4. Socialismo tra realtà e mito
Trotsky propende sempre per la relativa autonomia della burocrazia dal partito mentre Lenin vuole la riduzione e la revisione dall'alto per farlo diventare uno strumento del partito contando sulla direzione del collettivo dei primi ministri e sul Rabkrin. Nell'aprile 1922 Stalin diventa segretario generale del partito e viene sollevato da commissario del Rabkrin. In settembre Lenin propone di rinnovare il collettivo dei primi ministri aggiungendo a Rykov anche Kamenev e Trotsky che Lenin spera di convincere alla lotta contro la burocrazia. Stalin approva, ma Trotsky rifiuta. Questi rifiuta il posto di primo ministro perché lo poneva come vice di Lenin assieme Rykov e Kamenev cioè allo stesso livello di questi due. Lenin ripete la proposta nella lettera del gennaio del 1923 al Politbureau. Trotsky rifiuta di nuovo e ribadisce che lotta alla burocrazia significa che il Partito non deve sovrapporsi allo stato e opporsi alla burocrazia significa lottare per la riduzione del controllo del partito sullo stato. Per Trotsky gli organi di stato interferiscono con gli specialisti sul piano militare e economico. Per Lenin, la proposta era invece un mezzo per combattere il burocratismo nello stato. Per Trotsky questo è solo un tentativo del partito di interferire con l'amministrazione dello stato. Lenin continua a vedere il problema burocrazia nei termini dello stato come problema e nel partito come soluzione. Il leader bolscevico sostiene che ci sono decine di migliaia di “gente nostra” nella burocrazia ma ai vertici qualche migliaio di zaristi e borghesi lavorano “contro di noi”. Dopo la Rivoluzione l'apparato è rimasto invariato e quindi è ora di distribuire il potere propriamente. Stalin critica Trotsky e sostiene che il collegio dei ministri, tra i quali egli vorrebbe Trotsky, deve guidare la politica economica mentre Trotsky ribadisce di non volere nessuna interferenza del CC e del governo nella politica economica. La leadership deve essere del Gosplan. Il Gosplan è l'organo della pianificazione economica formato da manager, tecnici ed ex capitalisti sotto la supervisione di Trotsky. Questi viene accusato da Stalin di essere diventato il patriarca dei burocrati (Discussione 2001). Trotsky non cambia posizione. Il 13 dicembre egli scrive a Lenin, Stalin e ad altri e dichiara che l'apparato dello stato dovrebbe essere posto su un differente passo di un sistema centralizzato. Egli definisce il Rabkrin “la più assoluta e totale spazzatura”. Dopo la morte di Lenin, Trotsky sostiene in privato che il capo bolscevico aveva proposto una nuova troika assieme a lui e Stalin. Nella sua autobiografia conferma che Lenin sperava di coinvolgere lui stesso nella lotta contro la burocrazia (Van Ree 2001).
Rakovsky e Trotsky |
Nel febbraio del 1923 il comitato centrale adotta le tesi per il XXII congresso elaborate da una commissione in cui era parte Stalin con una versione soft del piano di Lenin che include una variante allargata del CC e dalla Commissione Centrale di Controllo e l'incorporamento del Rabkrin all'interno di questa. Trotsky fa naturalmente una proposta alternativa che esclude il Rabkrin. Stalin nota che i piani di Lenin non sono cambiati, che l'apparato dello stato è pessimo e che la macchina burocratica non marcia in quanto composta da estranei che devono essere sostituiti con “uomini nostri”, sebbene egli ritenga che l'apparato potrebbe essere semplificato e ridotto ma soprattutto debba essere sostituito.
Le posizioni di Lenin, Trotsky e Stalin sono ben delineate. Trotsky identifica la burocrazia con il partito, che egli vorrebbe ridurre ad istituzione che detta le linee generali dello stato e della politica economica ma non sia coinvolto nella sua esecuzione. Egli tenta di tagliare i tentacoli del partito sullo stato quali il collegio dei primi ministri e il Rabkrin. Trotsky si oppone al programma di Lenin di purgare l'apparato. In ogni caso Trotsky si oppone tenacemente al Rebkrin. Per Trotsky la burocrazia è una questione culturale e non di repressione e epurazione dell'apparato o di controllo operaio sullo stato. Occorre istruire operai e contadini non iscritti al Partito per questi posti. Lenin sta dalla parte opposta pensa che l'apparato dello stato sia inefficiente e ne chiede la riduzione. Il suo programma è di aumentare il controllo del partito sullo stato attraverso il ricambio del personale. Il piano include la purga del personale dello stato e una sua riduzione di personale. Lenin è piuttosto intollerante verso le pratiche e ereditate del vecchio regime. Stalin è abbastanza vicino a Lenin e condivide la volontà di rafforzare il controllo del partito e vede nel Rabkrin come l'apparato che guida la purga. Ma Stalin è meno ambizioso e più preparato a conservare le basi del vecchio apparato (Van Ree 2001).
Al contrario delle opposizioni di estrema sinistra, ma anche di Lenin e Stalin, Trotsky non vede un nesso tra utilizzo degli specialisti e il centralismo. Fino a che Trotsky non raggiunge i ranghi dell'Opposizione Unita il termine stesso “burocratico” simboleggia l'inefficienza e siccome gli specialisti sono per lui simboli dell'efficienza egli condanna come burocratica l'opposizione agli specialisti. Non è detto che in questa polemica Trotsky avesse tutti i torti in quanto salvaguardare la competenza dei funzionari può essere utile. Certo che il suo modo di vedere la burocrazia e del tutto opposto a quello di Lenin e Stalin che, bisogna sottolinearlo, vedono concretamente nel Partito come rappresentante legittimo della classe, l'istituzione che deve prendere possesso dell'apparato statale affinché questo si possa veramente definire socialista e proletario. Trotsky in questo frangente è il difensore della casta o élite burocratica autonoma dal potere politico contro il controllo concreto dei rappresentati della classe operaia ossia il Rabkrin di Stalin.
Durante il 1923 Trotsky dà varie spiegazioni della burocrazia nello stato e nel partito. Il burocratismo è dovuto ad una serie di ragioni: basso livello della cultura sovietica, difficoltà nella costruzione dello stato, la crescita delle relazioni mercantili durante la NEP, gli influssi degli elementi borghesi nell'apparato e l'eterogeneità della società. Il burocratismo nel partito deriva dalla specializzazione dei suoi membri nell'apparato statale o nelle responsabilità di partito ed è trasmessa a questi dall'apparato statale e rafforzato dal declino della rappresentanza del proletariato nel partito. Il dipartimentalismo del Partito e la specializzazione dei suoi quadri portano alla degenerazione dipartimentale con la centralizzazione dei quadri nel lavoro burocratico. L'apparato dello stato assorbe una gran quantità di comunisti che imparano i metodi amministrativi invece della leadership delle masse portando i metodi dell'amministrazione all'interno del partito. Trotsky. insiste sull'assenza di cultura e sulla mancata preparazione dei funzionari che porterebbe al burocratismo.
Intanto le posizioni di Trotsky slittano dalla battaglia contro la burocrazia nello stato a quella nel Partito visto come apparato separato dalle masse. Nel 1926 abbandona l'idea che la specializzazione dei quadri di partito sia la base del burocratismo ma piuttosto la conseguenza. In seguito le posizioni muteranno ancora e vedrà, in linea con la piattaforma dell'opposizione, nella burocrazia, ossia la maggioranza del Partito, il riflesso di classi sociali estranee al proletariato, ossia degli strati sociali borghesi dei Nepemen, contrapposta alla debolezza del proletariato che è demoralizzato e demotivato. In realtà con il lancio della “leva leninista” all'indomani della morte di Lenin, la composizione del partito migliora soprattutto nella sua componente operaia. La “burocratizzazione” diventa così nel 1926-27 la distruzione dell'equilibrio sociale nel partito che porterà alla sua autodistruzione. In questo periodo Trotsky pensa ad una restaurazione del capitalismo che paragona al Termidoro appellandosi di conseguenza al proletariato per la difesa delle conquiste della Rivoluzione (Twiss 2009).
Negli anni 1926-27 cambia il proprio modo di vedere il burocratismo e rigetta le tesi sostenute già da Lenin e dalla maggioranza guidata da Stalin che il burocratismo sia dovuto al basso livello della cultura nei Soviet o della stessa cultura nazionale.
Nikolaj Bucharin |
Per Rakowsky la burocrazia ha una certa autonomia dunque la pressione dell'opposizione ha determinato la svolta a sinistra della maggioranza (dopo la rottura con Bucharin), ma questa influenza ha respiro corto se non è seguita da una nuova offensiva rivoluzionaria. Secondo Rakowsky dopo la rivoluzione il potere passa ad un numero ristretto di persone dell'apparato dei soviet e del partito. Questa burocrazia ha cessato di essere parte della classe lavoratrice. Siccome la classe non è culturalmente avanzata allora una parte di essa emerge e si stacca dal resto. Mentre nell'offensiva rivoluzionaria la classe è unita, quando questa finisce alcuni funzionari hanno dei privilegi: un'auto, un buon appartamento ecc e si staccano dalle masse. Nella lettera a Valentinov, Rakowsky sostiene che dopo la rivoluzione quasi inevitabilmente si forma una burocrazia del partito-soviet e questa tende a differenziarsi dalla classe lavoratrice. La base sociale dell'opposizione è costituita ironicamente da funzionari dell'apparato di partito, dell'Armata Rossa, tra gli studenti delle scuole superiori, membri del partito impiegati nel cuore dell'apparato burocratico in particolare quello economico (Twiss 2009). La debolezza dell'opposizione è dovuta particolarmente alla sua compromissione con precedenti gruppi antileninisti come la Sinistra Comunista, i Centralisti democratici e l'Opposizione Operaia e tra gli operai la debolezza viene dall'identificazione di Trotsky con la militarizzazione del lavoro e la statizzazione dei sindacati per cui l’improvvisa conversione alla democrazia operaia di questi risulta piuttosto sospetta. L'opposizione viene largamente sconfitta persino nella sua base di Leningrado. Schapiro definisce l'opposizione nel 1927 “una banda ormai screditata e alquanto ridicola di sconfitti (Discussione 2001)”. Come dice Lao Tzu; “Un vincente trova sempre una strada, un perdente trova sempre una scusa”. E questa scusa è la burocrazia.
La cosa buffa è che Lenin aveva parlato di Termidoro secondo Victor Serge a proposito di Kronstadt dove attraverso slogan apparentemente di sinistra si tendeva a sconfiggere il bolscevismo. Tra l'altro molti delle vecchie opposizioni pensavano che il Termidoro fosse già iniziato molto tempo prima, probabilmente già con Lenin. Ma il Termidoro per Trostky non era altro che la continuazione della NEP e la crescita degli strati di Nepmen penetrati nella burocrazia del Partito. Mai previsione fu meno azzeccata. Mentre Trotsky arriva ad elaborare una teoria matura del Termidoro, Stalin rompe con la destra e sterza verso l'industrializzazione accelerata. Al che Trotsky profetizza la sconfitta di Stalin da parte della destra e la trasformazione dell'URSS in regime bonapartista fascista con a capo la versione scadente di Bonaparte che sarebbe Voroscilov. Il termine Termidoro scompare in Trotsky dopo il 1933 quando è chiaro ormai che Stalin ha collettivizzato tutto. Sarà sostituito dal termine “totalitario” che avrà un grande avvenire nella propaganda della guerra fredda.
Per Trotsky lo stato è socialista in quanto difende la proprietà socialista dei mezzi di produzione e borghese per quanto riguarda la distribuzione dei beni con la misura capitalistica del valore. Le norme di distribuzione preservano un carattere borghese legate alle nuove differenziazioni della società. Quindi l'Unione Sovietica è una società contraddittoria in cui il potere della burocrazia è derivato dal livello delle forze produttive che non è ancora adeguato per dare alla proprietà statale un carattere socialista (Nayer 2006).
La crescita economica mentre fa aumentare lentamente il livello di vita dei lavoratori promuove uno strato di privilegiati. Sfruttando l'antagonismo sociale la burocrazia si converte in una casta incontrollata aliena al socialismo. La rivoluzione sociale, tradita dalla casta dominante, ancora persiste nelle relazioni di proprietà e nella coscienza delle masse lavoratrici.
Gli sviluppi ulteriori delle contraddizioni possono portare sia al socialismo che al ritorno del capitalismo. Per riprendere la via del socialismo il proletariato deve rovesciare la burocrazia. La strada verso il capitalismo è la controrivoluzione che dovrebbe rompere la resistenza dei lavoratori. Insomma il concetto di stato operaio in relazione alla proprietà dei mezzi di produzione è minato da una burocrazia che controlla i mezzi di produzione. Quindi lo “stato operaio degenerato” è piuttosto indeterminato.
La lotta al burocratismo non ha mai portato bene ai paesi socialisti. Le stesse purghe staliniane iniziarono come lotta contro la burocrazia per poi degenerare e non furono né sistematicamente premeditate né progettate per terrorizzare il popolo. Anzi in qualche modo si fece appello al popolo perché denunciasse burocrati e gli elementi ostili e analogamente alla Rivoluzione Culturale il popolo partecipò attivamente nella denuncia dei dirigenti. Una sorta di indiscriminato “fuoco sul quartier generale”, di terrore della base contro il vertice. Come dimostra Getty nelle purghe le principali vittime furono i funzionari e leader del Partito di medio e anche alto livello. Malenkov denunciò in un rapporto al CC che l'80% di coloro che erano stati imprigionati erano in realtà innocenti. La stessa Rivoluzione Culturale è altro esempio di terrore dal basso contro i presunti burocrati che si erano avviati sulla via capitalista e che ebbe poi le conseguenze che ben consociamo colpendo in molti casi gente innocente. La vera rivoluzione antiburocratica l’hanno fatta Deng e i suoi successori eliminando un sacco di burocrati inefficienti e ristabilendo il mercato.
Popov, economista dell’Università di Stato di Mosca, si fece un nome attaccando ferocemente la “burocrazia del PCUS” e il sistema dei soviet. Venne eletto al Congresso del Popolo dell’URSS e divenne presidente del Consiglio dei Rappresentanti del Popolo di Mosca. Popov, fece degna compagnia a Eltsin e Yakovlev nello smantellamento del sistema socialista sovietico.
Per dire, si può leggere qui e là che dei super rivoluzionari accusano i “burocrati staliniani” di Mao di fare la rivoluzione alla testa del contadiname (invece che del proletariato a denominazione di origine controllata).
Poiché gli stessi dirigenti “comunisti” cinesi avevano reso vana la possibilità di una genuina democrazia operaia (mancando la partecipazione attiva alla programmazione basata sul potere del popolo) una volta raggiunto il potere essi stessi si trasformarono in una casta burocratica di tipo bonapartista seppur basata su un esercito di contadini. Mao Zedong e tutti i dirigenti della Rivoluzione cinese erano già diventati nazionalisti negli anni trenta, condizionati nelle loro scelte dalla prima rivoluzione del 1925-27 e dall’influenza dello stalinismo russo (Lopez 2005).
Siamo alla totale banalizzazione dei concetti di “bonapartismo” e “burocrazia”. Sicché mentre i “burocrati” fanno ogni tipo di rivoluzione, i “rivoluzionari” autentici rimangono invece rinchiusi nei loro bureau a criticare le rivoluzioni fatte dagli altri. Inesorabilmente le masse proletarie vengono tradite dai burocrati così come i “rivoluzionari” hanno ben capito stando al calduccio nei loro uffici invece di intraprendere inutili e improduttive lunghe marce. Da notare la perla secondo cui la “programmazione” doveva essere intrapresa dalle masse formate per 80% da analfabeti.
Scrive giustamente Melchionda:Quel che le interpretazioni di sinistra non spiegano, o fanno fatica a spiegare, è perché la classe operaia si sia fatta espropriare del proprio destino, e anzi abbia manifestato un consenso sostanziale verso il presunto tradimento. Non potendo dare tutta la colpa alla volontà e alle capacità diaboliche di un uomo o di un'èlite al potere, le spiegazioni in merito hanno sempre preferito puntare su ragioni congiunturali (il riflusso e l'accerchiamento post-rivoluzionario, la moria dei quadri operai bolscevichi provocata dalla guerra civile e dalle lotte interne al partito) o -- in questo convergendo ex post con le classiche interpretazioni di destra -- su un determinismo di sapore secondinternazionalista (l'immaturità socio-economica russa ma anche, in corrispondenza, la mancata rivoluzione in Occidente) (Melchionda 2001).
Un atteggiamento ormai consolidato che va da Kruscev e della odierna sinistra radicale, trotskisti in testa punta sulla malvagità di questo o di quello per spiegare il fatto che le formule non funzionino. In questo modo non si fa nessun progresso cadendo in una sorta di depistaggio. Si finisce per attribuire a mitici ceti quali la burocrazia il tradimento della rivoluzione non rendendosi conto che la burocrazia esisterà finché esisterà lo stato e che l’eliminazione del mercato in certe condizioni porta all’ampliamento della burocrazia.
Ha ragione Melchionda quando rifacendosi agli studi della Di Leo afferma:
Solo una concezione ideologica e mitizzante della classe operaia, che la giudica con un metro diverso da quello usato storicamente per altre classi, può impedire di vedere che in Unione Sovietica gli operai sono stati classe centrale ed egemone a tutti gli effetti: tra loro avveniva il reclutamento dell'élite politica; in loro nome erano tenuti sotto controllo e repressi (o eliminati, nei casi della borghesia e dell'aristocrazia) gli altri strati sociali (contadini e intellettuali); per assecondare i loro interessi corporativi erano istituiti i tanti privilegi economici, assistenziali e lavorativi; per garantire la loro sopravvivenza e riproduzione come classe si dilatava a dismisura la base industriale. Insomma, come hanno confermato molti studi, quella sovietica era una società in cui il lavoro salariato era “elevato a sistema”. Di fronte a questa “centralità operaia”, che non era solo un'ideologia di legittimazione, mi sembra sterile la pura e semplice obiezione che stabilisce una scissione tra la classe operaia e il suo ceto politico-amministrativo, come se altrove e per altre classi dirigenti le cose andassero in maniera diversa (Melchionda 2001).
Gianfranco La Grassa sostiene che la classe operaia come soggetto rivoluzionario sia dovuta più alla sistemizzazione del “marxismo” da parte di Engels e Kautsky piuttosto che ad una idea di Marx. Per quest'ultimo sarebbe invece il lavoratore collettivo cooperativo che raggruppa tutti i vari ruoli di lavoro intellettuale piuttosto che manuale, direttivo od esecutivo che vanno formandosi all'interno della divisione di ruoli nei processi lavorativi dovuti alle innovazioni tecnico-organizzative (Ronchi 2002). Al di là della correttezza filologica di questa posizione in effetti non si capisce il perché in una società come quella socialista in cui vi è una forte mobilità dei lavoratori verso l'alto debbano essere i lavoratori esecutivi (normalmente identificati con la classe operaia) coloro che dirigono le aziende o addirittura l'economia intera. E' ovvio che i migliori tra i lavoratori e i figli di lavoratori avranno la possibilità di emergere. E il socialismo deve dare creare le basi per questa opportunità. Questa identificazione esclusiva del proletariato con il lavoratore manuale sembra uno di quegli elementi populisti rimasti incrostati all'interno del marxismo.
Nella Russia staliniana degli anni '30 (ovvero secondo i trotskisti nel periodo del trionfo del burocratismo), c'è stato forse il massimo coinvolgimento dei lavoratori: mai si era visto prima e raramente si è visto dopo. La nuova Russia si basa sui cosiddetti fanatici del Komsomol, su un grande entusiasmo, il mito quasi mistico e messianico dello stato dei lavoratori per i lavoratori, che porta ad una grande mobilità sociale verso l'alto. In quegli anni i lavoratori o i loro figli diventano ingegneri, direttori di azienda con una grandissima mobilità e partecipazione sociale. Nella popolazione sovietica tra i 9 e i 49 anni di età la percentuale di analfabeti scende dal 43% del 1926 al 13% del 1939; la percentuale di studenti universitari provenienti da famiglie operaie sale dal 30% nel 1928-29 a quasi il doppio nel 1932-33. 17 milioni di contadini tra il 1928 e il 1935 passano dalle campagne nelle città o nei nuovi poli industriali. La disoccupazione operaia viene riassorbita nei primi due anni del primo piano quinquennale. In pochissimi anni l'intera società di un enorme paese subisce una trasformazione radicale senza precedenti. Il consenso a questa politica ebbe una ampia base sociale reale. Questo fece sì che l’URSS divenisse un esempio da imitare. A questo punto bisogna chiarire un equivoco. Si dice che la nazionalizzazione delle aziende non coincide con la socializzazione. Come se in una azienda moderna un aereo dovesse o potesse essere progettato da un operaio oppure che la stessa azienda potesse essere diretta dagli operai in quanto tali. Lenin in realtà puntava proprio sulla promozione degli operai nella burocrazia e nel management ma per lui era chiaro che una volta diventati funzionari o manager questi dovevano fare il loro mestiere e non ritornare al lavoro manuale. In una società socialista (ma non ancora comunista) che comunque è in continua transizione e che ti dà la possibilità di emergere non c'è nessuna ragione affinché siano i lavoratori manuali a gestire direttamente l'azienda piuttosto che un operaio diventato manager o un figlio di un operaio diventato manager o ingegnere. Che poi gli stessi lavoratori manuali debbano lavorare in modo dignitoso e debbano anche loro partecipare e dire la loro sui problemi dell'azienda, ca va sans dire, questo è in effetti il fine di una azienda socialista. Ma è anche ovvio che un operaio in quanto tale non si può sostituire ad un un ingegnere oppure ad un manager, perché per accedere a queste funzioni occorre una preparazione specifica che non è alla portata di tutti almeno fino a quando non sarà superata la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale in un futuro che non sembra prossimo.
L'economista Oskar Lange teorico del socialismo di mercato |
Melchioda sintetizza così le tesi della Di Leo: “... l'utopia del comunismo e i tentativi concreti di realizzarla, mai abbandonati dal Pcus, (hanno) ostacolato la costruzione di un sistema socialista che fosse efficiente dal punto di vista dello sviluppo economico e sociale e ben consolidato dal punto di vista politico-istituzionale (Melchionda 2001)“.
Il problema a cui si gira intorno invece di affrontarlo in effetti è proprio questo: che una predeterminata idea di comunismo ha impedito di costruire un sistema economico efficiente che potesse competere con il capitalismo. Come scrive Losurdo:
Non mancano coloro che leggono la storia del paese nato dalla Rivoluzione d’ottobre lamentando il progressivo ‘tradimento’ delle idee elaborate da Marx ed Engels; in realtà, sono per certi versi proprio queste idee ‘originarie’ (l’attesa messianica di una società senza più Stato e norme giuridiche, senza più confini nazionali e senza mercato e senza denaro, priva in ultima analisi di ogni reale conflitto) ad aver giocato un ruolo nefasto, ostacolando il passaggio ad una condizione di normalità e prolungando e acutizzando lo stato di eccezione (provocato dalla crisi dell’antico regime, dalla guerra e dalle successive aggressioni) (Losurdo 2008 p. 314).
Trotsky punta molto sulla pianificazione, intendendo che una volta estesa la pianificazione sarà abolito anche il mercato (Vascós 2004). Secondo Trotsky la pianificazione minerà la base sociale dei burocrati che è costruita per l'appunto le classi sociali legate al mercato come i Nepmen, Bucharin invece teme che proprio una pianificazione integrale come quella pensata da Trotsky comporti un gigantesco apparato burocratico. Strana sorte per Trotstky che si considerava il teorico della lotta contro la burocrazia. Umpiérrez Sánchez sostiene che l'eliminazione del mercato attraverso il piano centrale non fa altro che aumentare il burocratismo senza aumentare la partecipazione dei lavoratori diminuendo nel contempo l'efficienza che va ad incidere poi sul reddito dei lavoratori. Egli conclude che il piano crea una burocrazia enorme, è un grande peso sulle decisioni e l'autonomia del lavoratore collettivo, soffocando i canali di circolazione il tempo di circolazione delle merci diventa molto lento. E il tempo, soprattutto in economia, è denaro (Umpiérrez 2005).
Spesso nella sinistra occidentale di fronte alla crisi del modello integralmente pianificato contrappone a questo la pianificazione democratica dal basso. Assai poco credibile poi che la “transizione bloccata” sia dovuta al fatto che la pianificazione non sia passata da un piccolo gruppo alle masse. Un simile modo di pensare è espresso da David Kotz che lo pone come alternativa al socialismo di mercato: “Perché una pianificazione partecipata funzioni in modo efficace, le decisioni economiche dovrebbero essere il più possibile decentrate per favorire la massima partecipazioni da parte di soggetti interessati. La pianificazione centrale vecchio stile era troppo centralizzata. Alcune decisioni economiche devono essere al centro, ma molti possono essere effettuate ad un livello regionale o locale (Kotz 2008)“.
L’espressione pianificazione democratica o partecipativa ha scarso senso nella realtà. Potrebbe forse significare che le imprese di proprietà pubblica devono mettersi d’accordo su quali materie prime o macchinari comprare, quali prodotti costruire, a chi venderli e a quale prezzo. Ma se i lavoratori si riuniscono sempre per decidere questo l’impresa diventerà estremamente lenta con perdita di ore di lavoro, di energie e alla fine si produrrà al massimo una pianificazione aziendale cose che persino ogni impresa capitalista già fa (Umpiérrez 2008). Riunioni di queste genere non sono particolarmente divertenti e non è detto che i lavoratori abbiano piacere a parteciparvi, anzi molto probabilmente si ricreerebbe “l’effetto Corazzata Potemkin” per il ragionier Fantozzi. In ogni caso viene a mancare l’elemento razionale della pianificazione dall’alto. La pianificazione è efficace perché le decisioni strategiche vengono prese dall’alto. Ossia a livello centrale si possono vedere le esigenze del paese che non si vedrebbero sicuramente dal basso. La pianificazione deve essere necessariamente centralizzata ai vari livelli, per conservare una qualche parvenza di razionalità. Quindi può esistere una pianificazione nazionale oppure decentrata su base regionale o provinciale che sia il meno rigida possibile. La pianificazione dal basso è addirittura irrazionale cioè viene a mancare l’elemento cardine per cui sarebbe necessario pianificare. Se poi questa diventa una pianificazione rigida intenzionata ad abolire il mercato assumerebbe tutti caratteri negativi delle precedenti esperienze (la rigidità) eliminandone quelli positivi (la visione generale). Inoltre produrrebbe una grande crescita della burocrazia. Come tutte le cose che difettano di realismo porta conseguenze opposte a quelle a cui si vorrebbe ovviare. I cinesi da quando sono passati al socialismo di mercato hanno fatto una salutare cura dimagrante di burocrazia .
Occorrono per altro una serie di informazioni e competenze che non possono essere alla portata di tutti. I lavoratori possono dire la loro eventualmente sulla gestione aziendale e sulle gradi linee di programmazione nazionale o decentralizzata ma si può fortemente dubitare che possano ancorché vogliano pianificare. Naturalmente rimane aperto il problema della partecipazione dei lavoratori alla gestione strategica dell'azienda evitando il “corporativismo operaio” agente nell'esperienza jugoslava.
Un’esperienza specifica in questo senso è appunto quella jugoslava dove si sperimenta una sorta di pianificazione dal basso attraverso la politica dell’accordo. Ovvero accordi diretti tra i consigli dei lavoratori di diverse aziende, accordi quinquennali di autogestione. Il coordinamento e l’attuazione di questi accordi portava all’accordo sociale in quanto investiva anche gli accordi tra settore produttivo e settore sociale. Questo tipo di economia è stato definito “economia negoziata”. Era stato creato “un monumentale, farraginoso ed esasperato normativismo che si riassumeva nell’istituzione dell’accordo. Questa arzigogolata “economia dell’accordo” – in realtà comprensibilmente estranea agli operai – portò ad una frammentazione incredibile degli interessi ad ogni livello mentre la produttività rimaneva bassa e le continue riunioni (si disse che per anni “la Jugoslavia fu in riunione”) riduceva le giornate lavorative. Per di più gli accordi autogestiti creavano abissi salariali incomprensibili: per la stessa mansione la differenza oscillava da 1 a 15 nella medesima Repubblica“ (Filippi 2006).
La democratizzazione in Jugoslavia porta ad un insieme caotico di assemblee con veti incrociati e che richiedono l’unanimità generale nei consigli, il che porta come conseguenza al rallentamento nel prendere decisioni e dunque ad una sorta di burocratizzazione strisciante. Inoltre la diffusione della democrazia dal basso e del federalismo con l’alto numero di soggetti interessati rende tutto molto macchinoso, farraginoso e dunque burocratico. Se nella moderna azienda conta la tempestività delle decisioni prese nella Jugoslavia si dovevano convocare assemblee su assemblee e ciò poi portava alla passività e all’uso della delega. Alla fine prevalgono sempre più i manager le cui proposte vengono per lo più accolte. Una sorte piuttosto strana per chi voleva evitare sia la delega che lo strapotere della tecnocrazia. Ma in realtà per le cose dette più sopra è abbastanza logico che ciò avvenisse.
Trotsky teorizzava negli anni '30 che portare la democrazia nelle fabbriche vuol dire cambiare i piani nell'interesse dei lavoratori. In verità questa sarebbe stata un'arma a doppio taglio giacché i piani sarebbero stati cambiati per assecondare gli interessi corporativi del lavoratori e sarebbero stati fatali in un momento in cui l'imperialismo minacciava l'URSS e si doveva dare per forza priorità all'industria pesante. In questo caso per dirla con Trotsky sarebbero stati in pericolo gli interessi “storici” del proletariato.
Ha molto più senso portare forme di organizzazione democratica in azienda come stanno facendo i comunisti cinesi:
I quadri dirigenti oggetto di valutazione saranno il segretario e il segretario aggiunto del Partito Comunista, il presidente e il vicepresidente del consiglio di gestione, l'ispettore e il vice ispettore della sezione di controllo interna, il manager e il suo aggiunto, il responsabile della sezione finanziaria, l'ingegnere capo e il contabile. L'assemblea generale dei lavoratori deve organizzare questa valutazione democratica una volta all'anno. La valutazione sarà fatta con il voto segreto. Ci sono attualmente 7,479 Assemblee generali dei lavoratori a Shanghai. Più di 6000 tra esse hanno già organizzato questa valutazione democratica (Shanghai 2008).
Un altro must è la cosiddetta pianificazione con il computer. Ancora Kotz sostiene: “I grandi progressi e delle tecnologie di elaborazione delle informazioni e della comunicazione, negli ultimi anni hanno notevolmente contribuito all'efficacia della pianificazione partecipativa (Kotz 2008)“. L'idea non è nuova ed era stata proposta già alla fine degli anni '30 come prospettiva per il futuro a seguito del dibattito sugli scritti di Oskar Lange. L'idea venne ripresa da George Dantzig, che pensa si possa organizzare la società con i migliori computer del futuro. Giustamente dice il premio Nobel Paul Samuelson che il progetto sembra un po' ingenuo: “in ogni istante ci vorrebbero migliaia di nuove equazioni per descrivere i legami tra milioni di persone e di merci diverse. I migliori strumenti di calcolo parallelo sono le persone, i mercati e le corporazioni (Odifreddi 2004)“. Anche Glushkov in Unione Sovietica nei primi anni '60, aveva sviluppato un sistema di elaborazione computerizzata delle informazioni (OGAS) formato da una unica rete di centri di calcolo come sussidio alla pianificazione ma si preferì affidare a Liberman l'attuazione della riforma economica. Paradossalmente proprio gli sviluppi di una scienza collegata ossia la cibernetica, assieme alla teoria della complessità e di altre discipline hanno fornito una migliore comprensione dei requisiti di regolazione dei cosiddetti sistemi altamente complessi, come è il caso dell'economia.
Questo tipo di sistema non può essere regolato direttamente da un centro, perché la dinamica e la diversità delle situazioni che si generano sono al di là della possibilità di trasmissione e risposta dei canali di informazione che sarebbero necessari. Un sistema estremamente complesso può funzionare in modo efficiente solo con livelli decentrati di autoregolazione omeostatica, basati su regole di comportamento e forme sintetiche di trasmissione e feedback dell'informazione per ridurre la varietà esistente e facendo in modo che tutte le parti in modo autonomo tendano a un sistema ottimale (Gonzales 2003).
Il capitalismo è efficace perché incorpora nei suoi meccanismi di funzionamento molti dei suddetti requisiti operativi e storicamente si è evoluto nel tempo.
Del resto lo stesso Lange sostiene che: “La programmazione matematica assistita dal computer diventa il fondamentale strumento per la pianificazione a lungo termine, così come nella soluzione di problemi di dinamica economica di più limitata portata. In questo caso il computer non sostituisce il mercato.“ (Lange 1967). La pianificazione con il computer essendo molto centralizzata e assai poco democratica e ”partecipata”, sarebbe piuttosto in contrasto con la pianificazione dal basso e non risolverebbe certo i problemi della partecipazione dei lavoratori e in ogni caso presupporrebbe il mercato piuttosto che eliminarlo.
Si sente spesso dire che una società non è veramente socialista se non elimina l'alienazione. Il concetto di alienazione in Marx è soprattutto presente nei suoi scritti giovanili che vennero pubblicati in URSS negli anni ’30. Non è essenziale invece nell’elaborazione matura del suo pensiero. Lenin per esempio non conosceva nulla dei problemi legati all’alienazione e fece la rivoluzione. Marx deriva questo concetto soprattutto da Rousseau e Feuerbach, ad esempio l’alienazione religiosa, e lo riversa nel rapporto capitale-lavoro in quello che diventerà in seguito il pluslavoro (la parte alienata del lavoro nel senso che viene espropriata dal capitalista) e di conseguenza il plusvalore. Marx lo sostituisce poi con questo ultimo concetto, sicché l'alienazione non è altro che un concetto di transizione che è stato soprattutto rielaborato dalla versione umanistica del marxismo. Per il Marx maturo questo è ancora un concetto idealistico. Tanto più che nella vulgata l’alienazione è poco più che un concetto psicologico legato alla ripetitività del lavoro o cose simili che ha portato a teorie sul rifiuto del lavoro. Un elemento questo a cui pensa troppo spesso ultimamente il capitalismo.
Altra cosa in voga, collegata al punto precedente, è che finché al lavoratore non viene dato il frutto intero del proprio lavoro, cioè finché il plusvalore viene sottratto al lavoratore non ci può essere il socialismo. Per Marx il plusvalore deve essere recuperato socialmente. Lenin, la cui opera dal 1918 in poi si può dire sia un continuo attacco alla “sinistra radicale”, interviene contro Bucharin sulla questione del profitto. Infatti secondo Bucharin il profitto è tipico del capitalismo mentre nel socialismo la produzione soddisfa direttamente i bisogni sociali. Lenin sostiene invece che nel socialismo è il profitto a soddisfare questo tipo di bisogni (Bufarale 2006).[1] Una vulgata crede che nel socialismo o nel comunismo, il lavoratore debba ricevere il frutto pieno del proprio lavoro altrimenti sussisterebbe lo sfruttamento. Se questo fosse non si potrebbe fare ricerca né investimenti per lo sviluppo, intervenire verso quelle parti dell'economia che rimangono indietro. Non ci sarebbe alcun surplus per l'istruzione, la sanità le pensioni e via discorrendo che evidentemente se il lavoratore tenesse interamente lo stipendio non potrebbero essere pagati altrimenti. Per Marx la società deve creare un surplus sociale[2]. Questi servizi sociali Marx ritiene saranno in futuro molto più importanti che nel suo tempo. Marx aveva già trattato il problema nella Critica del programma di Gotha in cui sostiene che il lavoratore non può rivendicare l'intero frutto del suo lavoro (come sostenuto daigli anarchici individualisti tipo Tucker) perché ovviamente occorrono fondi per infrastrutture e servizi. Marx non critica il plusvalore in sé ma la sua appropriazione privata (Schweickart 2007). Altrimenti il comunismo non sarebbe altro che l'ideale anarcocapitalista della società americana che non bisogna dimenticare vagheggia una sorta di società individualista senza stato.
Infine si dice spesso che il socialismo dovrebbe essere per l'eguaglianza. La cosa non è del tutto corretta. In effetti lo stesso Marx è contrario all'eguaglianza che ritiene un principio borghese. Non c'è eguaglianza nel socialismo in cui si riceve un reddito proporzionale al proprio lavoro (che Marx ritiene sia l'ultima sopravvivenza del diritto borghese in fase ridistributiva) né nel comunismo dove si mette l'accento sui bisogni che non sono ovviamente tutti eguali. Per Marx il socialismo non è egualitario in quanto il lavoratore deve riappropriarsi del proprio pluslavoro in questa fase. Se il capitalista non lavora non avrà nessun salario. Mentre il salario maggiore sarà dato a chi lavora di più e meglio. Mentre nel comunismo non ci sarà uguaglianza perché la distribuzione avverrà secondo i bisogni che notoriamente sono diseguali. L'economista cinese Lui Guoguang afferma: “Il socialismo promuove lo sviluppo delle forze produttive, mentre l'egualitarismo lo impedisce. Pertanto, il socialismo e l'egualitarismo non sono compatibili. “ (Weill 1995).
Compito del socialismo è di restaurare la padronanza sul proprio lavoro, cioè la retribuzione deve variare secondo la quantità e la qualità del lavoro. La qual cosa è impossibile se la retribuzione è eguale per tutti. Ciò significa che altri si impadroniscono del nostro lavoro. Se coloro che lavorano molto, bene e fanno un lavoro di qualità superiore guadagnano lo stesso stipendio o poco più di colui che lavora poco e male con una qualifica inferiore non viene assicurato il principio socialista “a ciascuno secondo il suo lavoro”. Pertanto, la sostituzione del piano da parte del mercato nelle economie socialiste comporta il ripristino del diritto di proprietà del proprio lavoro (Umpiérrez 2005 b).
Nei paesi ad economia rigidamente pianificata la mancanza di rapporti di mercato e di concorrenza, le inefficienze e gli alti costi di produzione vengono automaticamente trasmessi al mercato interno oppure vengono ricompensati da sovvenzioni che diventano un peso per l’intero sistema. L'inefficienza facendo lievitare i prezzi delle merci o facendo mancare le merci stesse diventa di fatto un altro modo per togliere al lavoratore il frutto del proprio lavoro.
Note
[1] Naturalmente il Bucharin che viene criticato è quello di L'economia del periodo di trasformazione lavoro del 1920. Successivamente Bucharin diviene uno dei più accesi sostenitori del socialismo di mercato
[2] Quando si riprende, a metà degli anni '60, il dibattito sul mercato in URSS, l'economista sovietico Liberman sostiene che il profitto ha anche una precisa funzione in una economia pianificata: «il profitto, quando siano pianificati i prezzi dei prodotti del lavoro e il reddito netto sia utilizzato a favore dell’intera società, è il risultato e nello stesso tempo il misuratore (in forma monetaria) dell’efficienza reale dell’impiego di lavoro». Cioè “il misuratore del lavoro effettivamente prestato, e non il frutto del plusvalore” (Bufarale 2006).
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