tasso di crescita del 27,3% annuo (China Daily, 27 agosto 2007). Il numero di controversie che vanno ad arbitrato sono aumentate di un ulteriore 42% nel 2006 rispetto al 2005. La maggioranza di casi di arbitrato vengano risolti a favore dei lavoratori. I lavoratori hanno vinto nel 2001 il 48% dei casi, i datori di lavoro ha vinto il 21% e i rimanenti non risolti inequivocabilmente a favore di una delle parti (Clarke e Pringle 2009). Le clausole favorevoli ai lavoratori in tal modo hanno consentito di incanalare una parte delle rivendicazioni in azioni legali. Non solo le leggi hanno reso possibile le procedure, ma hanno anche aumentato la consapevolezza che i lavoratori hanno dei loro diritti (Chan 2004).

Il passaggio di queste nuove leggi ha consentito un notevole aumento del numero di avvocati e di servizi di assistenza legale per i lavoratori che effettuano le vie legali per chiedere il risarcimento in caso di incidenti o malattie. Alcuni avvocati esercitano nel contesto dei centri di assistenza legale nei dipartimenti di diritto delle università o dei sindacati, mentre altri cominciarono a praticare privatamente. Atti di risarcimento stanno diventando sempre più aggressivi, nonostante la loro natura reattiva, dal momento che il governo è disposto a fornire più spazio per tali cause. Ma queste procedure sono troppo lunghe, in modo che i lavoratori e i lavoratori migranti non le possono utilizzare per mancanza di tempo e di denaro (Chan 2004).

La Federazione Unitaria dei Sindacati della Cina (ACFTU) nell’aprile del 2007 ha pubblicato il proprio piano per promuovere la contrattazione collettiva in più industrie e regioni.   Il meccanismo permetterebbe ai rappresentanti dei sindacati o dei lavoratori di assumere l’iniziativa nella richiesta di aumenti di salario e di negoziare direttamente con i datori di lavoro affinché le due parti raggiungano un accordo. Il vicepresidente dell’ACFTU, Sun Chunlan, ha affermato di voler esplorare e cercare di risolvere i problemi esistenti promuovendo le trattative per salari ragionevoli, bonus, assegni e sussidi. Già dal 2007 le autorità di Shanghai hanno pubblicato un piano particolareggiato per promuovere tali pratiche, che punta a stabilire nel giro di un'anno il meccanismo della contrattazione con i sindacati nel 75% delle imprese statali e nel 60 % delle imprese non-pubbliche. Il piano incrementerà il numero di lavoratori coperti dal meccanismo del 10 %. L'idea di risolvere le dispute salariali attraverso la contrattazione organizzata venne introdotta dal Ministero del Lavoro e della Sicurezza Sociale che nel 2000 si pronunciò a favore della parità fra datore di lavoro ed i lavoratori nel fare proposte conservando lo stesso potere di veto. Un esempio è stata a trattativa salariale alla Hua Yue nel 2007, un’azienda i cui 700 impiegati hanno ottenuto l’innalzamento dell salario minimo annuale di 1.860 yuan (265 dollari USA). I lavoratori specializzati hanno goduto un aumento maggiore (Salari cinesi 2007).
Scrive una sindacalista canadese: "L’ACFTU sembra essere dall’esterno un monolite. In pratica funziona in modo differente nei vari posti di lavoro ed è composta da sindacalisti con una vasta varietà di opinioni su come i sindacati debbano funzionare in Cina".
Le leggi che proteggono i diritti del lavoro in Cina sono migliori che in molti altri paesi e secondo l'OCSE migliori di quelle italiane. Ma i pregiudizi sono tali che raramente si coglie la realtà. Ad esempio afferma un sindacalista italiano: "Per gli standard cinesi, l'Itema di Shanghai è una fabbrica modello: pulita, ben aerata, dotata di mensa e spogliatoi. Ritmi di lavoro sostenuti ma non pazzeschi. Lavoratori giovani, molte donne. Il salario superiore alla media permette d'avere un'abitazione individuale. «Ma per i diritti, siamo al Medio evo». (Cartosio 2005). Il problema è che è che la questione dei diritti i sindacalisti non l'hanno affrontata con i loro colleghi cinesi e tutto è stato ricavato da impressioni.

Con 25 firme sul posto di lavoro i lavoratori possono costituire il sindacato. Una volta riconosciuto, il proprietario deve pagare il 2% degli stipendi complessivi al sindacato e i lavoratori lo 0,5%. La Labour Contract Law entrata in vigore il primo gennaio del 2008, ha aiutato ad assicurare i sindacati del diritto di negoziare accordi collettivi. Continua il sindacalista canadese:
La visita alla General Motors di Shanghai era preparata dall’azienda e ho passato la giornata assieme al direttore per la salute e sicurezza della GM per la Cina. Ho incontrato i rappresentanti sindacali alla fine del giro degli impianti e a anche a pranzo… Tre persone sono responsabili per la conduzione delle elezioni nei sindacati a scrutinio segreto. I 5000 votanti hanno eletto 200 rappresentanti sindacali. Questi rappresentanti hanno eletto a loro volta la dirigenza a tempo pieno del sindacato (l’equivalente di dodici persone e mezzo dato che il presidente è anche presidente del Partito). Il sindacato è guidato dai vecchi rappresentanti scelti dai lavoratori.
Le elezioni sindacali si sono tenute l’anno scorso e si tengono ogni conque anni. Durante questo periodo la compagnia non può licenziare nessuno dei rappresentanti del sindacato. Il tempo perso dai rappresentanti sindacali, sia quelli a tempo pieno che part-time, viene pagato dall’azienda come richiesto dalla legge. Lo stipendio del presidente del sindacato è almeno lo stesso del presidente dell’Azienda e lo stipendio del vice-presidente è al livello di direttore.
Noi abbiamo avuto lunghe discusioni sul problema del ritorno al lavoro e l’invalidità permanente. Il sindacato ha fatto un vero passo in vanti e il presidente è abbastanza fiero di questo. I contributi di malattia sono normalmente pagati attraverso il sindacato, ma 10 lavoratori dell’azienda hanno contratto il cancro e sono permanentemente disabili, il presidente ha dato un cifra addizionale di 1,9 milioni di Euro per provvedere ai lavoratori disabili. Queste somma è per i trattamenti medici e per il pagamento del trattamento di malattia che varia dal numero di lavoratori dipendenti. Stipendi e benfits sono relativamente alti, con stipendi con una media di 2.200-2.500 RMB per mese, e con una partecipazione agli utili che può raddoppiare lo stipendio (i lavoratori hanno preso 25 mensilità di salario nell’ultimo anno). I bonus sono pagati ogni quattro mesi. Straordinari possono essere richiesti per un’ora al giorno. Qualche volta si lavora il sabato ma i lavoratori sempre riposano la domenica. Ebbene ci sono anche sussidi per la casa. La compagnia incoraggia i lavoratori a comprare l’automobile e prevede speciali vantaggi e una sovvenzione di incoraggiamento se essi lo fanno. I lavoratori possono permettersi di comprare una piccola macchina e la compagnia fa loro uno sconto (sei mesi di salario se è la prima volta). Così più di 500 persone hanno comprato l’auto ma la maggior parte sono dirigenti. Ci sono ora 3.259 membri del sindacato di cui 603 donne. Molto lavoratori sono anziani ma ci sono nuovi arrivi. Recentemente 90 diplomati dal college e 270 altri lavoratori sono stati assunti. Prima che l’assunzione inizi, essi ricevono una formazione sulla sicurezza. Il sindacato è stato fondato nel 1984 e funziona attraverso il sistema dei congressi, il primo dei quali si tenuto nel 1985. Ci sono stati sei congressi fino ad ora. Il congresso sceglie il Comitato sindacale che consiste in 11 persone e un presidente. Ce ne sono 10 rappresentanti a tempo pieno e circa 25 part-time. Ci sono circa otto gruppi di lavoro specializzati, tra loro i maggiori sono: salario e welfare, produzione, protezione sul lavoro. Ci sono anche 10 rappresentanti part-time, eletti dai lavoratori con un sistema di voto segreto (scrivendo il nome su un pezzo di carta) su base dipartimentale. Io gli ho domandato cosa succederebbe se alla compagnia non piacessero i rappresentanti part-time. Lei mi ha risposto che sarebbe molto molto male per l’azienda, siccome essi sono i veri rappresentanti sindacali. Lei si incontra con questi rappresentanti part-time ogni giorno e dice che essi sollevano suggerimenti e danno idee, non solo problemi e lamentele (Walker 2004)[3].

Un'altra forma organizzativa, che esprime anche il potere della classe operaia e del suo rapporto con il governo e lo Stato, sono i comitati del PCC nelle aziende. Solo nelle imprese non statali nel 2001 funzionavano 71.000 organizzazioni di partito. A volte i comitati di partito capeggiano le mobilitazioni per chiedere legittimi miglioramenti. Il giornale della borghesia di Hong Kong  riferisce che nelle città di Xianyang, Yan'an, Baoji e Hayzhong funzionari dell'Acftu e membri del Partito hanno marciato uniti con i lavoratori (Egido 2008).

Qui è una sindacalista americana in visita ad un parco tecnologico che riporta:
Il parco stesso è un progetto di joint venture tra il governo cinese e un governo straniero - Singapore. L'obiettivo è quello di ottenere l'up-to-date della tecnologia, l'esperienza commerciale e gestione dello sviluppo economico di Singapore. Gli investitori stranieri forniscono un strada per entrare nel vasto mercato cinese in forte espansione. Abbiamo domandato quale sia il livello di sindacalizzazione in SIP - la All China Trade Union Federation aveva detto che il suo obiettivo è quello di organizzare tutti i lavoratori del settore privato, nonché le imprese di proprietà statale. Ci hanno detto che funzionano oltre 20 sindacati al parco industriale, e più del 75 per cento dei lavoratori sono organizzati. Nel quadro di accordi intergovernativi, le joint venture non devono opporsi in qualsivoglia modo ai lavoratori che vogliono sindacato (Bechtel 2002).
La ristrutturazione delle aziende di Stato nel periodo in cui arriva la delegazione canadese è in pieno svolgimento, e si è tradotta in una disoccupazione del 3,6 per cento, ma si afferma che il 90 per cento di questi ricevono un certo livello di un'indennità giornaliera. Scrive un sindacalista indiano qualche anno più tardi: "24 milioni i lavoratori sono disoccupati in Cina a causa di introduzione di nuove tecnologie e rappresentano il 4,3 per cento della forza lavoro. Quest'anno la cifra potrebbe raggiungere il 4,6 per cento a causa della modernizzazione del settore tessile in Cina. Circa 4 milioni di lavoratori si aggiungono al mercato del lavoro ogni anno a causa di nuovi operatori. Il governo sta adottando una politica che garantisca la creazione di circa 10 milioni di posti di lavoro ogni anno. I lavoratori disoccupati sono protetti da un regime di assicurazione contro la disoccupazione. Nell'ambito di questo regime ai lavoratori viene dato un salario minimo per un periodo di 3 anni. Se poi non trova lavoro al lavoratore vengono offerte alcune garanzie di sopravvivenza. L'importo è comunque variabile tra diverse province. Ad alcuni lavoratori viene fornita assistenza finanziaria in modo che possano vivere. Per i figli di lavoratori disoccupati sono previsti servizi speciali per i loro studi a scuola e all'università. (Pandhe 2004). Ancora nel 2006 il tasso di disoccupazione è relativamente basso sebbene oggi sia leggermente superiore a quello indicato nell'articolo di qualche anno fa che riportiamo: "Il tasso di disoccupazione in Cina è del 3,8% mentre nel Sud-est asiatico del 4,7%. Tasso di molto inferiore a quella dei paesi "paesi sviluppati", tra cui Europa, Stati Uniti, Canada, Giappone, che è del 6,7%. In Europa centrale e nell'ex Unione Sovietica, la disoccupazione è cresciuta dal 9,5% del 2004 al 9,7% nel 2005. La zona più rapida crescita in cui la disoccupazione è in America Latina e nei Caraibi con il tasso del 7,7%.  Il più alto tasso di disoccupazione è in Medio Oriente e Nord Africa che è del 13,2%. Nell'Africa sub-sahariana la disoccupazione è pari al 9,7% (Noticia importante 2006).

A proposito della ristrutturazione delle aziende statali che a sentire i critici di sinistra della Cina si sarebbe trasformata in un'autentica macelleria sociale Clarke e Pringle scrivono che in Cina (e in Vietnam) la protesta da parte dei lavoratori delle aziende di Stato è stata contenuta dalla cautela adottata dal governo per la riforma delle imprese statali e dalle disposizioni adottate per la compensazione e la riconversione dei lavoratori in eccesso, in modo da permettere a coloro che rimanevano occupati di essere persino dei dei privilegiati nel contesto della Cine e del Vietnam socialisti. In questi paesi i sindacati sono stati resi consapevoli delle autorità politiche della loro responsabilità nel contenere la protesta dei lavoratori e mantenere la pace sociale incoraggiandoli comunque a svolgere un ruolo più rappresentativo nel mondo del lavoro (Clarke e Pringle 2009).

D'altra parte, i lavoratori licenziati delle aziende di stato costituivano il nucleo tradizionale della classe operaia cinese che costituiva allora (come del resto ora) lo zoccolo del del Partito. Molti di questi lavoratori, in particolare nel Nord-Est della Cina, nelle loro proteste si sono appellati ai valori tradizionali della Cina post-liberazione: come l'uguaglianza', l'onestà' e l'altruismo' e affermavano loro sostegno al 'socialismo cinese' opponendosi a coloro che volevano portare la riforma lontano da valori tradizionali. I lavoratori licenziati sono stati maggiormente sostenuti le loro richieste direttamente al governo piuttosto che al management della società e questo spiega l'enorme prestigio delle autorità centrali in Cina.

Il giro di vite dopo Tiananmen e un significativo aumento dei salari nelle aziende di Stato nei primi anni 1990 sembrano aver messo il coperchio sulla protesta nelle aziende di stato nella prima metà degli anni 1990, ma la protesta si è intensificata a partire dalla metà del decennio, come la riforma e conseguenti licenziamenti e il mancato pagamento dei salari e dei benefit da parte delle imprese insolventi si è spostata dalle piccole alle grandi aziende di Stato. Le prime proteste hanno preso la forma predominante di petizioni, ma entro la fine del secolo le forme più radicali di protesta erano diventate la norma, comprese manifestazioni pacifiche che bloccanovano le strade e l'accesso a edifici e appelli al governo locale di agire per venire incontro alle rimostranze dei lavoratori. La protesta da parte dei lavoratori delle aziende di Stato è stata accolta a livello locale da una miscela di repressione mirata e ampie concessioni, l'equilibrio tra i due dipendeva del carattere della protesta, dalle risorse disponibili delle autorità locali e dalle simpatie politiche dello Stato locale, ma in generale lo stato ha maneggiato con cura proteste per paura che la repressione avrebbe provocato un'ulteriore protesta o diffusione ai lavoratori ancora al lavoro. La maggiore repressione si è avuto a Liaoyang, nel 2002, dove due dei leader della protesta hanno ricevuto lunghe pene detentive (Global Wage 2013). In realtà l'incarceramento di due leader degli scioperi è avvenuto a seguito della loro adesione alll'illegale Partito Democratico di ispirazione liberale e finanziato dagli USA.

Mentre il governo cinese si è basato su una dura repressione dei presunti leader, sostenuto da concessioni ai lavoratori, nel trattare con le proteste su larga scala per i licenziati di lavoratori delle imprese statali nel Liaoning, nel 2002, il saldo tra la repressione e la concessione è spostato marcatamente verso la seconda negli ultimi anni. La tipica risposta delle autorità agli scioperi nelle regioni costiere oggi, come in Vietnam, è quello di cercare di risolvere l'argomento il più rapidamente possibile, e contenere lo sciopero prima che si diffonda ad aziende confinanti. Come in Vietnam, spetta al governo locale incoraggiare gli imprenditori nel fare concessioni al sindacato locale per convincere gli operai a tornare al lavoro (Clarke e Pringle 2009)

In combinazione con gli effetti della crisi finanziaria asiatica, la recrudescenza delle proteste ha temporaneamente rallentato la riforma delle aziende di Stato, alla fine del secolo. La minaccia di proteste provocate dai licenziamenti è stato ulteriormente evitata non con l'intervento sindacale, ma con misure del governo per distribuire il carico e facilitare il reinserimento dei lavoratori licenziati. A molti lavoratori licenziati sono stati offerti prepensionamenti. I lavoratori designati ad essere licenziati sono stati tenuti a libro paga e pagando un'indennità per un massimo di tre anni, durante i quali molti hanno trovato altri lavori. Centri di reimpiego sono stati stabiliti in aziende di stato per fornire formazione e inserimento lavorativo, con le organizzazioni sindacali a cui era stato assegnato un ruolo significativo nella gestione di questi schemi, e sgravi fiscali sono stati offerti alle imprese che reimpirgavano lavoratori licenziati. Queste misure sembrano essere stati efficaci nell'evitare e smorzare le proteste associate ai licenziamenti SOE che altrimenti sarebbero potuti diventare esplosivi  (Global Wage 2013).

Già dal 2007 le autorità di Shanghai hanno pubblicato un piano particolareggiato per promuovere i contratti collettivi, che punta a stabilire entro l’anno il meccanismo della contrattazione con i sindacati nel 75% delle imprese statali e nel 60 % delle imprese non-pubbliche. Il piano estenderebbe il numero di lavoratori coperti dal meccanismo del 10 %. Nello stesso anno la trattativa salariale nel Hua Yue, un’azienda produttrice di nastro adesivo con più di 700 impiegati nella Provincia di Hebei, ha alzato il salario minimo annuale dei lavoratori di 1.860 yuan (265 dollari USA). I lavoratori specializzati hanno goduto un aumento ancora maggiore (Salari cinesi 2007).
In un incontro con sindacalisti indiani il segretario dell'ACFTU nel 2004 affermava:
...che ACFTU ha 123 milioni di membri e dispone di 32 sedi provinciali. La forza lavoro totale in Cina è stimata in 315 milioni, di cui circa 100 milioni sono lavoratori migranti. L'ACFTU ha 1.570.000 comitati di base in tutta la Cina. Dal momento che l'appartenenza sindacale è su base volontaria, non tutti i lavoratori sono membri del sindacato. Anche se molti lavoratori agricoli sono membri del ACFTU la penetrazione in questo settore deve essere rafforzata. In genere ogni anno 6,6 milioni i lavoratori raggiungono il sindacato. I sindacati in Cina stanno giocando un ruolo importante nell'adozione di leggi sul lavoro. Il Congresso Nazionale del Popolo consulta l'ACFTU per l'approvazione delle leggi sul lavoro e dei regolamenti in materia di condizioni di lavoro, di sicurezza, di salute e infortuni sul lavoro. Più di 30 leggi e regolamenti sono stati fino ad ora adottata dal CNP consultando le organizzazioni sindacali. Il presidente dell'Acftu è vice presidente del CNP e recentemente ha chiesto la revisione di alcune delle leggi sul lavoro a favore dei lavoratori. Il diritto societario in Cina viene ora modificato e ACFTU sta garantendo che i diritti dei lavoratori e gli interessi siano adeguatamente protetti in tale legge. Xu ha spiegato che sessioni congiunte vengono periodicamente tenute tra ACFTU e dal governo della Cina a livello centrale, provinciale e comunale per garantire che i diritti dei lavoratori siano adeguatamente protetti. 673.000 contratti collettivi sono stati firmati in Cina che coprono 1.210.000 imprese e 100,3 milioni di lavoratori. Al fine di promuovere e rafforzare la gestione democratica nell'industria le fabbriche e gli stabilimenti hanno un congresso dei lavoratori per decidere le politiche di gestione dell'impresa, in consultazione con le organizzazioni sindacali. Prendono in considerazione lo sviluppo tecnologico del gruppo e la pianificazione nel portare avanti la produzione. Le imprese non pubbliche sono ora coperte dal sistema del Congresso dei lavoratori in modo che le imprese sono gestite in modo democratico (Pandhe 2004).
Il 40 per cento di lavoratori dipendenti sono donne e i loro diritti sono  uguali a tutti gli effetti (Pandhe 2004).
Sindacalisti cinesi ospiti del sindacato australiano
La stessa delegazione indiana visita un'azienda statale cinese. Il 48 per cento dei posti di lavoro nella fabbrica è occupato da donne La stessa proporzione di donne c'è tra il personale di gestione. Ogni lavoratore in fabbrica vene dotato di una casa. I lavoratori sono incoraggiati ad avere una casa propria attraverso un fondo creato dal contributo congiunto dei lavoratori e dell'azienda. Per mezzo Yuan ai lavoratori viene offerta una buona qualità del pranzo da parte della direzione della fabbrica. Ogni lavoratore in fabbrica ha diritto alla pensione di vecchiaia. I lavoratori partecipano alla gestione della fabbrica e ogni decisione politica è presa in consultazione con il sindacato. La fabbrica gestisce una scuola di gestione aziendale per l'avanzamento delle capacità tecniche dei lavoratori e del management. La fabbrica consente ai lavoratori l'acquisto di azioni, se lo desiderano.

I sindacalisti indiani vanno poi in visita ad un'altra azienda:
La nostra visita a unità Leica Microsystem con una collaborazione tedesca era informativa. La gestione è completamente controllata dai cinesi, mentre gli esperti tedeschi danno indicazioni tecniche. L'unità produce sistemi di microscopia nelle scienze della vita, strumenti per l'infiltrazione in tessuti e l'inclusione, offre nuovi approcci nell'ambito della micro-chirurgia e attrezzature per i semi-conduttori. La maggior parte dei dipendenti sono altamente qualificati e la produzione di beni ad alto valore aggiunto è esportata in tutto il mondo. (Pandhe 2004)
Un gran numero di dipendenti sono donne e il processo di produzione è molto automatizzato. Tutti i 1500 dipendenti si sono sottoposti ad una formazione completa per eseguire operazioni molto complesse. Il Direttore Generale della fabbrica è un giovane tecnocrate cinese che conosce personalmente tutti i dipendenti. Ha spiegato il funzionamento della fabbrica in modo semplice e ci ha mostrato l'effettivo funzionamento di tutti i reparti. Ogni lavoratore ha accesso diretto a lui e un sistema di monitoraggio efficace di tutti i reparti è ben sviluppato. Sono stati personalmente esaminati tutti gli aspetti del lavoro della fabbrica, portando ad un aumento sostanziale della produttività dei lavoratori. I collaboratori tedeschi hanno dato assistenza finanziaria e tecnica, ma il controllo di gestione è interamente nelle mani dei cinesi. Tutte le leggi del lavoro in Cina sono applicabili alle imprese. Il leader sindacale, che ci ha accompagnato ha anche spiegato come il sindacato svolge un ruolo importante nella gestione della fabbrica. Nessuna decisione è presa dalla direzione senza consultare il sindacato (Pandhe 2004)
Vedremo quanto sia falso il mito dell'inesistenza dei sindacati quando affronteremo il tema del rapporto della crescita dei salari.
Infine vorremo spazzare il terreno da un altro luogo comune l'insensibilità dei comunisti cinesi nei confronti dei lavoratori in particolare delle aziende straniere in nome del laissez faire e degli affari. Bisogna dire che spesso il Partito e il Sindacato vengono accusati del contrario (tutto e il contrario di tutto) ossia di prendersela in particolare con il capitale straniero per motivi nazionalistici. In realtà l'organo del partito "Il Quotidiano del popolo" ha condotto una campagna di denuncia contro la violazione dei diritti sociali dei lavoratori da parte di alcune multinazionali straniere nel Guandong. Mc Donald’s, KFC e Pizza Hut sono state accusate di pagare salari inferiori a quelli stabiliti dalla legge e di non garantire l’assistenza sanitaria e di disoccupazione. I salari si aggiravano (siamo nel 2007) tra 1,5 e 3,5 yuan per ora, l’orario di lavoro raggiungeva le 7 ore giornaliere. Tutto questo in violazione delle leggi in vigore nella provincia del Guandong, che fissavano il salario minimo a 7,5 yuan all'ora. Si trattava in gran parte di studenti part time. La denuncia ha avuto l'effetto di indurre all'apertura di un'inchiesta da parte del Guangzhou Municipal Labor and Social Security Surveillance che ha portato alla piena vittoria dei lavoratori (McDonalds 2007).

Note
[1] Quando i lavoratori sindacalizzati erano ancora 160 milioni, erano comunque in numero maggiore di quelli della OCSE (131 milioni), dell'India (25 milioni) e dell'Indonesia (13 milioni).
[2] Cosa che poi l’organizzazione ha fatto aderendo a Change to Win e instaurando rapporti con il sindacato cinese (Furuhasi 2004).
[3] Cathy Walker è stata direttrice del Dipartimento di salute e Sicurezza della Canadian Autoworkers Union

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