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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

lunedì 28 maggio 2012

5.7: Il sistema che vanta il maggior numero di imitazioni

5. La via del socialismo

Per tutti coloro che, come noi, credono nel socialismo, quello che la Cina sta facendo rappresenta una speranza. Non è azzardato affermare che il futuro del socialismo nei prossimi decenni dipenderà in larga misura da quello che la Cina saprà realizzare. 
Fidel Castro Ruz (Castro 1999) 


Il poliziotto del mondo potrebbe essere occidentale, ma il maestro del mondo, come è stato per millenni, risiede ancora in Oriente.
(Hughes 2008)

David Schweickart rileva il grande successo economico della Cina nel quadro di un sistema controllato da imprese di proprietà dei lavoratori. "Questa economia socialista di mercato 'incoerente' è sorprendentemente riuscita, con in media un sorprendente dieci per cento di tasso di crescita annuo nel corso degli ultimi quindici anni", ma continua Schweickart: "La Cina non è oggi fonte di ispirazione  nella maniera in cui lo fu la Russia all'indomani della rivoluzione bolscevica, o come la Cina lo è stata per molti nella sinistra negli anni ‘60 o come lo sono stati il Vietnam o il Nicaragua e Cuba "(in Ollman 1998, p. 8). Questo è senza dubbio vero per la sinistra occidentale che, a differenza dei cinesi, non è certo famosa nel mondo per le proprie performances.
Sebbene i cinesi vengono spesso accusati di copiare dal punto di vista economico in realtà spesso vengono copiati. La Cina sostiene di non essere un modello, ma, di fatto, lo è: "La Cina non ambisce ad essere un “modello” per tutti. Questo è un aspetto importante anche per il futuro, soprattutto se letto alla luce di quelle che sono state le dinamiche interne al movimento operaio e comunista dello scorso secolo, a partire dal fallimento della rivoluzione nell’Occidente capitalistico e dal conseguente isolamento della rivoluzione d’Ottobre: la Cina potrebbe costituire – e in effetti costituisce – un esempio attrattivo per tanti paesi in via di sviluppo con governi che abbiano a cuore la crescita autonoma del proprio paese e il miglioramento delle condizioni di vita della propria gente, ma non per i paesi a capitalismo avanzato" (Graziosi 2007) .

Scrive un osservatore americano:
Nelle economie avanzate, l'aumento della produttività significa salari più alti. Perché non possono i cinesi avere gli stessi diritti per la felicità e la prosperità, come gli inglesi, francesi, tedeschi e giapponesi nel dopoguerra? Nella ricerca per la crescita, i paesi avanzati cercano di migliorare la loro capacità economica, attraverso una maggiore produttività e l'innovazione. Eppure, nelle diverse fasi di crescita si presentano sfide diverse. Miglioramenti di produttività che sono tipici durante il decollo - per esempio, la costruzione di infrastrutture di base, il miglioramento della salute - non sono sufficienti per aumentare la produttività in una fase più avanzata, in cui gli incrementi di produttività derivanti da queste politiche sono già stati sfruttati. Il modello di crescita degli Stati Uniti si basa sul PIL pro capite di 45.800 $, a parità di potere d'acquisto. Può essere opportuno per molti paesi occidentali urbanizzati e post-industriali cercare di mantenere la loro posizione ad un livello alto. Le sfide sulla crescita per i paesi in via di sviluppo sono diverse. Basandosi su 5.300 dollari pro capite, il modello di crescita della Cina è più vicina alla loro realtà di prima industrializzazione e urbanizzazione. I modelli degli Stati Uniti e della Cina non devono essere visti come reciprocamente esclusivi, ma complementari. Ognuno ha una funzione - ma in un diverso stadio di crescita. Nel periodo della Guerra Fredda, il modello americano ha giocato un ruolo fondamentale nella prosperità crescente di Europa occidentale e Giappone. Nell'era post-guerra fredda, il modello cinese può avere un ruolo importante nella diffusione della crescita in paesi emergenti dell'Asia e oltre (Steinbock 2008)
Il Vietnam è stato il primo paese ad avvicinarsi al modello cinese del socialismo di mercato dopo ché non era riuscito a raggiungere gli obbiettivi del piano quinquennale negli anni’80 palesando i problemi affiorati nell’URSS e negli altri paesi dell’Est Europa. Già nel 1997 uno importante studioso vietnamita dichiara ad un giornalista che gli venne richiesto di studiare ogni passo della riforma cinese e di riportare i risultati al Comitato Centrale del Partito per stabilire la linea guida per le decisioni già dal 1986. I vietnamiti hanno applicato il sistema di responsabilità famigliare nelle campagne diventando il principale esportatore di riso al mondo. Il concetto di apertura e di rinnovamento (Doi moi) è diventato operativo dal Sesto Congresso del Partito Comunista del Vietnam nel 1986. Questo congresso ha dato cinque direttive: 1) riorganizzare il sistema di direzione dell'economia dando priorità ai programmi alimentari, la produzione di beni di consumo e d’esportazione, 2) rafforzamento dei rapporti di produzione socialista e parallelamente di stimolare il settore privato, 3) rinnovamento del meccanismo economico con l’eliminare la gestione centralizzata, burocratica e sussidiaria verso la formazione di un’economia di mercato regolata dallo stato, 4) promuovere lo sviluppo della scienza e della tecnologia per realizzare le direttive precedenti, e 5) espandere in modo efficiente le relazioni con il mondo esterno. Le riforme sono state approvate nel corso delle conferenze VII e VIII del 1991 e il 1997 e sono la versione in salsa vietnamita delle quattro modernizzazioni cinesi (González 2005). 

Già nel 1924 Ho Chi Minh espresse l’idea che il marxismo essendo un’espressione culturale dell’Europa dovesse essere adattato alle caratteristiche dei paesi asiatici. Analogamente alla Cina dopo il 1945 tentò una coalizione molto ampia assieme all’Imperatore Bao Dai, altolocati mandarini, nazionalisti, intellettuali invece della dittatura del proletariato (Le Dang 2004). Una riforma agraria affrettata e l’altrettanto frettolosa espropriazione degli imprenditori portarono non pochi problemi e il declino della produzione industriale. 

L’esperienza storica dimostra che volere saltare le tappe dello sviluppo storico comporta l’istituzione di regimi d’emergenza con molta coercizione e poca democrazia: 
In prospettiva, il socialismo in stile sovietico era un nobile sogno sulla carta ma non convincente nella realtà. Gli sforzi di Ho Chi Minh di seguire un diverso approccio erano inizialmente promettenti, ma non lo furono alla fine. La situazione storica e le condizioni non avevano permesso che avesse un lieto fine ma la validità del suo concetto rimane. Democrazia, libertà, unità nazionale, persuasione invece della repressione e della liquidazione fisica erano i principali validi elementi della sua concezione strategica, Il prematuro tentativo di forzare la proprietà collettiva, dimenticando gli incentivi economici e ignorando il ruolo del management, la sovra-enfatizzazione della violenza, repressione, a volte liquidazione fisica di una parte del genere umano a favore della salute e della felicità per gli altri, trascurando i valori intellettuali, la capacità professionale, le tradizioni culturali non hanno funzionato bene. L’applicazione di una copia di modello teorico, radicato in Europa, per la società vietnamita era costoso ed diseducativo per l’intera società. Come uno storico turning point, il processo di Doi Moi ha iniziato un nuovo viaggio di esplorazione, ricerca e sperimentazione di una nuova via al socialismo in Vietnam basata sull’economia di mercato, sull’integrazione economica, sulla civilizzazione, scienza e tecnologia moderne [Le Dang 2004].
Pertanto, il rinnovamento si è prefissato come obiettivo di abbandonare la sottovalutazione del ruolo delle relazioni monetarie e superare soggettivismo nella conduzione dell’economia e della politica, e superare l’elevato centralismo burocratico dei meccanismi di pianificazione e regolazione economica. Come in Cina il settore socialista dell’economia è basato imprese statali e cooperative mentre il settore privato si basa su imprese nazionali e straniere. Tutte le aziende private e pubbliche sono in concorrenza le une con le altre. Mentre l’agricoltura si basa sul sistema di diritti delle famiglie all’uso della terra (Le Dang 2004). Il Doi moi è la versione vietnamita del socialismo di mercato. Il Programma del Partito Comunista del Vietnam nel 1990 tuttavia insiste che il settore statale e cooperativo diventino gradualmente e sempre più il fondamento dell’economia nazionale. 




Dopo i primi venti anni di Doi Moi, dal 1986 ad ora, la transizione ad “un’economia di mercato ad orientamento socialista” deve essere ancora compiuta completamente. Il Vietnam ha avuto una crescita economica e rilevanti progressi nella lotta alla povertà e nella democratizzazione. L’integrazione economica internazionale ha aiutato il Vietnam a riformare e liberalizzare il suo sistema economico come la sua cultura, sistema educativo ecc.(Le Dang 2004). 

L'apertura esterna del Vietnam si è basata sull’unità le forze della nazione, per lo sviluppo delle forze produttive, che è la condizione della partecipazione del paese alla globalizzazione, cercando di adeguare il contesto economico e tecnico-scientifico al resto del mondo. In questa direzione si sono stabiliti rapporti con le istituzioni internazionali e le multinazionali. Infatti, il Vietnam ha aderito al WTO inoltre è entrata nell’ASEAN, che da alleanza anticomunista è diventata area di libero scambio che consente di esportare i beni prodotti vietnamiti in tutti i paesi membri: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Birmania, Thailandia e Singapore. Il Vietnam è membro dell’Associazione dei Paesi dell’Asia e del Pacifico (APEC) che comprende Giappone, Cina e USA, ed ha lo scopo di liberalizzare progressivamente il commercio dell’area. Per il Vietnam vale lo stesso discorso della Cina e non è diventato subalterno alle regole dettate dalle istituzioni internazionali come il FMI e la BM, ma vi è entrato per contare all’interno. Comunque se si pensa al Vietnam sottoposto ad embargo degli anni’70-’80 si può dire che è uscito alla grande dall’isolamento internazionale. 

I risultati raggiunti sono notevoli, anche se non mancano i problemi legati al rapido sviluppo in un’economia mista. Il suo PIL procapite era solo 435 dollari nel 2003 e ora è arrivato a 1.000 dollari (più di quattro volte quello del 1990) e continua a crescere ad un tasso di più del 7%. Il controllo sui punti strategici dell’economia fa sì che il Vietnam sia uscito molto bene dalla crisi asiatica del 1997 e da quella del 2008. I funzionari vietnamiti riconoscono che il gap dei redditi continua ad ampliarsi come quello complessivo tra aree urbane e rurali, tra montagna e pianura e tra differenti strati della popolazione e tra regioni ricche e povere nel paese (Vietnam’s 2003). Oggi il Vietnam è passato da paese assistito ad uno dei maggiori esportatori di riso (il secondo dopo la Thailandia) di caffè, gomma e prodotti ittici. I progressi ottenuti dal Vietnam con l’economia di mercato sono rimarchevoli e hanno fatto si che si potesse lottare maggiormente contro i problemi più urgenti ossia la fame e la povertà. E innalzare il tenore di vita: 
C’è stato addirittura un periodo, tra il ‘91 e il ‘96, che alcuni osservatori stranieri hanno definito, con ottimismo eccessivo, l’età dell’oro. In dieci anni il PIL è raddoppiato e i progressi, (al diavolo le statistiche!) sono visibili a occhio nudo. Chi si ricorda la straziante povertà di 20 anni fa rimane stupefatto dai cambiamenti: i mercati e i negozi che traboccano di merci e di gente che compra, che la sera affolla i bar, le gelaterie e i ristoranti. La povertà, beninteso, non è scomparsa ma non è lontanamente comparabile con la massa di disperati, con il “popolo dell’abisso” che ti sommerge giorno e notte nelle strade di Bombay, di Calcutta e nelle sterminate periferie di Lagos (Ricaldone 2004). 

Usando criteri internazionali per la definizione di povertà che coprono il cibo e altri bisogni di base, le Nazioni Unite stimavano che il 70% della popolazione nel 1990 vivesse in povertà, di questi il 90% nelle aree rurali. Nell’anno 2000, il numero di gente sotto la linea generale della povertà era stata ridotta al 32%. Il compito per il 2010 è di ridurre questa cifra al 19%. La percentuale dei vietnamiti che avevano a disposizione calorie giornaliere sotto la linea di povertà (2010 calorie per adulto), che risultavano malnutriti che si manifesta con scarsa salute e crescita era il 25% nel 1993; nel 1999, la percentuale della popolazione che vive sotto la linea di povertà del cibo si era ridotta al 15%. Mentre dovrebbe essere ridotta ulteriormente al 4% nel 2010. Il tasso alfabetizzazione del paese è ora tra i più alti tra i paesi poveri, sopra il 96% tra gli 1-35 anni, più alto della maggior parte dei paesi in via di sviluppo. L’educazione primaria è gratuita e obbligatoria. L’obbiettivo è di fornire a tutti un’educazione secondaria per il 2010 [Vietnam’s 2003]. L'aspettativa di vita è arrivata a 72 anni, tra le più alte del Sud-Est asiatico. “Oggi che il Vietnam, con i suoi eccezionali ritmi di crescita e con i suoi sorprendenti risultati nella lotta contro la povertà, si colloca tra i paesi con il maggiore dinamismo economico di tutta l’Asia, al secondo posto dopo la Cina (Rapporto UNPD 2003)” (Ricaldone 2004). 

E stata introdotta, caso unico nel sud est asiatico, la settimana di 40 ore e inoltre il diritto di sciopero, misura indispensabile dato lo sviluppo del settore privato. Il Vietnam è un’altra storia di successo di un paese che basandosi sul socialismo di mercato e inserendosi nella globalizzazione, ha avuto parecchi successi economico-sociali e nell'alleviamento della povertà e della fame, l'inflazione, l'aumento dei livelli produttivi, questi progressi hanno fatto sì che il modello abbia consenso politico e sostegno popolare. Questo è dimostrato dalla partecipazione del 90% di elettori alle elezioni parlamentari e ai consigli popolari (González 2005). I vietnamiti come i comunisti cinesi “… mantengono del tutto integro il lungo filo conduttore che li lega al loro patrimonio storico e a quello del movimento comunista del Novecento di cui si sentono eredi e continuatori (Ricaldone 2004)“. 

Giornalisti hanno inoltre riferito nell'Ottobre del 2008 durante un seminario sulla riforma cinese ad Hanoi che I vietnamiti non solo hanno imparato dai cinesi la politica di riforma e di apertura ma che guardano al vicino anche per la politica di costruzione del Partito e alla pratica di lotta alla corruzione. Recentemente, Dao Duy Quat, direttore dell'edizione online del giornale del PCV, ha concluso che l'esperienza cinese trova un ambiente favorevole nelle condizioni specifiche del Vietnam, in particolare per il ruolo dirigente del Partito e l'unità di tutti I gruppi etnici (Model 2009). 

Il Laos ha avuto due fasi di riforme: le riforme economiche nel quadro del sistema di pianificazione centralizzata e la transizione all'economia socialista di mercato. La prima fase si occupava di varie campagne di riforma volto a migliorare l'efficienza o l'aumento della produzione nel vecchio sistema economico.Ciò è avvenuto tra la fine del 1970 e prima metà del 1980. La seconda fase, di fatto ha trasformato lo stesso sistema economico, lanciando il Nuovo Meccanismo di Mercato (NEM) nel 1986. La riforma iniziata su scala ridotta nel settore agricolo nel 1979 dopo i risultati insoddisfacenti del movimento delle cooperative e dei disastri naturali nel corso 1976-77. La riforma ha raggiunto altri settori dell'economia Lao entro la seconda metà degli anni 1980 attraverso l'adozione completa del NEM nel 1986 con l'ordine del giorno sul commercio e la liberalizzazione dei prezzi,la riforma dell'impresa di proprietà statale (SOE), la riforma del settore finanziario, ecc Dal 1989, le riforme hanno proceduto gradualmente insieme con il programma di stabilizzazione fiscale e monetaria che è stato rafforzato durante il periodo 1992-1994, con forti assistenze economiche bilaterali e multilaterali. Le riforme sono state rallentare durante il periodo di crisi della seconda metà degli anni '90. Dagli inizi del 2000, gli sforzi e l'impegno alle riforme hanno ripreso vigore. Le riforme in corso oggi sono più interessate allo sviluppo dei meccanismi di mercato tentando di migliorare l'efficienza del mercato e promuovere la crescita e la riduzione della povertà (Insisienmay 2008).

Nella stessa Cuba si prospetta di adottare del modello cinese come si suol dire in salsa caraibica: 
…sembra prospettarsi all'orizzonte una sorta di avvicinamento economico al modello cinese, tanto apprezzato da Raul. Ma una cosa è certa: qualsiasi cambiamento nel sistema cubano avverrà esclusivamente per migliorare le condizioni della popolazione. Dunque, l'imperativo è: scordarsi che le misure volute da Raul siano in qualche modo state prese per ammorbidire le posizioni della comunità internazionale nei confronti dell'isola. Lo stesso Raul ha fatto sapere che Cuba “non accetterà pressioni da Paesi o da interi continenti”. Chiarissimo il riferimento a Washington e all'Unione europea. […]Inoltre, fra poco tempo a Cuba ci sarà anche la rivoluzione dei salari: più alti per chi lavora di più e meglio. Altra novità: sarà possibile avere più di un lavoro (Grandi 2008).
E’ significativo che il libro di Hart-Landsberg e Burkett sulla “Cina capitalista” sia stato scritto dopo che essi parteciparono alla conferenza Internazionale sul Marxismo a Cuba nel 2003 come dicono loro stessi. Essi dovettero constatare come gli economisti cubani e i funzionari governativi fossero ”impressionati dalla crescita economica sostenuta della Cina, e ancora di più dai suoi crescenti sforzi per attrarre FDI (foreign direct investment) e generare crescita manifatturiera”. Essi poterono osservare come fosse stata preparata ”la stesura di una proposta di ristrutturazione della strategia economica di Cuba…fortemente influenzata dall’esperienza cinese” e che venisse discussa la nozione di”socialismo con caratteristiche cubane” (Hart-Landsberg 2005). 

Raul Castro ha studiato il progetto cinese viaggiando in Cina nel 1997 dove incontra il primo ministro Zhu Rongji artefice delle riforme degli anni ’90. Raul invita in seguito i maggiori consiglieri di Zhu a incontrare centinaia di funzionari e manager delle imprese di stato e queste visite sono continuate sino ai nostri giorni. “il modello cinese…ha molto impressionato e influenzato l’attuale leader di Cuba” ha detto un ex funzionario dell’intelligence cubana, che aggiunge “ Negli ultimi 15 anni, circa l’85% leader civili e militari sono stati in Cina”. 

Xu Shicheng dell’Accademia Cinese di Scienze Sociali ha suggerito dopo una visita nel 2003 di procedere verso l’economia di socialismo di mercato invece che verso una sorta di egualitarismo estremo. Sulle orme del socialismo di tipo sovietico Cuba è rimasta in un’impasse. Certamente ci sono molti pregi nel modello cubano come la sanità, l’educazione e gli affitti gratuiti, che però si stanno deteriorando, ma mancano 700.000 case. I funzionari governativi che sopravvivono con 17 dollari spesso asportano beni dai loro posti di lavoro che vanno ad alimentare il mercato nero. Il mercato fatto uscire dalla porta rientra come mercato nero dalla finestra. Secondo un esperto americano il messaggio di Raul sarebbe: ” Sveglia, noi dobbiamo essere onesti e provare a risolvere questi seri e sistematici problemi e questi si risolvono con il modello cinese” (Contreras 2007). 

Il sistema di responsabilità famigliare attualmente in uso a Cuba è stato applicato basandosi sull'esperienza cinese. Nel 2005 Hu Jintao e 200 businessman cinesi hanno preso parte al Forum Sino-cubano dell’Avana sugli investimenti e il commercio. Hanno firmato 16 accordi su investimenti, commercio e crediti, joint-venture. Cuba dovrebbe fornire 4.000 tonnellate di nickel nel 2009 alla Cina e questa investire 500 milioni di dollari per finire la costruzione di un impianto di nickel abbandonato dai sovietici. Già da cinque anni prima Cuba ha fornito alla Cina il 50% del nickel di cui ha bisogno. La Cina costruirà frigoriferi, lavatrici e condizionatori a Cuba per il mercato cubano. La Cina manderà un milione di televisori a Cuba; ha donato inoltre attrezzature per gli ospedali e uniformi per le scuole. Inoltre insegnati cinesi forniranno lezioni nelle università cubane. La Cina ha garantito 10 anni di prestiti ad interessi zero. Gli accordi prevedono joint-venture nelle biotecnologie, telecomunicazioni, industria leggera e turismo. La Cina sta diventando il maggior partner commerciale dopo Venezuela e Spagna. Fidel Castro ha dichiarato: le relazioni tra Cina e Cuba oggi sono un esempio di trasparenza e cooperazione pacifica tra due nazioni sostenute dagli ideali del socialismo (Whitney 2005). 

Castro si è espresso in una lettera a Chavez sul socialismo di mercato. Castro, dice Chavez “mi parla di Mao Tse Tung e del progetto originario di Mao e termina dicendo come la Cina, con la sua strategia del socialismo di mercato, si stia convertendo oggi in una superpotenza e sarà la grande superpotenza del secolo XXI” (Castro 2007). 

Hugo Chávez si è mostrato d’accordo con “l’economia di mercato che attualmente si applica in Cina”. Dopo avere sottolineato che la degenerazione del progetto sovietico ha portato al declino del socialismo come ideologia auspicabile e applicabile e per questo che “cresce di più il valore della Cina e del suo popolo, il quale ha saputo mantenersi in quella stessa consegna che oggi cresce con forza: 'socialismo o morte'”. Ha elogiato l’astuzia politica della Cina per adattarsi ai cambiamenti mondiali, perché facendo questo ha propiziato una riformulazione ideologica molto conveniente in questi tempi, quando i vizi del capitalismo sono ogni giorno più visibili. 

La rivoluzione cinese - ha assicurato Chávez - ha saputo adattarsi ai cambiamenti mondiali perché è libera dal dogmatismo. I suoi pensatori hanno apportato la tesi del socialismo di mercato per adattarsi al nuovo sistema mondiale e la rivoluzione bolivariana prosegue sullo stesso cammino, anche se non lo chiamiamo nello stesso modo. La proposta cinese mescola il buono dei due modelli, capitalismo e socialismo, e si propone come alternativa che frena gli elementi nocivi estremi entro i quali ha oscillato la politica di alcuni paesi (Gonzales Gutierrez 2003) (González 2004). 

Chávez al Forum di Porto Alegre ha definito la Cina come “faro dell’antimperialismo mondiale” (Rozza 2005). Il ministro per la pianificazione e lo sviluppo, Jorge Giordani ha sostenuto che”l’impresa privata può vivere perfettamente dentro ad un sistema socialista, sempre e quando le sue finalità non entrino in conflitto con il benessere della società dove sta l’impresa “ (García 2007). 

Lo stesso Giordani ha messo in guardia dal fare diventare il petrolio uno strumento di una politica populista fondata sull’assistenzialismo invece che sullo sviluppo. Si deve combattere una cultura individualista e assistenzialista basta sul “Mamma stato, papa stato, datemi i soldi del petrolio”. Organizzare il popolo è difficile” aggiunge Giordani (Parenti 2005). 

Creare una cultura contro-egemonica sarà una lunga battaglia di trasformazione che deve essere basata su un progetto economico alternativo. La strategia della rivoluzione bolivariana è sostenere il movimento cooperativo di costruire una solida economia e sviluppare una contro-ideologia e cultura. Da questa posizione si può consolidare il movimento popolare che contesta ed eventualmente rimpiazza il modello neoliberale capitalista con un sistema decentralizzato basato sull’economia sociale di mercato. “Quelli che credono che il governo di Chávez cadrà quando il prezzo del petrolio cala, sbagliano a percepire la ricca rete di organizzazioni che affondano le radici nella società civile” (Harris 2007). In Venezuela nel 2005 erano presenti qualcosa come 70.000 cooperative, ovvero la tipica espressione del socialismo di mercato. Persino 195.095 diplomati, circa il 70% del totale, risultano membri di 7.592 nuove cooperative (Harnecker 2005). 

Il presidente nordcoreano Kim Jong-il fresco di nomina intraprese un viaggio in Russia e Cina. Durante la sua visita in Cina egli si è interessato attentamente a Shanghai e Shenzhen da dove era partita la riforma e l'apertura in Cina (Model 2009). Nella Corea del Nord la Hyundai ha costruito un complesso turistico sul monte Kumgang popolarmente conosciuto come Hyundailand. Come la Cina che si è basata sul capitale dei cinesi all'estero, essa punta sul “capitale amico” del Sud. 

E’ significativo che un partito come il CPI(M) che governa regioni indiane con più di 100 milioni di abitanti nella risoluzione ideologica del suo 14° Congresso appoggi il socialismo di mercato: 
Sarebbe sbagliato concludere che sotto il socialismo il mercato cesserà di esistere. Fino a quando si producono merci, il mercato esiste. La questione cruciale non è la pianificazione rispetto al mercato, ma di chi è il ruolo dominante. Sotto il socialismo di mercato è uno dei mezzi per la distribuzione del prodotto sociale. La pianificazione centralizzata, utilizzando le forze di mercato e gli indicatori mercato, sarà in grado di sviluppare in modo efficiente le forze produttive e soddisfare le esigenze del benessere del popolo. Pertanto, ignorando gli indicatori di mercato porta ad uso maggiormente irrazionale delle risorse che alterano la stessa pianificazione (Yechury 1999). 

Inoltre si invita la Cina a investire nelle regioni governate dal Partito ossia West Bengala, Kerala e Tripura. 

In Africa è stato Joseph Kabila che ha affermato: “Il nostro modello di sviluppo è quello cinese: con il potenziale di risorse naturali di cui disponiamo in Congo possiamo aspirare a diventare, per l’Africa, la Cina di domani” (Ricaldone 2009). 

Come la Cina sia divenuta lo stato con il più veloce sviluppo tra le maggiori economie è un fatto di interesse pratico, non è solamente una curiosità accademica. 

Ad esempio per le Zone Economiche Speciali hanno seguito l'esempio cinese l’India, l’Iran, la Polonia, la Giordania, il Kazakistan, le Filippine, la Russia, l’Ucraina e il Perù. La banca Mondiale stima nel 2007 più di 3.000 progetti in 120 paesi (Tucker 2007). 

Aggiungiamo al dibattito che è stato avviato da vari governi che hanno iniziato esperimenti con il mercato. Le riforme economiche in Cina hanno portato a una rapida crescita, ma lo Stato ha guidato il processo, con i leader cinesi che proclamano la loro nuova strategia per il socialismo di mercato. In Venezuela il governo di Hugo Chávez ha utilizzato le cooperative in un’economia mista per promuovere la giustizia sociale. E in Brasile la democratizzazione del bilancio della città da parte del governo municipale di Porto Alegre ha suscitato l’interesse all'interagire dello Stato con i movimenti sociali (Harris 2007). 

Anche il PCI si era incamminato sulla stessa strada e le cooperative che agivano sul mercato facevano parte della sua strategia assieme alle riforme di struttura attraverso un’ampia alleanza di classe le cui basi furono poste da Togliatti in “Emilia e ceti medi”: 

(Il PCI) ha sviluppato un numero di differenti stadi nel suo approccio al movimento cooperativo. Ma soprattutto il PCI ha visto le cooperative come parte di un blocco sociale di massa che ponga le fondamenta del progetto socialista. In effetti, è parte della guerra di posizione di Gramsci, per ottenere uno spazio autonomo nella lotta contro egemonica. La strategia legava le cooperative ad una “via italiana al socialismo” che ponesse in discussione una serie di avanzate economiche e politiche che avrebbero eventualmente cambiato le relazioni di potere. Per il PCI il movimento cooperativo era parte di un’ampia strategia per la trasformazione, una via per portare la democrazia nel campo economico (Harris 2007). 

Hancook sostiene che oggi una visione del cambiamento sociale è assente nel movimento cooperativo italiano. Ciò dipende da vari fattori e principalmente dal fatto che il PCI è sparito e con lui il suo progetto. Le cooperative oggi sono piuttosto viste come patrimonio della comunità locale. Il partito che ne ha preso l’eredità si è interessato piuttosto alla legittima difesa delle minoranze piuttosto che delle maggioranze senza alcuna visione del blocco sociale che avrebbe portato al cambiamento in Italia. 

Il PRC si è completamente disinteressato delle cooperative a favore delle varie mode del momento. I suoi dirigenti sono stati stregati dal Sub-comandante Marcos e dagli “slogan morali” come “cambiare il mondo senza prendere il potere”. A parte che proprio il lavoro nelle cooperative poteva essere all’interno di questa logica dato che queste non sono necessariamente al governo, ma questo con l'opzione di non prendersi nessuna responsabilità, dato che non vi è nessun disegno di lungo respiro. Per giunta il Sub-comandante si è dato alla latitanza dopo aver favorito la vittoria per un pugno di voti del candidato conservatore Felipe Calderon, con la sua “altra campagna” mentre milioni di lavoratori e di povera gente scendeva in piazza a contestare le elezioni vinte in modo fraudolento dalla destra (Harris 2007). 

L’esperienza cooperativa interessa invece ai “socialmercatisti” americani: 
Oggi ci sono 7.000 cooperative in ogni settore dell’economia che provvedono come maggiore risorsa di impiego crescita e innovazione. La più sviluppata area è nel distretto di Imola, come descritto da Matt Hancock “Più del 50% della popolazione totale sono membri di una cooperativa, e più di metà del prodotto industriale totale del distretto viene da 15 cooperative industriali, tre delle quali sono leader del mercato globale dove dirigono una rete di sussidiarie private, con uffici di vendita e produzione almeno in quattro continenti…producendo più di due miliardi di euro di ricavi annuali”. In effetti, il numero di cooperative nella regione che sono diventate transnazionali, come a Mandragon in Spagna. Le cooperative sono normalmente concepite come aziende locali o regionali per servire solo il mercato interno. Ma se esse possono sviluppare un modello aziendale democratico che è competitivo su scala globale il mercato transnazionale può diventare un territorio politicamente conteso (Harris 2007). 
Mi sono soffermato sulla cooperazione perché costituisce un modello socialmercatista abbordabile e quindi costruibile già nell'immediato.
Infine in due paesi molto diversi il l'economia sociale di mercato, secondo l'espressione di Oskar Lafontaine ha preso piede come orientamento politico generale. Parliamo della Germania con la Linke e della Bielorussia di Lukashenko dove i comunisti partecipano al governo.


Bibliografia


Gonzales Gutierrez, Alfredo 2003. Socialismo y mercado en la etapa actual, 31 Marzo 2003 
Graziosi, Marcello 2007. Le vie inesplorate del “socialismo con caratteristiche cinesi” , La Cina e il 17° Congresso del Partito Comunista* www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 14-12-07 - n. 207
Harris, Jerry 2007. The Democratic Dialectic: The State, Markets and Civil Society, 28 Marzo 2007. SolidarityEconomy.net 
Ollman, Bertell 1998. Market Socialism. The Debate Among SocialistsRoutledge.
Parenti, Christian 2005. Hugo Ch a1vez and Petro Populism. The Nation. 11 Aprile 2005 http://archive.truthout.org/article/christian-parenti-hugo-chavez-and-petro-populism
Ricaldone, Sergio 2009. Cina, Russia, America Latina. Contropiano.
http://www.contropiano.org/Documenti/2009/Marzo09/23-03-09CinaRussiaAmericaLatina.htm
Steinbock, Dan 2008. The next stage in China's growth, China Daily, 15 Agosto 2008.
Tucker, Noah. 2007. How China rises. 4 Novembre 2007. http://21stcenturysocialism.com/article/how_china_rises_01546.html
Yechury, Sitaram. 1999. “The Road to Socialism in China.” The Marxist 15 (04).

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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.