4. Socialismo tra realtà e mito
La formazione della teoria del Socialismo alla cinese ha usato proprio il marxismo come linea di guida, facendo un bilancio dell’esperienza e delle lezioni dell’Unione Sovietica e dei paesi dell’Est europeo, e anche della stessa esperienza di costruzione del Socialismo in Cina nel periodo ‘49-’78, prendendole come base per la formazione di questa teoria.
Huang Hua Guang, responsabile per l’Europa Occidentale del Dipartimento Esteri del Partito Comunista Cinese (Huang 2010).
I tre maggiori successi nell'economia del Novecento si devono a paesi socialisti. L'URSS degli anni trenta ma anche della guerra e della ricostruzione post bellica, la Jugoslavia degli anni cinquanta e primi anni sessanta, la Cina dalla fine degli anni settanta sino ad ora. Eppure è convinzione generale che il comunismo abbia lasciato solo un cumulo di macerie.
Coloro che per primi si interessarono alla economia politica del socialismo Marx, Engels, Kautsky scelsero la pianificazione vedendo l'evoluzione del capitalismo, in particolare in Germania, che andava sempre di più verso il capitalismo monopolistico di stato. La tendenza in atto nell'Ottocento era l'accentramento del capitale in un relativamente piccolo numero di imprese che per il loro alto grado di monopolio potevano prescindere dal mercato. Di conseguenza bastava impossessarsi di questo sistema una volta giunto a maturazione e poi una volta preso il potere la ripartizione dei compiti e dei beni sarebbe stata relativamente semplice. La natura tendenzialmente anarchica, le perdite economiche e la disoccupazione durante le grandi crisi, caratteristiche tipiche del capitalismo, portarono i fondatori del socialismo ad essere diffidenti nei confronti del mercato. Essi vedevano le crisi economiche come crisi di sovrapproduzione e quindi stabilivano un rapporto tra salari troppo bassi, prezzi tropo alti e i profitti che sono associati allo sfruttamento. Il mercato veniva associato a fenomeni negativi come l’accumulazione di ricchezza e dunque contrari al socialismo. La regolamentazione altamente centralizzata dei salari e dei prezzi stabiliti amministrativamente veniva identificata con il socialismo e il mercato come la sua antitesi. Il progetto insomma aveva un suo senso. Ma il capitalismo è stato capace di evolversi. Non altrettanto il socialismo. L'economia capitalista si è evoluta verso la complessità e la divisione del lavoro è diventata più dispersiva attraverso il lavoro individuale, le piccole aziende artigiane, le gradi aziende che creano l'indotto di piccole e medie aziende nei distretti industriali e via dicendo.
Stalin ancora nel 1925 proponeva di dare la terra in affitto ai contadini per 10-20 anni, la classica riforma di stile dengista. Cosa lo porta a proporre solo pochi anni più tardi un passaggio brusco alla pianificazione integrale? La risposta sta nelle minacce concrete contro l'URSS da parte dei paesi imperialisti per cui si deve procedere a tappe forzate verso la modernizzazione del paese per renderlo competitivo con le potenze capitaliste. La sfida fu vinta con la Grande Guerra Patriottica. Il modello si forma in un periodo di acuta crisi del capitalismo che sembra confermare la superiorità dell'economia pianificata. L'URSS degli anni trenta è diventata il paradigma del modello economico del socialismo. Il modello si fonda sulla concentrazione dello sviluppo industriale nei centri urbani ed è basato sullo sviluppo estensivo, sulla prevalenza dell'industria pesante su quella leggera e dei servizi, con utilizzo dei surplus provenienti dall'agricoltura, scarsa produttività e qualità dei prodotti, ideologizzazione del lavoro e mobilitazione permanente (Díaz 2007). La pianificazione si basa su bilanci materiali e assegnazione altamente centralizzata di compiti e risorse con relazioni monetario-mercantili con un carattere meramente passivo. I pianificatori monitorano le risorse esistenti, individuano le esigenze e controllano i risultati di produzione. Questo sistema ha permesso una grande crescita con l’introduzione massiccia di nuove risorse nella produzione e ha permesso avanzamenti fondamentali nell’industrializzazione e nell'incorporamento di nuovi territori.
La concentrazione e centralizzazione delle risorse ha portato ad una accumulazione che è stata molto superiore a quella dei sistemi capitalisti in equivalenti stadi di sviluppo. Così, nel primo decennio di applicazione, ha permesso una forte crescita economica attraverso forti tassi di investimento che condensano in un tempo relativamente ristretto uno sviluppo che nei sistemi capitalisti è stato fatto in un arco temporale molto più dilatato. Il livello di partenza è basso e ci sono poche priorità semplici come lo sviluppo dell'industria pesante in virtù del raggiungimento dell'indipendenza economica e della produzione di armamenti per la difesa dalle minacce di guerra. La concentrazione del capitale in pochi settori strategici ha sempre funzionato sia nel sistema pianificato che nel socialismo di mercato, si pensi allo stesso “socialismo di guerra” adottato dalla Germania nel corso della prima guerra mondiale che in un certo senso ispirò il comunismo di guerra sovietico. In URSS siamo in presenza poi di condizioni favorevoli per l'industrializzazione accelerata con una manodopera abbondante e giovane per di più liberata in poco tempo dalle occupazioni agricole a seguito della collettivizzazione delle terre e della meccanizzazione dell'agricoltura, c'è abbondanza di risorse naturali ancora non sfruttate ecc. Inoltre le differenze tecnologiche negli anni '20-'30 tra i centri più sviluppati del capitalismo come gli Stati Uniti e quelli periferici come l'URSS non sono ancora enormi. Dalla fabbrica di trattori della Ford a Stalingrado escono trattori non troppo differenti da quelli prodotti in USA. (Díaz 2004).
Ma il modello si sarebbe esaurito probabilmente già alla fine degli anni trenta e la sua vitalità venne prolungata solo dalla guerra e dalla ricostruzione del dopoguerra. La guerra porta alla distruzione di 1.700 città e più di 70.000 villaggi. Vengono danneggiati 32.000 impianti, 65.000 km di ferrovia e 1.135 miniere. Si tratta di ricostruire quasi ex-novo buona parte della nazione. Nel 1950 l’industria sovietica supera i livelli raggiunti prima della guerra: in quell’anno il valore della produzione industriale e agricola aumentò del 73% comparato ai livelli pre-bellici. Già nel 1938 si è dovuto riformare le distorsioni dei prezzi in quanto il settore della produzione di mezzi di produzione e delle materie prime era inefficiente, accumulava perdite perché il modello economico si basava sulla fornitura di materie prime a buon mercato e macchinari per incoraggiarne il consumo, il che ha portato alla scarsa redditività dei rami primari dell'economia (Díaz 2004). Lo schema ha comunque funzionato dimostrando che il modello centralizzato sebbene rendesse possibili grandi realizzazioni tendeva contemporaneamente ad una riproduzione estensiva dell’economia, ma superata questa fase i fattori economici che lo hanno favorito tendevano ad agire in senso contrario.
Una volta perso il vantaggio dato dallo sviluppo estensivo in cui si può avere sviluppo semplicemente portando lavoratori dall'agricoltura alla più efficiente industria senza tener conto di aumentare la produttività, il modello ha cominciato a declinare. La pianificazione viene effettuata in termini generali per l'impossibilità di controllare in dettaglio un sistema che inizia ad essere diversificato e complesso. La pianificazione implica una sorta si impresa-centro e l'impossibilità di un rapporto economico tra le imprese. Gli obiettivi del piano sono soggetti a fattori extra-economici per favorire la stabilità politica e dipendenti dalla situazione internazionale. I prezzi sono designati dal pianificatore centrale, con motivazioni socio-politiche, non economiche. Spesso si arriva a sovvenzioni alla produzione e ai prezzi. Con i prezzi che in ogni caso coprivano i costi maggiorati di un margine di guadagno e vendite garantite viene a mancare la spinta verso l’innovazione e verso la riduzione dei costi. Con la fine dello sviluppo estensivo, con la scarsità di nuove forze da immettere nella produzione siano esse nuove terre in agricoltura, oppure nuovi lavoratori da portare dall’agricoltura all’industria, rallenta fortemente lo sviluppo. L’aumento dei costi dei fattori produttivi ha comportato una diminuzione dei tassi di crescita e anche un calo dell’innovazione tecnologica. I macchinari in Unione Sovietica si rinnovano solo ogni quaranta anni e mentre negli Stati Uniti tra gli otto e i dodici (Díaz 2004).
Umpiérrez Sánchez fa un esempio illuminante sul funzionamento delle economie socialiste in assenza di mercato. Una società fabbrica un determinato trattore e le cooperative degli agricoltori vengono costrette a comprarlo. Dopo poco tempo si rompono. Tuttavia, durante più di due anni si è continuato a produrre questi trattori inutilizzabili e le cooperative degli agricoltori hanno continuato a comprarli. Se il rapporto di vendita fosse stato determinato dal mercato e non dal piano, le cooperative di agricoltori avrebbero smesso di comprare questi trattori dopo la prima volta che avessero accertato che si rompevano. E questo avrebbe costretto i produttori di adottare misure per la produzione di trattori che non si rompono. Ancora più illuminante l'esempio fatto dal segretario del Partito Comunista Giapponese:
Dopo la fine della guerra di aggressione Usa contro il Vietnam e la restaurazione della pace, noi inviammo una delegazione per studiare l’economia vietnamita e dare consigli riguardo la ricostruzione. La delegazione ha visitato i distretti agricoli dove, come sapete, si coltiva il riso nelle risaie. Per aiutare la meccanizzazione dell’agricoltura vietnamita, l’Unione Sovietica inviò macchine per il trapianto del riso. Essendo un prodotto dell’economia pianificata sul modello sovietico, questi macchinari erano talmente pesanti che affondavano nel fango delle risaie. I vietnamiti si sono sentiti obbligati ad utilizzare il dono ed attaccarono due barche su entrambi i lati della macchina per evitare che affondasse. La giovane pianta di riso veniva piantata ugualmente, ma essa, appena piantata, rimaneva pressata dalle due barche. Alla fine i vietnamiti decisero di porre fine all’utilizzo di queste macchine (Fuwa 2001).
Nei sistemi socialisti europei nel lungo periodo si riduce il tasso di crescita del reddito, aumentano i costi in presenza di una produttività bassa e addirittura decrescente. Il calo del tasso di profitto ha impedito nuovi investimenti nei settori del consumo. Il modello ha dimostrato ampiamente i suoi limiti nell'aumentare la produttività anche per l'assenza di stimoli, di un’efficiente allocazione delle risorse in mancanza d’informazioni adeguate e di una scarsa capacità di innovazione (Umpierrez Sanchez 2007),
Il modello ha potuto reggersi ancora negli anni '60-'70 per via della forte accelerazione delle lotte antimperialiste nel terzo mondo e delle lotte nella stessa metropoli imperialista che suscitano una forte critica del modello capitalista. Ma ormai non si riesce più a nascondere il declino del modello sovietico soprattutto agli occhi disincantati della stessa classe operaia occidentale. Come avrebbe detto Berlinguer si era esaurita la spinta propulsiva del modello sovietico almeno per i comunisti occidentali. L'URSS dal 1975 al 1985 entra in una fase di stagnazione e addirittura dal 1984 di inarrestabile declino. La situazione critica dell'Unione Sovietica si è verifica nel decennio (1975 - 85) in cui in Occidente è in pieno sviluppo la rivoluzione tecnologica basata sulle nuove tecnologie informatiche mentre in URSS la ricerca, sia per quanto riguarda le risorse sia per il personale umano, è concentrata nell'apparato militare-industriale ma non ai fini dell’applicazione alla produzione di beni di consumo. Tra l'altro non essendoci un vero mercato di consumo diventa complicato sfruttare le ricerche per scopi civili. Si investe in cannoni ma non nel burro, la conseguenza è la cronica scarsità di merci. Le carenze dei paesi socialisti diventano decisive nella misura in cui la competitività del capitalismo si muove verso la creazione e l’applicazione delle conoscenze accelerando i cicli della innovazione tecnologica come ad esempio la rivoluzione nell’informatica e nelle telecomunicazioni. Oggi nella società della conoscenza la scienza diventa una forza produttiva diretta, contribuisce a superare le difficoltà nella crescita estensiva della produzione e della scarsità delle risorse naturali a livello globale e sostituisce in modo sempre più ampio la funzione umana nella gestione operativa della produzione. Per raggiungere tale elevata complessità la produzione richiede una crescente divisione sociale del lavoro e una precisa organizzazione della società. Marx ha scoperto che inadeguati rapporti di produzione possono rallentare lo sviluppo delle forze produttive. Questo è vero non solo nel capitalismo ma anche nel socialismo. Al momento della crisi generalizzata dei sistemi socialisti europei la sfida principale del socialismo è di trovare un sistema di rapporti di produzione che risponda alle esigenze economiche della produzione a seconda del grado di sviluppo del paese e dei processi internazionali a cui deve necessariamente legarsi, e che, a sua volta, tale sistema permetta di avanzare verso una società più solidale. (Gonzales 2003).
Il capitalismo sebbene attraversato da numerose crisi ha trovato un modus vivendi operativamente efficace per stare nel mondo globalizzato. Il socialismo invece è un sistema con dei valori etici di giustizia sociale ma si può dire che non abbia ancora trovato un sistema di rapporti di produzione di efficacia operativa paragonabile o superiore a quella del capitalismo. (Gonzales 2003). Come direbbe Vilfredo Pareto l'importante è che “la fede dei marxisti e quella degli etici trovino a conciliarsi con i risultati della scienza economica”. Per la verità l'esperienza storica del socialismo insegna parecchie cose anche da questo punto di vista.
Per la maggior parte della sua esistenza il sistema socialista ha formato un sotto-universo autonomo e in gran parte autosufficiente economicamente e politicamente. Tra le due guerre questo era stato almeno relativamente un vantaggio sebbene l'URSS avesse risentito del calo del prezzo del grano, a seguito della generale crisi economica, di cui era esportatrice e che le consentiva di importare macchinari per l'industria e l'agricoltura. Per un paese agli albori dello sviluppo industriale è decisamente indispensabile la protezione della propria economia dalla concorrenza straniera, si pensi alla Gran Bretagna che impose il libero commercio all'India distruggendo l'industria tessile locale. E' valida la tesi di List e Prebish secondo cui l'industria nascente dei paesi emergenti deve essere protetta al fine di raggiungere gli standard tecnologici dei paesi avanzati. Ma questo non significa che ci si debba isolare dalla divisione internazionale del lavoro che permette vantaggi concreti proprio alle nazioni in via di sviluppo o comunque arretrate attraverso il meccanismo del vantaggio comparato e del basso costo della manodopera.
Negli anni settanta soprattutto alcune delle economie socialiste hanno cercato di integrarsi in qualche modo nel mercato mondiale e proprio per questo sono state, in quanto anello debole, le prime vittime della crisi del capitalismo che invece ha resistito perché più idoneo al cambiamento e alla mutazione,
I sistemi socialisti mancavano di leve o strumenti di autocorrezione, ossia non hanno prodotto sul proprio cammino meccanismi sufficienti per affinare il modellodi base. Ci sono stati tentativi di razionalizzare il sistema economico, per migliorare il funzionamento del sistema senza alterare la sua natura e mettere in causa il principio della pianificazione centrale. L'economia sovietica ha provato ripetutamente negli anni Sessanta e Settanta, ad introdurre nuovi elementi attraverso il principio di decentramento della responsabilità finanziaria delle società. Ma il reale decentramento in un'economia complessa è un sistema di prezzi che riflette più o meno spontaneamente, le infinite operazioni tra i consumatori e i produttori che si producono nell'economia. Senza un sistema di prezzi determinati dal mercato, il decentramento della gestione alle imprese si limita al trasferimento della responsabilità alla periferia, ma non interviene sul criterio di assegnazione delle risorse. Dove manca il mercato spesso padroneggia il mercato nero. Infatti gradualmente è emerso un mercato parallelo all'interno dell'economia pianificata dell'URSS:
Essa (l’economia parallela) in un primo tempo è stata uno sviluppo dell'autoconsumo e dell'economia naturale dei villaggi kolchoziani, del doppio lavoro, degli approvvigionamenti clandestini di macchinari e risorse di proprietà statale. In seguito, grazie alla tolleranza della gestione popolare brezhneviana, questi fenomeni si sono andati consolidando in vere e proprie attività imprenditoriali, dedite alla produzione e al commercio, spesso di carattere speculativo o addirittura criminale. Inoltre, in questa seconda economia sono state coinvolte le stesse aziende statali, in virtù del compromesso brezhneviano stipulato dal centro con i poteri locali delle comunità di lavoro. E' in quest'ambito infatti che matura il secondo e più importante blocco di interessi favorevoli all'affermazione del capitalismo (Melchionda 2001).
L'altro tentativo posto in atto è il modello chiamato socialismo di mercato, iniziato in Jugoslavia dopo il 1965 e in altri paesi quali Ungheria e Polonia dopo il 1968. Il modello aveva avuto uno dei suoi teorici in un economista della primavera di Praga, Ota Sik, Questo modello chiede la piena autonomia delle imprese, pur mantenendo la proprietà statale dei mezzi di produzione e la guida della pianificazione dello Stato. E' stato un tentativo di conciliare mercato e socialismo e preso in considerazione in due alternative di pianificazione e gestione aziendale, una autogestita (testata soltanto in Jugoslavia) e l'altra di gestione aziendale autonoma.
Marx sostiene che la fase iniziale dello sviluppo capitalistico in Europa occidentale è avvenuta attraverso l'accumulazione primitiva del capitale, la borghesia lo ha ricavato principalmente non tanto dal nascente lavoro salariato, ma piuttosto dai contadini e dalla depredazione semischiavistica delle colonie. Questa ricchezza si è trasformata in capitale e utilizzata per il finanziamento iniziale di industrializzazione europea. Un esempio di sfruttamento interno potrebbe essere la Land Tax del 1873 nel corso del periodo Meiji. In quel periodo si è mantenuto un livello eccezionalmente alto di sfruttamento dei contadini e incanalato il surplus economico nella costruzione rapida del complesso industriale-militare giapponese (Market 2006). Il socialismo è andato al potere in paesi piuttosto arretrati a prevalente economia agricola. Ciò che questi paesi avevano davanti erano tre soluzioni. La prima quella di sfruttare i contadini come la stessa borghesia occidentale o giapponese avevano fatto o anche sfruttarli come se fossero un popolo coloniale come sosteneva Preobrazhensky. La seconda opzione era quella di importare capitali attraverso prestiti di stati, banche o istituzioni straniere. La terza infine creare le condizioni favorevoli agli investimenti diretti di capitale straniero. La prima opzione sebben riveduta e corretta è quella scelta in un primo tempo da Stalin e da Mao ed ebbe la sua applicazione più radicale nel comunismo di guerra. La seconda fu scelta dai paesi dell'est Europa avviati verso il socialismo di mercato. La terza fu quelle di Lenin della NEP e di Deng Xiaoping. Della prima opzione abbiamo già estesamente parlato. Nella seconda opzione l'importazione di macchinari e tecnologia non avviene come in Cina a spese delle aziende che investivano in loco ma a spese dello stato, oppure come nel caso della Jugoslavia a spese delle aziende autogestite ma che sono garantite dallo stato, facendo esplodere il debito estero. Inoltre assieme alla tecnologia non si importa il know-how delle imprese occidentali. I paesi socialisti non possono competere con le imprese capitaliste che dispongono di un mercato mondiale mentre questi hanno problemi persino a commerciare tra di loro. Le imprese estere che investono in Cina i mercati ce li hanno già favorendo l'accumulo di debito estero a favore della Cina anziché il contrario. Se imprese statali non sono di fatto soggette alla concorrenza straniera non hanno stimoli ad aumentare l'efficienza del lavoro. I dirigenti delle aziende pensano al loro tornaconto e ad allearsi con il capitale internazionale cosa che in parte viene tentata anche in Cina durante i moti di Tienanmen, quando i manager delle imprese statali (assieme ai capitalisti cinesi di Hong Kong) finanziano gli studenti che la sinistra radicale scambiava per novelli Che Guevara. Tra l'altro l'inflazione galoppante innescata dal debito contribuisce ad accrescere la protesta sociale in Polonia come in Jugoslavia alla fine degli anni '80; essa è stata la causa scatenante dei fatti di Tienanmen, perché è socialmente iniqua e colpisce i ceti più deboli. La Cina ha potuto resistere proprio in virtù della maggiore solidità economica. Nell'est Europa la mancata ristrutturazione delle aziende decotte, il mancato sviluppo di aziende labour intensive non statali di base che dessero occupazione a chi la perdeva nelle aziende statali, ha impedito che lo stato si concentrasse sui punti strategici e ha compromesso l'aumento dell'efficienza e della redditività delle aziende statali. I dirigenti delle aziende cinesi invece sono stati premiati o penalizzati in base ai risultati che ottenevano. Le riforme hanno uno scopo politico, rafforzare la legittimità del socialismo attraverso un maggior benessere stimolando i consumi con una maggiore tolleranza per le attività private. La crisi economica degli anni settanta ha contribuito a peggiorare i problemi cronici dei paesi socialisti, che invece di adeguare le loro economie hanno scelto di prendere in prestito capitali dall'estero portando gli stati al default.
Il socialismo di mercato è fallito nell'est Europa. I cinesi hanno studiato a fondo questi modelli. E ne hanno tratto proficue lezioni. I cinesi hanno elaborato un’ipotesi di lavoro e hanno avuto successi incredibili. Su questa base hanno elaborato una teoria che va bene per loro, non la vogliono esportare, ma in molti sono andati a studiarla e se ne sono appropriati. Per marcare la differenza tra i due tipi di socialismo di mercato basta dire che i cinesi hanno perso più tempo a rallentare e razionalizzare lo sviluppo stesso ovvero raffreddare l'economia che non ad ottenere le cifre iperboliche dello sviluppo che conosciamo. Tutto il contrario delle asfittiche economie dei paesi socialisti dell'Est Europa. Se non fosse stato così il socialismo in Cina sarebbe miseramente caduto.
L'URSS degli anni trenta si sviluppava in un periodo di generale crisi economica e sociale in Occidente e ha potuto diventare un modello per coloro che proponevano di superare il capitalismo in Occidente. Un aspetto che deve essere preso in considerazione è quello relativo al rapporto instaurato tra i progetti di vita individuale e sociale. Fino agli anni cinquanta le trasformazioni economiche e sociali del socialismo hanno portato a una straordinaria mobilità sociale. Milioni di persone hanno beneficiano o della consegna dei terreni, dell'accesso all'istruzione, al lavoro, dell'alloggio, la maggior parte delle classi benestanti sono emigrate all'estero e i loro posti sono stati occupati da persone provenienti dal popolo; le donne hanno elevato la loro condizione nella società, una parte della popolazione è passata dalla miseria delle campagne ad una vita sufficientemente buona nelle città, l'economia è cresciuta in modo accelerato e la gente ha avuti dei benefici. Per la stragrande maggioranza della popolazione è chiaro che i miglioramenti personali non erano stati raggiunti al di fuori del quadro del nuovo progetto sociale (Gonzales 2003).
Ancora alla metà degli anni cinquanta le previsioni di buona parte degli osservatori sono favorevoli ad una rosea prospettiva per l'economia sovietica. Il futuro premio Nobel per l'economia Paul Samuleson dimostrava fiducia nella crescita sovietica. Un economista trotskista come Ernest Mandel nel 1956 sosteneva che l'Unione Sovietica aveva dimostrato un ritmo di crescita costante e che leggi di crescita dell'economia capitalista che provocano rallentamenti dello sviluppo sono state eliminate. Isaac Deuetscher sosteneva che nel giro di 10 anni l'URSS avrebbe sorpassato l'Europa Occidentale (Cliff 1991). In realtà mentre nel primo piano quinquennale il tasso di crescita era del 19,2% nel 1954-1959 diviene il 5,8%; nel 1980-1982 si abbassa all'1,5% mentre nei successivi anni il tasso di crescita è negativo.
I sistemi socialisti dopo gli anni '60 non reggono più il passo con la crescita dei paesi occidentali. Devono sempre di più fare i conti con la grande economia di consumo in Occidente mentre nell'est regna al scarsità diventando un modello negativo per coloro che combattevano per il superamento del capitalismo. Occorre dire che il capitalismo del welfare degli anni sessanta non è più quello conosciuto nell'Ottocento contro cui avevano combattuto Marx e Lenin. Anche in virtù del ruolo di stimolo della Rivoluzione d'Ottobre si sono diffusi il suffragio universale e i diritti civili. I sindacati e i partiti socialisti e comunisti nell'Occidente avevano ottenuto notevoli successi per cui le condizioni della classe operaia non erano più quelle descritte da Engels nell'Ottocento. Si diffonde il benessere tra la popolazione. Nelle economie rigidamente pianificate siamo in presenza di un tenore di vita manifestamente inferiore a quello permesso dal grado di sviluppo dell'economia.
Un socialismo senza prestazioni economiche compatibili con le aspirazioni della popolazione è a rischio di fare pendere la bilancia verso l'individuazione di strategie personali per arrivare al benessere. Il liberalismo è una dottrina che ha un approccio inclusivo e anche progressivo, in cui tutti possono diventare milionari o possono acquistare di prodotti che sono esposti nelle vetrine. Anche se statisticamente c'è la certezza che le opportunità di diventare ricchi non sono elevate per la stragrande maggioranza delle persone tutti conoscono qualcuno che ce l'ha fatta. Se una persona non arriva a soddisfare i propri obiettivi nella vita, la tendenza è quella di considerare che ciò sia dovuto alla mancanza di capacità personali piuttosto che per colpa del sistema (Gonzales 2003). Mentre nel socialismo si tenderà a dar la colpa al sistema dato che non c'è altra alternativa. Inoltre, le disuguaglianze, i privilegi e gli anche aspetti negativi nei sistema liberali non sono giustificati in sé, ma da principi che possono essere largamente accettati come la difesa della libertà individuale, la tutela della proprietà ecc.
Alla lunga la sconfitta dei comunisti in Occidente come in Oriente è dovuta “all''incapacità/impossibilità di creare o perfino immaginare un sistema economico-sociale migliore del capitalismo, migliore per capacità di produrre ricchezza e di soddisfare bisogni. Quindi migliore anche per le classi lavoratrici di cui la sinistra è bene o male espressione. Il che vale ed è valso per gli operai occidentali come per quelli sovietici. Del resto, in assenza di questa semplice constatazione non riusciremmo mai a spiegarci quello che appare -- o tale apparirebbe se qualcuno se ne fosse interessato -- come un grande mistero degli eventi sovietici dell'89: il silenzio degli operai o addirittura il loro consenso passivo verso la restaurazione capitalistica (Melchionda 2001).
Nei paesi capitalistici avanzati anche le classi popolari hanno qualcosa da perdere dalla crisi del sistema: la casa, la pensione, il lavoro e via dicendo. Paradossalmente avevano molte più cose da perdere dei loro fratelli dell'est Europa, sebbene alla fine anche questi hanno perso il poco che avevano.
Negli Stati Uniti il consumo complessivo individuale costituiv il 68,6 per cento dell'economia nel 1991. Nella ex Unione Sovietica solo il 55 per cento dell'economia erastata dedicata al consumo. In Cina, nel 1978, prima della riforma economica, il consumo privato contribuiva solo il 53% dell'economia (il consumo nella Cina attuale andrebbe analizzato a parte). La sottovalutazione dei settori economici orientati al consumo ha fatto sì che nell'intera economia si compromettesse la produttività del lavoro e la redditività dei capitali investiti. Queste economie non si sviluppavano nei settori di più rapida espansione dell'economia mondiale, che non sono quelle della siderurgia o degli armamenti, ma quella dei beni di consumo. Ciò ha anche compromesso il settore del commercio dato che gli investimenti nell'industria pesante richiedono capitali più elevati per unità di prodotto di quella leggera e dunque rendono più difficile creare industrie in grado di competere nell'economia mondiale (Lessons 1996).
Uno studio condotto negli anni '90 ha dimostrato che le aspirazioni dei consumatori, sia in Europa orientale, nel periodo socialista che nella Cina pre-riforma, erano frustrate e ciò indipendentemente dal loro livello di reddito. La fornitura di molti beni era irregolare, le carenze di beni erano comuni, e i consumatori, spesso dovevano mettersi coda per acquistare i beni disponibili. Così non c'era solo un basso livello di allocazione delle risorse reali a favore dei beni di consumo, c'era anche una sostanziale domanda insoddisfatta tenuto conto dei livelli di reddito. In queste economie si possono anche aumentare i salari ma siccome c'era ben poco da comprare ciò finisce con il disincentivare la produttività dei lavoratori che non sanno che farsene dei soldi che guadagnano. Anche l'economizzazione del tempo di lavoro non incide dato che in ultima analisi non va ad influire sulla diminuzione del prezzo delle merci e non porta dunque a maggiori consumi.
Il passaggio alla priorità della produzione di beni di consumo è impossibile da realizzare senza mercato. La struttura della domanda dei consumatori è ben diversa di quella dell'industria pesante, in quanto richiede una rete di molti milioni di unità di produzione molto più piccole. Per questo che i tentativi di risolvere i problemi della produzione di beni di consumo fatti da Gorbaciov sono falliti. Semplicemente non è possibile creare amministrativamente una vasta rete di piccole aziende, negozi, laboratori e produttori di beni di consumo. Possono essere creati e collegati solo mediante un meccanismo di mercato. Lo sviluppo dell'industria pesante ha potuto essere effettuata da Stalin amministrativamente perché comportava la concentrazione delle risorse in un numero relativamente piccolo di unità di un ben delimitato settore industriale. Ma questo processo non può essere eseguito in senso inverso. Amministrativamente è impossibile creare milioni di piccoli produttori e servizi per i consumatori. (Lessons 1996).
Mancavano anche libertà fondamentali come quella di viaggiare o emigrare, di studiare all'estero, di usufruire degli elementi di consumo culturale del resto del mondo come film, musica ecc. La stagnazione economica unita alla seduzione del consumismo occidentale ha portato alla distruzione il socialismo in Europa.
Il socialismo sopravvive oggi nei paesi meno sviluppati; si inserisce in una predominante economia capitalistica internazionale, e può sopravvivere, per altro egregiamente, solo grazie ad un uso ampio delle relazioni commerciali, monetarie e dei meccanismi di mercato.
Bisognerebbe comunque dimostrare che un sistema alternativo migliore esiste, avere un progetto socialista credibile e nello stesso tempo più appetibile di quanto sia stato l'esperimento sovietico. Al momento siamo lungi dal disporre di un tale progetto, ed è questa la ragione di fondo dell'estrema debolezza in cui si ritrovano oggi le sinistre alternative e gli ideali comunisti. Non possono bastare a questi ultimi, infatti, le esortazioni etiche e i richiami alle nuove povertà. Se vogliamo conservare quel che di buono c'è nel marxismo, l'opzione anticapitalista dev'essere qualcosa di più di una scelta di principio: una possibilità reale, basata su una teoria scientifica. (Melchionda 2001).
Bibliografia
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Díaz Vázquez Julio A. 2007. La modernizzazione economica in Cina: un’altra eresia, 2007
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Fuwa, Tetsuzo. 2001. Lenin e l’economia di mercato
Nuovo quadro mondiale e prospettive del socialismo nel 21° secolo
Gonzales Gutierrez, Alfredo. 2003.Socialismo y mercado en la etapa actual, 31 Mar 2003,http://www.nodo50.org/cubasigloXXI/c...ez_10abr03.pdf
Huang Hua Guang. 2010.Intervista. L'Ernesto. 1/2010. 16/05/2010.
Lessons 1996. Lessons of the Chinese economic reform. maggio 1996
Market 2006. Chuna's Market Reforms": A Trotskyist Analysis Part Two, 1-09-2006
Melchionda, Enrico. 2001. Sull'Urss e sul socialismo: riapriamo il discorso, Cassandra (settembre 2001)
Sanchez Rodriguez, Jesus, 2007. Las experiencias historicas de transicion al socialismo, 2007,http://www.moviments.net/espaimarx/e...socialismo.pdf.
salve a tutti,leggo con interesse e piacere questo blog,però su certi punti,come per esempio questo articolo non mi trovo daccordo:in questo momento mi trovo in lituania per studio,i miei migliori amici sono in gran parte provenienti da ex repubbliche sovietiche,di conseguenza sto acquisendo numerose esperienze dirette sulla situazione passata e posso assicurarvi che le "carenze"(alcuni prodotti erano sicuramente all'avanguardia e ben distribuiti) di beni di consumo erano ben poca cosa rispetto alle carenze di oggi e che il modello di economia pianificata garantiva una sicurezza economica(che giustamente avete citato) ma anche una serie di valori umani e serenità tutt'oggi rimpianti dai più;i viaggi di studio all'estero erano consentiti(molti genitori amici e professori ne avevano fatti per lunghi periodi); a mio modo di vedere il problema non era la centralizzazione della pianificazione economica,bensì l'errata destinazione probabilmente degli investimenti che se focalizzta maggiormente sui beni di consumo avrebbe potuto far si che una parte della popolazione avesse dato meno risalto all'attrazione verso il modello capitalista occidentale che nei fatti ha privato una larga fetta della popolazione non solo di beni di consumo ma anche dei più elementari servizi sociali.Per quanto riguarda la Cina non mi posso esprimere in quanto non conosco pressochè per niente la situazione,ma non credete che visto l'attuale alto sviluppo dei mezzi di produzione,non sarebbe più proficua una pianificazione "totale" e una nazionalizzazione totale delle grandi imprese(comprese le estere) per investire in un totale miglioramento e anche una più capillare redistribuzione della ricchezza e dei servizi?penso anche che oltre l aumento dei consumi,un altro indice di miglioramento della qualità della vita potrebbe essere la diminuzione dell'orario lavorativo e una maggiore disponibilità di tempo libero,sono curioso di sentire il vostro parere a riguardo!cordiali saluti e complimenti per l'interessante blog
RispondiEliminaTi ringrazio per il tuo commento, che io considero anche un contributo al miglioramento del blog. La fascinazione del mercato e dei beni di consumo ha senz'altro contribuito al crollo senza resistenza (questa la cosa significativa) del socialismo nei paesi dell'est e in URSS. Di fronte alla mediocrità del presente molti volgono indietro lo sguardo e trovano che probabilmente si stava meglio prima. Tutti i sondaggi ci parlando della nostalgia del m passato testimoniata dal bagno di folla ai funerali Gierek allla grande popolarità di Kadar in Ungheria, ai recenti successi elettorali del dei comunisti in Russia e Ucraina.
RispondiEliminaLa pianificazione non fu mai totale in realtà perché questa è impossibile. In Cina solo quattro mila beni erano pianificati. Con la fine della pianificazione in Cina è scomparso il mercato sia nero che grigio che alimentava le varie mafie e la criminalità e che costituiva la base dei vari Eltsin e compagnia.Nel contempo è diminuita la burocrazia che è diventata più efficiente. Come già suggeriva Marx finché prevarrà la scarsità delle merci il loro valore sarà determinato dal lavoro socialmente del necessario e avranno un prezzo determinato dal mercato. Naturalmente questo non significa scomparsa della pianificazione. I Piani quinquennali esistono ancora in Cina. La Cina può pianificare perché i "Commanding Heights" sono nelle mani dello stato. Riguardo alla ridistribuzione della ricchezza vedremo nei prossimi post come stanno le cose che sono ben diverse da quanto si crede. Ciao e grazie.Posta altri commenti se ti va. Sono sempre ben accetti
volentieri,il succo del commento è che da quello che so(possibile che mi sbagli)in Cina ci si sta allontanando da quello che a mio avviso è uno dei lati più positivi del socialismo ovvero le certezze e le sicurezze sociali,che stanno venendo garanatite (non universalmente)dall'enorme espansione economica e non a priori(esempio crescita costi degli alloggi,tasso seppur basso ma comunque presente di disoccupazione),e dal punto di vista dei valori ben lungi dal voler sostenere un piatto egualitarismo,penso che la troppo forte disuguaglianza possa portare a un deterioramento della serenità e dei rapporti umani genuini e disinteressati che nei paesi dell'ex blocco sovietico molti rimpiangono.E allo stesso modo in Cina vedo la spinta al benessere come la spinta di diverse forze individuali che vista l'eccellente direzione del PCI sta portando a una maggiore disponibilità di beni di consumo,però temo(idem mia opinione,potrebbe essere sbagliata)che un eccessivo inidividualismo(anche se non in settori strategici)potrebbe portare a conflitti di interessi(casi di sfruttamento,casi di lavori precari e sottopagati)che oltre non garantire un buon tenore di vita ai lavoratori potrebbe causare tensioni sociali.insomma dal mio punto di vista una maggiore attenzione dello stato alla redistribuzione dei beni potrebbe secondo me essere una miglioria,so che si parla di situazioni completamente diverse ma sarebbe interessante un articolo con un parallelo tra socialismo cubano,nord koreano,cinese e vietnamita,
RispondiEliminaCordiali saluti e grazie della risposta
https://www.youtube.com/watch?v=LI_bSZ2xZbk
RispondiEliminaqui si parla delle differenze del modello cinese e vietnamita rispetto a quello cubano