4. Socialismo tra realtà e mito
Andammo noi, più spesso cambiando paese che scarpe
attraverso le guerre di classe, disperati
quando solo ingiustizia c’era, e nessuna rivolta.
Eppure lo sappiamo:
anche 1'odio contro la bassezza stravolge il viso.
Anche 1'ira per 1'ingiustizia fa roca la voce. Oh, noi che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili.
Ma voi, quando sarà venuta l’ora
che all’uomo un aiuto sia l’uomo,
pensate a noi
con indulgenza.
Bertolt Brecht
Nell'attuazione della pianificazione dell'intera economia del paese (e non solo di una singola fabbrica o di un singolo settore industriale) i comunisti russi si muovevano su un terreno affatto nuovo e inesplorato, privi di ogni riferimento o modello nei classici del marxismo.[...]Quell'esperienza andrebbe studiata e ristudiata attentamente da parte di chi si propone un superamento del capitalismo. Altre esperienze (piccole comunità autogestite, "bilanci partecipativi", e tutto quanto è diventato di moda tra i no global) appaiono ben poca cosa a fronte della pianificazione sovietica e degli altri paesi del "socialismo reale".
Andrea Catone.
Lenin preconizza, come vedremo meglio in seguito, la possibilità della costruzione del socialismo in Russia attraverso l'industrializzazione e la diffusione della cooperazione nelle campagne.
Van Ree scrive:
Piuttosto che posporre le ambizioni socialiste in un lontano futuro, nell'ultimo periodo della sua vita attiva Lenin conclude che, contro le sue prime più pessimistiche aspettative, il socialismo può essere ottenuto in uno spazio di tempo relativamente corto. Nel suo discorso al Soviet di Mosca nel Novembre del 1922 egli notava che “il socialismo non sarà a lungo una questione di un lontano futuro”. Il socialismo diventa parte della vita di ogni giorno. Il compito di trasformare la Russia della NEP nella Russia socialista si sarebbe svolto “non domani ma in parecchi anni”. In “Sulla cooperazione” egli dice che, partendo dalla NEP verso una situazione di piena cooperativizzazione, avrebbe preso una “completa epoca storica” che egli stimava in una o due decadi. Così egli si aspettava che il processo sarebbe stato portato al successo finale attorno al 1938. Sorprendentemente, questo è il tempo che Stalin ha impiegato (Van Ree 2001).
Nel 1936, infatti, Stalin chiude con le concessioni agli stranieri, sebbene fossero ancora attive le concessioni fatte ai contadini con la cosiddetta neo-NEP, che costituivano un elemento marginale del mercato. Nella sostanza questi articoli di Lenin come Sulla cooperazione sono la prima teorizzazione della possibilità di costruire il socialismo in Russia, ovvero in un paese isolato e arretrato. Questo punto di vista è poi sviluppato Stalin nell'opuscolo I problemi del leninismo (1926) e sostenuto da Bucharin. Stalin nella Lettera al compagno Ivanov (1938) in seguito dividerà la questione della vittoria del socialismo in due parti. La prima parte riguarda la vittoria completa del socialismo in URSS, cioè la possibilità di costruire il socialismo e l'impossibilità di restaurazione del capitalismo dovuta a forze interne. La borghesia interna può essere sconfitta attraverso il rafforzamento dell'alleanza tra operai e contadini. La seconda parte riguarda la vittoria finale, che è impossibile per la permanente minaccia d'intervento delle potenze occidentali contro la Russia sovietica e che diventa possibile solo attraverso la vittoria della rivoluzione in Occidente. Dunque l'Unione Sovietica deve aiutare il proletariato degli altri pesi ad instaurare il socialismo, perché la questione della vittoria finale non si può decidere sul piano interno. Così argomenta Stalin.

Occorre dire che la discussione sul socialismo in un solo paese verte principalmente sul fatto se la Russia sovietica, paese arretrato nello sviluppo delle forze produttive e a stragrande maggioranza contadina, sia in grado di costruire il socialismo con le sue stesse forze senza che la vittoria della rivoluzione nei paesi avanzati porti quell'aiuto tecnico-economico di cui aveva bisogno. Di fatto Trotzky, come rileverà in seguito Bordiga, appoggia la costruzione del socialismo in un solo paese.
Vasapollo da un eccellente quadro della situazione in cui maturano i piani quinquennali:
Vasapollo da un eccellente quadro della situazione in cui maturano i piani quinquennali:
Effettivamente l'URSS è ancora in ritardo nella sua economia e in particolare l'industria pesante occupava un ruolo assolutamente secondario così come carente era l'assetto complessivo del commercio estero e dei servizi, non era aumentata significativamente la produttività, non realizzando l'attesa rapida ascesa dell'agricoltura. Ciò anche perché l'unica industria che fu in qualche modo sostenuta dalla NEP era quella leggera. E' solo nel 1924 che il rapporto tra prezzi dei beni agricoli e di quelli industriali ritorna approssimativamente ai livelli antecedenti la prima guerra mondiale e riparte il commercio estero con una buona propensione alle esportazioni. Ma la crisi e il ritardo dell'URSS continuano, tanto che nel 1927 forti si fanno le voci di un diretto intervento economico straniero. Molti trust industriali falliscono e l'industria in genere, in particolare quella pesante, subisce una crisi senza precedenti; solo nel 1928 si raggiunge un livello della produzione in URSS pari a quello precedente la grande guerra.
E' così che Stalin nel 1928, in base a considerazioni sia economiche ma soprattutto politiche, comincia il superamento della politica della NEP, affrontando la questione della rottura con i tecnici e gli esperti, cioè con gli specialisti borghesi, non accettando neppure la posizione di Bucharin sulla cosiddetta "modernizzazione graduale" che di fatto significava proseguire la politica della NEP. Si cerca la strada di una gigantesca opera di modernizzazione socialista, con un piano di industrializzazione rapida e con un'agricoltura basata sui Kolchoz e i Sovchoz (le grandi imprese agricole collettive). Stalin giustamente sceglie di puntare sull'industria pesante, sulla collettivizzazione nelle campagne, anche per poter far fronte alle innumerevoli cospirazioni diversificate e su vasta scala e alle continue minacce di intervento non solo sul piano militare ma soprattutto sul piano economico che il capitale straniero aveva sferrato e attuato.L'idea della pianificazione economica era già presente all'inizio degli anni '20, ma è proprio nel dicembre del 1929, in concomitanza della grande depressione dei paesi a capitalismo avanzato, che Stalin decise di mettere in pratica un'economia regolata fortemente da strumenti scientifici, in modo da garantire uno sviluppo equilibrato e moderno nell'interesse generale del popolo sovietico e del socialismo. Nasce così il Primo Piano Quinquennale studiato già nel 1926 dal Gosplan (Comitato statale per la Pianificazione) e dal Consiglio Supremo dell'economia nazionale, per il periodo 1 ottobre 1928- 31 dicembre 1932. Proprio mentre è in atto la più grande crisi che il capitalismo aveva attraversato, il Primo Piano prevede un'espansione dell'economia mai realizzata in quell'epoca in nessuna parte del mondo. Era previsto un incremento della produzione industriale del 180%, quella dell'impiantistica del 230%, quella agricola del 55%; l'incremento del reddito nazionale doveva essere del 103% con un aumento dei redditi operai del 71%, quello dei contadini del 67% con un aumento generale della produttività del lavoro del 110%. (Vasapollo 2001)

Gli innumerevoli partecipanti viventi nell'economia, statale e privata, collettiva e individuale, devono fornire informazioni delle loro esigenze e della loro forza relativa non solo attraverso le determinazioni statistiche delle commissioni di piano, ma dalla pressione diretta della domanda e dell'offerta. Il piano è controllato e, in misura considerevole, realizzato attraverso il mercato. La regolamentazione del mercato stesso deve dipendere le tendenze che si sono messe in evidenza attraverso il suo meccanismo. I piani prodotti dai dipartimenti devono dimostrare la loro efficacia economica attraverso il calcolo commerciale (Trotskij 1932, p. 275).

Le risorse per industrializzare l'URSS secondo Trotzky devono essere estorte ai contadini che Proebrazhevsky, il maggior economista dell'opposizione, vuole sfruttare come gli inglesi avevano fatto con le colonie. Egli infatti è fautire della «legge dell'accumulazione primitiva socialista», secondo la quale invece l'industrializzazione nella Russia sovietica avrebbe potuto essere finanziata soltanto ricorrendo al prelievo del reddito contadino senza un'equivalente corresponsione di valore da parte dell'industria. Scrive Catone: "Fino alla gravissima crisi degli approvvigionamenti delle città dell'inverno 1927-28, la posizione di Stalin appare notevolmente prudente, volta a salvare - a costo di procedere a piccoli passi e di ampliare le concessioni al settore privato - il nucleo fondamentale della NEP, l'alleanza operai-contadini, mentre l'opposizione di sinistra teorizza, con la Nuova economia di Preobraženskij (1926) la necessità di un'accumulazione originaria socialista attraverso il «pompaggio» (perekačka) dei capitali essenzialmente dall'agricoltura per finanziare la costruzione di un'industria socialista." (Catone 1998).
A partire dal 1926, anche Bucharin si è accorto che ormai la strada sta diventando stretta. Egli, infatti, accoglie il principio di un'intensificata accumulazione a spese dei contadini per favorire l'industrializzazione, ma solleva obiezioni nei confronti di un orientamento troppo esclusivo verso l'industria pesante, che alimenterebbe forti tensioni sociali e gravi ripercussioni politiche nei rapporti tra lo stato e la società. Egli argomentò questa posizione in Note di un economista, pubblicato sulla «Pravda» nel settembre 1928, dove al posto della precedente cauta impostazione «a passo di lumaca», egli si dichiarava favorevole a uno sviluppo elevato e rapido, ma mettendo in guardia dalle conseguenze distruttive di un corso a ritmi insostenibili e illimitati, pronunciandosi per un ridimensionamento di progetti troppo ambiziosi che avrebbero determinato eccessivi sacrifici per la popolazione e il conseguente ricorso all'azione repressiva di massa a opera dello stato.(Di Biagio 2006). Ma anche Bucharin insiste nell'ottobre 1928 per rinforzare l'offensiva contro gli elementi capitalisti e primi tra tutti i kulaki. Stalin pensa che il proletariato possa essere mobilitato nella prospettiva della costruzione della società socialista invece di essere inquadrato con i metodi burocratici e repressivi di Trotskij già criticati da Lenin nel suo famoso testamento. Ma Trotskij non in definitiva e nonostante le sue dichiarazioni di circostanza è scettico sulla possibilità che la Russia possa costruire il socialismo con le sue sole forze. Bisogna notare comunque che Stalin, Lenin, Trotskij[1] e Bucharin si pongono il problema di una più o meno rapida crescita economica dell'URSS e nessuno teorizza il socialismo della miseria, anzi questa è un’espressione riservata piuttosto alle proposte avversarie.

Il maggiore riconoscimento all’opera di Stalin, lo ricorda Losurdo, avviene dal suo più inesorabile avversario:
«L'ampiezza dell'industrializzazione dell'URSS, nei confronti della stagnazione e del declino di quasi tutto l'universo capitalista, risalta dagli indici globali seguenti [...] Negli ultimi dieci anni (1925-1935), l'industria pesante sovietica ha più che decuplicato la sua produzione. Nel primo anno del primo piano quinquennale [1929] gli investimenti di capitale si elevarono a 5,4 miliardi di rubli, nel 1936, devono essere di 32 miliardi», mentre «la produzione industriale della Germania raggiunge in questo momento il livello del 1929 solo in virtù della febbre del riarmo», la produzione industriale degli USA si è abbassata di circa il 25%, quella della Francia di più del 30%, e quella inglese è cresciuta solo del 3-4% con l'aiuto del protezionismo. «Gli immensi risultati ottenuti dall'industria, l'inizio molto promettente di uno sviluppo dell'agricoltura, lo svilupparsi straordinario delle vecchie città industriali, la creazione di nuove, il rapido aumento del numero degli operai, l'elevamento del livello di vita e dei bisogni, tali sono i risultati incontestabili della rivoluzione d'Ottobre, in cui i profeti del vecchio mondo videro la tomba della civiltà. Non è più il caso di discutere con i signori economisti borghesi: il socialismo ha dimostrato il diritto alla vittoria non nelle pagine del Capitale, ma su un'arena economica che comprende la sesta parte della superficie del globo; non con il linguaggio della dialettica, ma con quello del ferro, del cemento e dell'elettricità. [...] Solo la rivoluzione proletaria ha permesso a un paese arretrato di ottenere in meno di vent'anni risultati senza precedenti nella storia»(Trotskij 1972, pp. 6-8) .
Del resto i successi sono a dir poco eclatanti. La crescita industriale media, dal 1929 al 1947, è pari al 20% annuo. La produzione industriale dell’Unione Sovietica nel 1937 aumenta più di sette volte rispetto a quello del 1913 mentre per lo stesso periodo i paesi capitalisti registravano crescite non più alte dello 0,3%.
Dopo i primi due piani quinquennali, la produzione industriale dell’Unione Sovietica che era la quarta, diviene la prima in Europa e la seconda nel mondo. L'URSS deve per forza di cose partire dall'industria pesante che porta con sé l'indipendenza economica e serve a costruire la armi per resistere all’aggressione imperialista e tale modello, di indubbio successo, diventa quasi obbligatorio per i paesi che nel tempo aderiscono al modello socialista.

Sotto un certo punto di vista il ragionamento di Stalin è analogo a quello di Deng. Si dispone di pochi capitali, occorre concentrarli in particolare sull’industria pesante per le necessità della guerra. Questo mentre Deng (come Lenin) di fronte allo stesso problema li concentra nei “commanding heights” per avere il controllo macroeconomico. Lo straordinario successo dell’URSS diviene un esempio per il sud del mondo:
La "rapida crescita economica" dell'Urss suscitò un certo interesse nel Sud - e nello stesso tempo i timori dei leader occidentali. Nella sua ricerca del 1952 sullo sviluppo tardivo, Alexander Gerschenkron descrive "l'aumento di circa sei volte della produzione industriale sovietica" come "il maggiore ed il più lungo [scatto in avanti] nella storia dello sviluppo industriale del paese"... Dieci anni più tardi Simon Kuznets, nei suoi studi sulle tendenze a lungo termine dello sviluppo economico, collocava la Russia tra i paesi con il più alto ritmo di crescita della produzione pro capite nell'arco di un secolo, insieme al Giappone e la Svezia, mentre gli Usa - i quali erano partiti già avvantaggiati - non andavano oltre la metà della classifica, appena prima dell'Inghilterra (Chomsky 1993).
Ma il modello sovietico non coglie altrettanti successi quando viene applicato al di fuori dell'URSS[2]. Anzi col tempo diviene una palla al piede delle economie dei paesi socialisti. Questo modello ha il difetto di cominciare dalla fine. Ossia si parte allo sviluppo dell'industria pesante ancora prima che dal primario ossia l'agricoltura o del secondario leggero: agroindustria, tessile ecc. come vuole la “naturale” evoluzione delle economie nazionali. La Cina della riforma è stata da questo punto di vista una eresia. Il modello stalinista che si basa su un tasso di accumulazione del capitale il più alto possibile non proporzionato al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione viene esplicitamente rigettato. Il non essersi basati sui consumi popolari ha portato alla scarsa incentivazione dei lavoratori nella produzione giacché avevano scarsità di prodotti da comprare e di conseguenza ad una bassa qualità delle merci pregiudicando lo sviluppo dell'agricoltura e della industria leggera. Questi elementi si fanno sentire ancora poco mentre Stalin è in vita. Ma diventano evidenti con i suoi successori. Per i cinesi si deve dare priorità allo sviluppo dell'agricoltura, poi dell'industria leggera che a sua volta deve stimolare l'industria pesante. Questa è la lezione che i cinesi traggono dall'analisi dello sviluppo dell'URSS (Lessons 1996).
La storia della costruzione del socialismo è stata caratterizzata essenzialmente dal progressivo distacco dall'utopia per calarsi nella situazione concreta di paesi spesso arretrati che non potevano permettersi il lusso di violare palesemente le leggi economiche. Nell'URSS dopo il periodo della NEP toccherà al XVII Congresso del PCUS nel 1934, il cosiddetto congresso dei vincitori, criticare l'idea di eliminare il commercio e denaro nella fase socialista e sottolineare che la principale attività economica del momento era l'attuazione del calcolo economico in ogni fase dell’economia nazionale attraverso il rafforzamento della disciplina finanziaria, della pianificazione e delle relazioni economiche tra città e campagna.
Alla viglia della guerra si sviluppa un dibattito sulla legge del valore nel socialismo, in concomitanza con il progetto sulla pubblicazione di un testo di economia politica. Sebbene il dibattito venga interrotto dalla guerra, nel 1943 un articolo pubblicato su un’importante rivista sovietica proclama che la legge del valore è presente nel socialismo ma in un modo trasformato. Però questa viene ritenuta una mera eredità del capitalismo, senza una base obiettiva nell’economia socialista. Questo articolo, pubblicato anche in America, si dice che riflettesse le idee di Stalin in materia. Con il manuale di economia politica del 1951 si afferma che la legge del valore nel socialismo è trasformata e vengono approfondite le categorie del mercato e la loro utilizzazione nel socialismo.
Stalin nei Problemi economici del socialismo in URSS, pubblicato nel marzo 1952, giustamente critica le teorie ricorrenti già dal comunismo di guerra che negano la natura obbiettiva delle leggi economiche nel socialismo e sottolinea inoltre come le relazioni commerciali abbiano una base nella stessa economia socialista, e non siano il mero residuo del capitalismo. Per Stalin i rapporti commerciali permangono nel settore dei beni di consumo attraverso i mercati colcosiani e nella vendita ai consumatori singoli, dove sussistono rapporti mercantili e dunque vige la legge del valore, e nel commercio con l'estero. In questi settori occorre dunque tener presente la legge del valore assieme al rapporto domanda-offerta. La base del sistema socialista è legata alle differenze delle due forme di proprietà collettiva dei mezzi di produzione nel socialismo: quella statale, di tutto il popolo, e quella cooperativa-kolkoziana. Stalin nega invece il carattere mercantile della produzione all'interno della proprietà statale dei mezzi di produzione socializzati, dove vige l'allocazione amministrativa stabilita sulla base di esigenze economico-sociali generali, al contrario del rapporto tra la proprietà statale (di tutto il popolo) e quella cooperativa (dei soli soci) dove vige la legge del valore (Vascós González 2004)).
Stalin comunque riconosce, seppure in maniera limitata, la persistenza della legge del valore, e dunque del mercato, nel socialismo realizzato nonostante la socializzazione di gran parte dei mezzi di produzione. Questa sarebbe scomparsa in seguito con la statizzazione dei kolkoz (che sono sostanzialmente delle cooperative) e poi con lo sviluppo della tecnologia e la vittoria del socialismo a livello mondiale sarebbe finita anche la scarsità dei beni e le attività mercantili tra nazioni. Comunque le relazioni monetario-commerciali svolgono un ruolo passivo nel processo decisionale. Per Stalin dunque il mercato non porta necessariamente al capitalismo:
Si dice che la produzione mercantile in qualsiasi condizione deve portare e necessariamente porterà al capitalismo. Questo non è vero. Non sempre e non in qualsiasi condizione! Non si può identificare la produzione mercantile con la produzione capitalistica. Son due cose diverse. La produzione capitalistica è la forma più alta di produzione mercantile. La produzione mercantile porta al capitalismo solamente se esiste la proprietà privata, se la forza lavoro si presenta sul mercato come una merce che il capitalista può comprare e sfruttare nel processo di produzione, se, di conseguenza, esiste nel paese un sistema di sfruttamento degli operai salariati da parte dei capitalisti. La produzione capitalistica incomincia là, dove i mezzi di produzione sono concentrati in mani private e gli operai, privi dei mezzi di produzione, sono costretti a vendere la loro forza-lavoro come una merce. Senza di ciò non vi è produzione capitalistica (Stalin 1952, p. 63).
Per Stalin le categorie usate per studiare il capitalismo non sono riutilizzabili nell'analisi del socialismo perché con l'appropriazione sociale dei mezzi di produzione finisce la schiavitù salariata e cessano di esistere conflitti di classe e di interesse all'interno della sfera della proprietà collettiva. Per Nemcinov, uno dei più interessanti economisti degli anni 60, invece nel socialismo agiscono categorie quali la merce, il prezzo di produzione, la stessa moneta (che non ha solo il ruolo contabile assegnatogli da Stalin) che Marx ha usato per analizzare il capitalismo (Bufarale 2006). Queste questioni vennero riprese, a testimonianza della ricorrenza di questi problemi, proprio nel dibattito sovietico degli anni Sessanta[3].
Per Stalin poi non ha senso parlare nella società socialista di lavoro necessario o pluslavoro dal momento che i lavoratori lavorano per se stessi. Nel socialismo c’è al massimo una ridistribuzione del compenso in modo che il lavoratore prenda pressoché interamente per se il frutto del proprio lavoro.
In ogni caso l'epopea sovietica portò anche concretamente a ridurre il divario tra l'URSS e le potenze capitaliste così come sta facendo la Cina: "La forza dell'economia sovietica, e, in misura minore, della Cina, era che aveva creato un'industria pesante indipendente e sostenuto per un lungo periodo storico un tasso relativamente elevato di crescita economica. In effetti, l'Unione Sovietica e il Giappone, e ultimamentela Cina , sono gli unici grandi paesi nel XX secolo per ridurre significativamente il divario nel PIL pro capite tra di loro e dei paesi capitalisti avanzati. (vedi Angus Maddison). Questa successo economico, che non sarebbe stato possibile senza la rivoluzione dell'ottobre 1917, ha permesso l'URSS di creare risorse scientifiche, culturali e accademiche senza pari in qualsiasi paese al di fuori degli Stati Uniti. L'URSS è diventata uno dei centri unici di produzione di macchine utensili, il nucleo di industrie di beni di investimento, in tutto il mondo - gli altri sono gli Stati Uniti, Europa occidentale e Giappone. Questi risultati economici hanno permesso dell'ex Unione Sovietica di eliminare estremi di povertà, creare servizi di assistenza, di raggiungere un livello elevato di istruzione e di creare una capacità militare di gran lunga superiore al Giappone e la Germania , che l'avevano minacciata in passato. A partire da un livello molto più basso di sviluppo anche la Cina è riuscita a creare un settore industriale e pesante della sua economia" (Lesson 1996).
In ogni caso l'epopea sovietica portò anche concretamente a ridurre il divario tra l'URSS e le potenze capitaliste così come sta facendo la Cina: "La forza dell'economia sovietica, e, in misura minore, della Cina, era che aveva creato un'industria pesante indipendente e sostenuto per un lungo periodo storico un tasso relativamente elevato di crescita economica. In effetti, l'Unione Sovietica e il Giappone, e ultimamente

[1] Trotsky scrive: ”Coloro che affermano che lo sviluppo delle forze di produzione va nella direzione del capitalismo, mentono. Nell'industria, nei trasporti, nel commercio, nel sistema finanziario e creditizio, il ruolo dell'economia statale, con l'aumento delle forze produttive non diminuisce ma, al contrario, cresce in rapporto all'economia totale del paese (Trotsky 1967 p. 2).”.
[2] Per la verità è lo stesso Stalin che prospetta, come ricorda Dimitrov nel suo diario, una serie di modelli diversi per i paesi a “democrazia popolare”.

Il problema viene sfiorato da Nemcinov [...] L’economista sovietico metteva in luce il legame tra i rapporti monetari-mercantili (un’espressione che molti preferivano rispetto a “rapporti di mercato” per evidenti ragioni ideologiche) e il processo di divisione del lavoro, che si approfondiva man mano che la struttura socio-economica – con le sue interne stratificazioni e interconnessioni – diventava più complessa.
Nel socialismo la moneta e la merce non esprimono l’appropriazione del prodotto addizionale e lo sfruttamento dei lavoratori, come nel capitalismo. Ma esse continuano ad esercitare anche nella società socialista una funzione importante. Quando si approfondisce il processo di divisione sociale (settoriale e territoriale) del lavoro, acquista importanza decisiva la produzione di merci destinate al consumo di altre cellule della società.
L’evoluzione del socialismo, con l’approfondimento della divisione sociale del lavoro e lo sviluppo dei consumi non portava, dunque, alla sparizione dei rapporti merce-moneta: semmai, apriva ad essi nuovi spazi [Bufarale 2006 ]“.
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