Benvenuti

Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

sabato 5 gennaio 2013

8.1: Mancano le normative sul lavoro o "tutto il potere al popolo”?


8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


La mancanza di normative sul lavoro in CIna è un vecchio must delle polemiche della "sinistra" nostrana. In realtà le normative sul lavoro ci sono sempre state ad esempio la “Labour Law”, del 1994, e le “Administration of Labour in Foreign Funded Enterprises Provisions”, del 1994 sebbene più limitata di quella attuale ma comunque studiata sui modelli europei nonché le “Unemployment Insurance Regulations” e le “Payment of Social Insurance Premium Tentative Provisions”, del 1999, che disciplinano la materia dei contributi sociali.

Nel 2002 erano state approvate 1.682 leggi, regole e regolamenti riguardavano il lavoro. Ben 452 di questi articoli rigurdavano la sicurezza e l’igiene sul luogo di lavoro. Inoltre era stato istituito un sistema di supervisione sulla sicurezza l’igiene e la protezione della donne dell’orario di lavoro e delle ferie (Wang Di 2002).
Scrive Anita Chan studiosa del lavoro in Cina:
L'approfondimento della coscienza dei lavoratori dei loro diritti e la maggiore utilizzazione del diritto rappresentano un ...grande cambiamento. Il Companies Act 1988, il Trade Union Act del 1992 e della legge del 1994 del lavoro sono i tre testi principali che regolano le relazioni nel settore, in un periodo segnato dalla ristrutturazione e la privatizzazione di molte aziende Stato. Queste leggi comportano tutte le disposizioni che, potenzialmente, danno più potere ai lavoratori, con l'eccezione del diritto di costituire sindacati liberi. La legge riconosce il diritto dei sindacati di effettuare pause di lavoro e rallentamenti della produzione, mentre uno dei diritti principali del diritto internazionale, alla contrattazione collettiva è garantita dalla legge di lavoro. Le nuove leggi impostano il tempo massimo di lavoro e l'età minima, stabiliscono le procedure legali per la risoluzione delle controversie e inseriscono clausole relative all'elezione democratica dei rappresentanti sindacali con gli standard internazionali. In realtà, c'è nella legge cinese almeno una disposizione che va al di là delle leggi sul lavoro nei paesi sviluppati: quella che afferma che le imprese statali e collettive dovrebbe stabilire un Consiglio generale dei lavoratori e dipendenti ai quali è concesso l'autorità legale - almeno sulla carta - per controllare la direzione, di partecipare al processo decisionale o di opporsi a talune decisioni (Chan 2004).
Dal primo gennaio del 2008 è entrato in vigore il nuovo codice del lavoro. Un osservatore decisamente ostile come Angela Pascucci la definisce: "Una legislazione persino più avanzata di quelle in vigore dalle nostre parti..." (Pascucci 2009). Un'esperta di sindacalismo cinese come Anita Chan dichiara che "la Legge è piuttosto favorevole ai lavoratori." mentre per Pieranni di China Files "La discussione da cui nacque il provvedimento legislativo avvenne tra il clamore generale, perché secondo le aziende avrebbe portato a peggiorare la competitività cinese sui mercati mondiali, tutelando troppo i lavoratori." La volontà del governo cinese è di tutelare ancora maggiormente la posizione dei lavoratori subordinati quale parte contraente debole, uniformandosi così agli standard acquisiti dai paesi occidentali. Il ministro del lavoro aveva dichiarato già dal 2000 che: “Il datore di lavoro ed i lavoratori sono uguali nella facoltà di sollevare proposte ed hanno lo stesso potere di veto” (Salari cinesi 2007). John Monks, segretario generale della CES (Confederazione Europea dei Sindacati) è intervenuto chiedendo alle camere di commercio europee di ritirare le loro proposte peggiorative del testo (tanto per sottolineare chi difende i “diritti umani") e ha affermato: "Adesso occorre che le norme siano applicate immediatamente. L’approvazione della legge è stata preceduta da una complessa fase preparatoria, durante la quale le multinazionali straniere, soprattutto europee ed americane, hanno organizzato le loro potentissime lobbies per bloccare gli avanzamenti nelle tutele del lavoro, sostenendo che un eventuale aumento dei costi avrebbe compromesso la loro competitività” (Cappuccio 2008).

In uno studio sui diritti umani dell'Università di Madrid si afferma: "Questo sviluppo ha interessato il diritto al lavoro, in modo che ora i lavoratori cinesi possono scegliere o creare i propri posti di lavoro e migliorato il sistema di assistenza all'occupazione e alla formazione professionale. Le riforme giuridiche dalla legge sui contratti di lavoro nel 2007 hanno affrontato questioni come l'orario di lavoro, il riposo, il licenziamento, lo stipendio, il salario minimo, il divieto del lavoro minorile e poi la salute e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Allo stesso modo si sta cercando di eliminare la discriminazione sul posto di lavoro, garantendo opportunità di lavoro e la parità di trattamento per le donne aumentando l'aiuto all'occupazione fornita alle persone con disabilità" (Avilés 2010).
John Monks ha inviato, appena approvata la legge, un messaggio a Hu Jintao “ la legge è un significativo passo in avanti nella protezione dei diritti individuali dei lavoratori. Ora bisogna scrupolosamente rafforzala in tutte le aree di attività in Cina. Sono felice di vedere, come anche ora sia riconosciuto dall’Unione delle Camere di Commercio Europee in Cina- che la nuova legge disegnata sulle clausole del lavoro nelle UE non sia considerata uno sconvolgimento della competitività. Questo dimostra che il Modello Sociale Europeo è apprezzato nel mondo e mente chi vorrebbe che i lavoratori Europei rinunciassero ai loro sudati diritti in nome della competizione globale” (ETUC 2007). Per la verità sembra più un parlare a nuora perché suocera intenda. Infatti le conquiste dei lavoratori sembrano oggi più in pericolo in Europa che in Cina. In America l’hanno buttata subito sul socialismo accusando la Cina di imitare le legislazioni europee pro-sindacati. Il New York Times scriveva: "Alcune delle più grandi aziende del mondo hanno espresso la preoccupazione che le nuove regole facciano rivivere alcuni elementi del socialismo e prendendo a prestito le leggi del lavoro in paesi sindacalizzati come la Francia e la Germania" (Barboza, 2006).

Sun Chunlan Vincepresidente dell'ACFTU distribuisce materiale 
di informazione legale per i migranti impiegati nella security a Pechino
Persino il China Labor Watch, un gruppo per i "diritti del lavoro" che si è sempre distinto per una certa demonizzazione della Cina, ha dato “il benvenuto alla nuova legge del lavoro che il governo cinese sta redigendo. La nuova legge proposta include specifiche condizioni di protezione dei diritti dei lavoratori cinesi. Enfatizzando il ruolo della Federazione dei Sindacati Cinesi (ACFTU), il sindacato ufficiale affiliato al Partito Comunista, rafforza il potere delle agenzie per l’applicazione della legge e aumenta le pene per le violazioni delle leggi sul lavoro. La nuova legge sul lavoro, …fornirà una grande protezione ai lavoratori cinesi” (Hirschhorn 2006).
Con il nuovo regolamento, è vietato rifiutare il lavoro alle donne se non nei casi in cui lo stato lo ritenga inopportuno. “Quando una unità di impiego recluta una donna, non ci può essere nel contratto di lavoro nessun contenuto restrittivo rispetto al matrimonio e alla procreazione” ha detto il ministro. Coloro che soffrono di malattie infettive sono ora protetti, in particolare non si può negare il lavoro a lavoratori con l’epatite B senza che il mestiere intrapreso sia proibito per legge ai portatori della infezione (Equal Rights 2007). Inoltre: "Sono necessari ormai contratti scritti per tutti gli impiegati full time; sempre i dipendenti full time, quando vengono licenziati, hanno diritto ad un’indennità abbastanza rilevante. I periodi di prova sono accorciati. I sindacati diventano più simili ai loro colleghi occidentali; la nuova legge garantisce loro il diritto di discutere con i datori di lavoro sui problemi di sicurezza, disciplina, remunerazione ed ore di lavoro" (Comito 2013).

Il Global Labor Strategies ha protestato vivacemente contro la lobbing delle Corporation americane sostenendo che tenere bassi gli stipendi in Cina è solo un altro modo per abbassare quelli in America (Hirschhorn 2006). Quindi i legislatori cinesi agiscono in controtendenza rispetto all’Italia (1). Da noi il lavoro diventa sempre più precario e mal remunerato mentre in Cina tende a stabilizzarsi e ad aumentare il potere d’acquisto:
Questo, mentre l’Unione Europea e diversi dei suoi stati membri – spazzati da oltre un ventennio di politiche neoliberali più o meno temperate e con un mercato del lavoro ormai solo in parte meno disarticolato rispetto a quello cinese – continuano invece a ragionare su come incrementare il livello di flessibilità e precarietà del lavoro, sfruttando la presenza di un esercito di manodopera a basso costo proveniente dai territori o dai paesi più poveri per abbattere il livello dei diritti, delle tutele e dei salari nei paesi a capitalismo avanzato, fomentando la guerra tra poveri e frammentando la classe lavoratrice. E’ evidente, e forse anche del tutto naturale, che ad ispirare la legge cinese siano state le esperienze più avanzate sperimentate in Europa nel secondo dopoguerra, ma se i processi in atto non dovessero subire decise inversioni di tendenza, tra non molti anni potrebbe essere l’Europa a dover guardare la Cina in tema di diritti del lavoro. Ultimo, non trascurabile, dato: la nuova legge interesserà qualcosa come 797 milioni di persone nel 2010, numero che si commenta da solo e da solo potrebbe chiarire l’entità della sfida che ha di fronte la Cina nei prossimi anni (Graziosi 2008).
Dal luglio 2013 è entrata in vigore la revisione della legge sul lavoro del 2008, che regolamenta milioni di lavoratori, quelli che vengono presi per sostituzioni o periodi brevi, con l’intento di limitare le irregolarità e lo sfruttamento dei “precari”. La legge provvede a modificare quella del 2008, aumentando le garanzie di chi viene assunto come “interinale”. E' previsto lo stesso trattamento di salario ai precari rispetto ai garantiti che sostituiscono. Vedremo in seguito quanto sia d’attualità il “dover guardare la Cina in tema di diritti del lavoro” a cui si accennava sopra.
Un’altra fonte ci informa come i lavoratori siano informati e coscienti del loro nuovi diritti. Addirittura su questa rivista dall’indubbio nome vetero-marxista, “China International business”, si grida nientemeno che al “Power to the people”: "La nuova legge sui contratti di lavoro è attivamente pubblicizzata e i lavoratori sono ben informati circa i loro diritti con la nuova legge. Cresce il numero dei legali cinesi che hanno un forte interesse nell’assumere la rappresentanza dei lavoratori nei reclami di gruppo contro i datori di lavoro. Sono le iniziative di questi gruppi di lavoratori piuttosto che le sanzioni amministrative che sono la maggiore minaccia contro i datori di lavoro secondo la nuova legge" (Dickinson 2007). La nuova legislazione in materia di lavoro prevede che in un conflitto tra dipendenti e datore di lavoro, i dipendenti abbiamo 'presuntivamente' ragione ed è il datore di lavoro a dover dimostrare le proprie ragioni: in altri termini, lo stato si schiera 'per legge' con i lavoratori. Di conseguenza la quasi totalità dei numerosissimi conflitti di lavoro che arrivano, si risolvono a favore dei lavoratori. Non esiste nessun'altra nazione che abbia leggi del genere.

Non manca chi addirittura vede in tutto ciò una manovra contro –non sia mai detto- le multinazionali:
Già prima della legge del 2008 la maggior parte
delle cause legali era vinta dai lavoratori
Come parte di questo spostamento di potere [dal datore di lavoro al lavoratore], la nuova legge permette che i dipendenti citino in giudizio e chiedano i danni ai loro datori di lavoro. La maggior parte dei esperti credono che le aziende degli Stati Uniti siano gli obiettivi principali della legge a causa delle loro possibilità economiche e del rapporto teso che esiste fra il governo cinese e le multinazionali (Citato in China Law Blog 2007). Strano. Ma il governo cinese non era al servizio delle multinazionali?

Come si vede il panorama dei diritti del lavoro in Cina è in forte evoluzione contrariamente al nostro che è in altrettanta veloce involuzione.
Nel corso della elaborazione della nuova legge sono state raccolte le opinioni di imprenditori, manager di aziende statali, sindacati e rappresentati dei lavoratori, ben 191.000 opinioni la cui netta maggioranza chiedeva modifiche da sinistra e maggiormente favorevoli ai lavoratori. E’ ovvio che il risultato è stato il compromesso o se volete l’armonizzazione tra varie esigenze dato che regolerà non solo le aziende pubbliche, ma anche quelle private e straniere. Scrive la Pascucci:
Il governo sembra oggi consapevole di questa bomba innescata nel cuore della sua «società armoniosa», tanto più che nelle loro dinamiche sociali e politiche i cinesi sembrano aver imboccato una fase di maggiore consapevolezza dei propri diritti e della necessità di difenderli, cosa che peraltro hanno già cominciato a fare, visto che le cause di lavoro in corso nel 2006 erano 300mila, il doppio del 2001. La nuova legge, che affronta appunto questi aspetti di precarietà, inizia il suo iter nel marzo del 2006, quando la prima bozza arriva all'esame dell'Assemblea plenaria annuale del Parlamento. Il governo decide di sottoporla a un periodo di 30 giorni di pubblici commenti. Ne arrivano quasi 200mila, la stragrande maggioranza, positivi, da lavoratori cinesi. Ma si mettono in movimento anche le corazzate: la Camera di Commercio Usa (AmCha) di Shanghai, con a bordo 1.300 corporation, il Business Council Usa-Cina, che rappresenta 250 compagnie, e la Camera di Commercio dell'Unione europea, che conta 860 membri. Quest'ultima, grazie all'intervento dei sindacati europei, viene presto convinta a desistere. Le altre invece ingaggiano un duro corpo a corpo col governo. L'AmCham scrive chiaramente che la nuova legge rende più difficili i licenziamenti e le «rigide» restrizioni «danneggiano l'amministrazione degli affari delle imprese».[...]Quel che infatti alle corporations deve sembrare incredibile è che proprio a Pechino scodellino quelle leggi anti flessibilità che in Occidente sono in via di estinzione, anche grazie al Far West cinese (capirai se non ci metteva un po' di malizia). Il secondo round però si è arricchito di nuovi attori. Una trentina di deputati del Congresso Usa hanno chiesto al loro governo di scoraggiare queste pressioni, consci evidentemente di un'assurdità: non si può dire peste e corna della Cina, del suo protezionismo, delle sue violazioni dei diritti umani, del suo dumping sociale e poi, quando tenta di cambiare qualcosa, ostacolarla in tutti i modi (Pascucci, 2007).
Il professor Chang Kai che è stato uno degli estensori della legge, intervenendo ad un convegno in Belgio, ha detto che la versione definitiva è ancora più favorevole ai lavoratori di quella originale (Kennes 2007). La mediazione sulla nuova legge è dunque avvenuta su un terreno avanzato: 
"In tal senso – secondo l’opinione di Amedeo Tea, consulente del lavoro che ha curato la pubblicazione della legge per la Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze – l’innovazione della normativa sul lavoro introdotta in Cina dovrebbe realizzare alcuni importanti obiettivi quali: la protezione dell’occupazione; la promozione dell’occupazione; la maggiore regolamentazione e stabilizzazione del lavoro; il ruolo dell’arbitrato e della conciliazione delle controversie; le retribuzioni eque e la garanzia del posto di lavoro nel lungo periodo; la maggiore trasparenza nella risoluzione delle controversie del lavoro; la maggiore protezione dei segreti commerciali”. Con le seguenti conseguenze: “sensibile incremento del costo del lavoro”; “un aumento dei salari”; “un miglioramento della produttività”; “aumento del potere sindacale”; “perdita dell’autonomia da parte del management delle aziende”; “meno flessibilità del sistema produttivo”; “riduzione degli investimenti stranieri in Cina" (Graziosi 2008).
E’ lo stesso giornale della confindustria italiana a riconoscere che la riforma delle normative porterà "a una stretta sull'uso del lavoro precario, all'introduzione di standard minimi contrattuali, all'obbligo di retribuzione per le ore di straordinario” (Casadei 2007). Un ex ministro tedesco dichiara: “Consideriamo le riforme della legge sul lavoro programmate in Cina una conquista e un grande passo in avanti verso gli standard del mercato del lavoro internazionali. Accordi salariali collettivi e diritti dell’occupazione sono applicabili per legge e la protezione dal licenziamento non sono piu’ dei tabu’ in Cina. Le nuove leggi del lavoro richiamano inconfondibilmente le esperienze tedesche e inglesi. Si tratta di un buon esempio della crescente apertura dimostrata dalla Cina ad adottare quanto di meglio hanno fatto gli stranieri”, ha affermato Wolfang Clement, Presidente dell’Adecco Institute ed ex Ministro tedesco dell’Economia e del Lavoro"(Rssef 2007).
Tra l’altro in caso di infrazione del nuovo codice del lavoro non si può cavarsela solo con delle ammende ma si rischia pure il carcere. L'allora segretario del Partito Hu Jintao nel penultimo congresso ha ventilato possibilità di introdurre “meccanismi automatici di incremento e rivalutazione” dei redditi da lavoro dipendente (Graziosi 2007). Una sorta di scala mobile da noi scomparsa ormai da anni.

Nell'aprile del 2007, il Dipartimento Legale dell'ACFTU ha studiato 
rivisto la Labor  Contract Law congiuntamente all'Ufficio legale 
del Consiglio di Stato e della Ministero del Lavoro e della Sicurezza Sociale
Liu Cheng che è stato uno degli estensori della nuova legislazione cinese si è recato in USA per raccogliere il sostegno dei legislatori e dei sindacati americani. La legge è stata proposta già nel marzo del 2006 ma l’American Chamber of Commerce in Shanghai (AmCham)la United States-China Business Council e le multinazionali hanno fatto varie pressioni sul governo contro la legge. Hanno minacciato di andarsene in Pakistan o in Tailandia. Il Times riportava come Camera di Commercio americana stesse “lanciando una intensa campagna di lobbing” nei confronti del Congresso Nazionale del Popolo per provare ad affondare la legge" (Marshall 2006).

Il South China Morning Post ha definito eccessive le pressioni sui legislatori cinesi e le minacce di ritirare gli investimenti. Ma la Cina, in cui si concentra il 25% della forza lavoro mondiale, è diventata il punto focale per i sentimenti americani di insicurezza nella economia globale. “La Cina aumentando i suoi stipendi, standard e diritti dei lavoratori attrae lavoro sia dai livelli alti che bassi della catena produttiva”, (Smith 2007). Cioè minaccia di portare via dopo il segmento tecnologicamente basso anche quello alto che era rimasto ai paesi economicamente avanzati.
Scrive Liberazione di solito assai critica nei confronti della Cina:
Una legge che ha accolto alcune delle richieste delle grandi corporation occidentali, il cui atteggiamento dimostra quanto sia falsa la loro preoccupazione per i diritti umani, specialmente quando si parla di lavoro e di profitto ma che rappresenta un significativo passo avanti nella legislazione sul diritto del lavoro. Essi sottolineano che la nuova normativa è valida per tutti i luoghi di lavoro, sia pubblici che privati. Secondo la legge, tutti i lavoratori devono avere un contratto scritto e se un imprenditore si sottrae a questo obbligo qualunque rapporto si intende a tempo indeterminato. I lavoratori possono dimettersi entro 30 giorni e non sono tenuti al preavviso se il loro datore di lavoro è inadempiente nei loro confronti. Si prevedono sanzioni nei confronti dei funzionari che non fanno rispettare le norme sulla salute e sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Viene in parte scoraggiata la pratica dei contratti a tempo determinato, che possono essere rinnovati solo due volte. Vengono introdotti alcuni limiti ai licenziamenti. Viene rafforzato il ruolo dei sindacati, che devono essere consultati sui regolamenti aziendali, per la conclusione dei contratti, in caso di dismissioni per ragioni economiche (Cappuccio 2008)
Si deve dire che rappresentati democratici al Congresso USA sono intervenuti contro questa operazione che è stata contrastata fortemente dal sindacato cinese. Alla fine lo stesso fronte della multinazionali si è rotto: il vice presidente della Nike si dissociato dichiarando di avere sempre appoggiato gli sforzi del governo cinese per rafforzare i diritti dei lavoratori. Xie Liangmin, vicedirettore dell’ufficio legale del sindacato cinese ha pubblicamente criticato le pressioni dell'AmCham a cui si era unita la Camera di Commercio europea. La AmCham ha pubblicato un documento di 42 pagine fitte di critiche alla nuova legge che farà, dicono loro, perdere fascino per gli investimenti. Ma come rileva Dissident Voice “le aziende americane vogliono salari bassi più di quanto vogliano la democrazia in Cina” (Hirschhorn 2006).
Intanto le aziende che non si adeguano dovranno per forza abbandonare la Cina:
Se la risorsa più importante di un governo è la credibilità, quello cinese sta dimostrando di averne molta. La nuova legge sul diritto del lavoro non ha ancora avuto il tempo per essere messa in pratica – è entrata in vigore il primo gennaio – che già alcune multinazionali hanno annunciato di voler emigrare altrove. Soprattutto nel vicino Vietnam… A completare il quadro è arrivata anche una riforma fiscale che ha abolito i bonus per gli investitori stranieri (tassazione ridotta al 15%), unificando l’imposizione sui redditi di impresa al 25% (per le aziende di proprietà cinese era al 33)… I primi a muoversi sono stati Olympus – il quarto produttore mondiale di fotocamere – e la Yue Yuen Industrial, vero produttore di scarpe poi rivendute con sopra marchi più prestigiosi (Nike, ad esempio) (Piccioni 2008).
La delocalizzazione diventa desiderabile in quanto il costo del lavoro, dell’energia e della terra è cresciuto nel paese ma soprattutto: è diventato più difficile licenziare, una condizione che alcune compagnie sostengono sarebbe così onerosa da rallentare i loro investimenti in Cina (Barboza 2006).

Nell’articolo sul New york Times si sottolinea come i sindacati abbiano acquisito un potere mai visto prima con la possibilità di negoziare su tutto ciò che da “forti diritti ai lavoratori” e in particolare riproduce un articolo della legge: “I sindacati o i rappresentati del personale hanno il diritto di contrattazione condotta su basi uguali, di attuare assieme al collettivo dei dipendenti contratti collettivi su materie come i compensi da lavoro, le ore lavorative, vacanze, assenze, sicurezza sul lavoro e igiene, assicurazioni, premi ecc." (Barboza 2006).

Le industrie che chiedono manodopera poco qualificata e stipendi minori sono destinate a delocalizzare. Le industrie avide di manodopera a basso pezzo si sposterebbero verso le regioni centrali e occidentali, andando a riequilibrare lo sviluppo economico, mentre nelle province orientali rimarrebbero quelle attività a più alto valore aggiunto e più alto contenuto tecnologico. Le aziende della costa richiedono manodopera meglio qualificata e più stabile (Rocca 2007), dato l’attuale pesante turn-over e deficit addirittura di manodopera. Comunque questo è all’interno di una strategia di lungo periodo che porterà a ridurre fortemente nella costa le aziende produttrici di abbigliamento ormai fuori dal mercato per l’aumento degli stipendi. Questo del resto viene confermato anche da studiosi cinesi. Ding Li, esperto dell'Accademia delle Scienze sociali a Pechino, conferma questa strategia: "La regione del delta delle Perle ormai può puntare all'eccellenza e pagare salari più alti. Le imprese deboli devono chiudere o spostarsi altrove" (Rampini 2008).
Secondo la metodologia OCSE i lavoratori cinesi sono meglio protetti di quelli italiani 2.38 contro 2.09
Il Vietnam e l’India oggi sono favoriti nella comparazione del costo del lavoro. La legge del lavoro richiede alla aziende di pagare i salari minimi e il trattamento di fine rapporto, pone la parola fine alla appartenenza della Cina ai laboratori del mondo: "La legge ha contribuito all’aumento del 22% dei costi del lavoro durante l’anno passato secondo la Federazione delle Industrie di Hong Kong. L’assenza di tale legge “ ancorava la Cina allo status di fabbrica del mondo”, ha detto Tao nel rapporto del Credit Suisse. Questo vantaggio se ne andato in una notte" (Hamlin, Kevin 2008).
Ciò che conta è la tendenza generale. Il lavoro tende ad essere tutelato efficacemente attraverso il salario minimo, liquidazione per i licenziati, obbligo di pagamento degli straordinari, tutte misure che per la verità esistevano anche prima ma che vengono meglio definite. In caso di licenziamento il lavoratore ha diritto ad un salario mensile per ogni anno di anzianità e dopo due contratti successivi di durata temporanea ha diritto al contratto a tempo indeterminato. Ma soprattutto ciò che non va giù alle multinazionali sono le maggiori difficoltà frapposte per le assunzioni temporanee: Stanley Lau, vice-presidente dell’associazione industriale di Hong Kong, ha ammesso che assisteremo alla chiusura di altre fabbriche, perché la nuova legge rende più difficile l’assunzione temporanea». Sembra di sognare, mentre qui da noi avviene l’opposto (Cappuccio 2008).
Naturalmente i capitalisti sono tutti per la democrazia e diritti umani, ci sentono un po’ meno quando e’ l’ora di allargare la borsa:
Le dispute del lavoro sono un'alternativa allo
sciopero per fare valere i propri diritti
Da Hong Kong sono già partite vibrate proteste delle imprese. Ai tempi in cui era ancora una colonia britannica, i capitalisti dell'isola erano stati veloci ad accogliere l'invito di Deng Xiaoping: "Arricchirsi è glorioso". Negli anni 80 la Repubblica popolare iniziò la transizione verso l'economia di mercato proprio creando delle "zone speciali" nella Cina meridionale, porti franchi per gli investimenti stranieri. Gli industriali di Hong Kong invasero per primi il vicino Guangdong per aprirvi nuovi capannoni e sfruttare il basso costo della manodopera. Oggi almeno 70.000 imprese del Guangdong sono controllate da capitalisti di Hong Kong, che hanno conservato una relativa autonomia, i loro organi associativi, e libertà di parola. Paul Yin, proprietario di un'impresa metallurgica a Shenzhen e presidente della Confindustria di Hong Kong, ha lanciato l'allarme: "I costi di produzione nelle nostre fabbriche cinesi sono saliti del 30 – 40%. La nuova legge del lavoro è una bomba a orologeria. I margini di profitto si assottigliano". Shi Kai-biu, che rappresenta le piccole e medie imprese, fa previsioni catastrofiche: "Entro pochi mesi potrebbero chiudere 10.000 delle nostre associate". I toni possono sembrare esagerati ma un'indagine compiuta dal Wto Research Institute arriva a conclusioni simili. Tra gli imprenditori di Hong Kong il 62% denuncia costi crescenti nella Repubblica popolare, l'11% teme di dover chiudere i battenti. "E' uno tsunami", commenta Lam Kwong-tak, chief executive del più grosso calzaturificio della Cina meridionale, il gruppo Onlen Fairyland. "In 30 anni di carriera non avevo affrontato una sfida simile. Le nuove regole varate dal governo mi rincarano di un euro il costo del lavoro su ogni paio di scarpe, proprio mentre salgono anche i costi delle materie prime e la domanda americana rallenta". Nella zona di Dongguang il 15% delle aziende nel settore calzaturiero hanno già chiuso (Rampini 2008).
Keyong Wu della Camera di Commercio Britannica sempre in prima fila per i diritti umani ha minacciato testualmente: «Noi siamo venuti in Cina per i bassi costi salariali e la flessibilità. Se sparissero noi andremo in India, in Pakistan e Bangladesh» (De Vos 2006).

In un incontro avvenuto in USA, nel cui resoconto un giornale descrive nientemeno come drammatici i cambiamenti della legislazione cinese tesi al rafforzamento dei diritti dei dipendenti, Michael Shu direttore delle risorse umane in Cina per l’azienda delocalizzata Arvato Services ha sostenuto che le le Grandi Compagnie possono ritirasi dalla Cina e costruire le loro attività in paesi vicini più attraenti come il Vietnam, ma l’avvocato Lesli Ligorner, che cura gli aspetti legali di molte multinazionali, ha dichiarato di non hanno visto nessun disinteressamento in arrivo come diretto risultato della nuova legge. Insomma ci hanno provato.

Questa legge è stata fatta in un periodo in cui sta scarseggiando la manodopera qualificata. Alla fine degli anni ’70, allorché la politica di riforme è iniziata, i cinesi si trovavano in una posizione di inferiorità. Essi avevano assolutamente bisogno degli investimenti stranieri, dei capitali, tecnologie tecniche se volevano progredire. Il rallentamento del rapido tasso di turnover della forza lavoro potrebbe avvantaggiare sia i lavoratori dell’Hi tech che le aziende: "Il recente influsso di aziende che entrano o che si stanno espandendo in Cina aveva spinto a rincorrere un limitato numero di lavoratori specializzati, spesso sottraendoli ai concorrenti con più lucrativi salari. La percentuale di turnover dal 20 al 25% per compagnie tecnologiche a Shanghai e Pechino, è molto lontano dal 10% del turnover mondiale che aziende di alta tecnologia della Silicon Valley tentano di ottenere. “Questo rende dispendioso” per le aziende operare in Cina ha detto Ligorner. E in sovrappiù “ la promozione di relazioni a lungo termine può ridurre il turnover e rendere tutto meno dispendioso” (Wong 2007).

Infatti la nuova frontiera del mercato del lavoro in Cina è indirizzata sulla qualità del lavoro: "Nei dipartimenti delle risorse umane in Cina il capitolo stipendi assumerà un rilievo via via sempre più alto, affiancandosi ad altri tre, almeno: il job hopping un fenomeno che nelle aree fortemente industrializzate porta gli operai a passare da un'azienda all'altra anche una volta al mese, la retention che è sempre più difficile quando i quadri specializzati in settori come il marketing ricevono una proposta di lavoro al giorno e la spregiudicatezza delle aziende che sono disposte a rialzi anche del 100% pur di assicurarsi i collaboratori a cui sono interessate (Casadei 2007).

Riguardo all’orario di lavoro già con la legge del 1992 era regolato in 44 ore la settimana e 40 in specifico per le multinazionali a capitale straniero: "A proposito comunque dei turni di lavoro, fissati nel maggio 1994 in otto ore al giorno per un massimo di 44 ore settimanali, il ministro del Lavo­ro Li Bayong ha dichiarato che non sarà possibile estendere il provvedimento della settimana lavorativa di cinque giorni alle imprese private (che puntano in­vece a massimizzare i ritmi produttivi) (2).(…) Se in alcuni casi i lavoratori (specializzati) delle imprese private guada­gnano più di quelli del settore statale, bisogna tener presente che poco più della metà della retribuzione è costituita dal salario base, il resto sono premi di pro­duttività" (Brignoli1994). Quindi la legislazione esisteva già da tempo ma non sempre era applicata. Il problema è come sempre fare rispettare le regole (in Italia ne sappiamo qualcosa): "Nel 2005 un accertamento disposto dal Comitato permanente del Congresso nazionale del popolo (ANP), massimo organo legislativo, ha rivelato che l'80% delle imprese private violano il diritto del lavoro approvato nel 1995. Secondo le dichiarazioni del suo vice presidente, He Luli, al China Daily, la ricerca si è concentrata su un campione di 2255 imprese private in 7 province. I settori che violano la legge sono l'edilizia, l'industria leggera, tessile e restauro" (Egido 2006). A violare le leggi sono particolarmente le piccole aziende piuttosto che le più controllate multinazionali.

Secondo la Chan l'ACFTU ha avuto un ruolo estremamente attaivo "nel processo legislativo per dare contenuto alla legislazione cinese sul lavoro. Così, al più alto livello, l'ACFTU sembra operare con successo nel far sentire la sua voce, per acquisire maggiore potere contrattuale e anche un po 'di indipendenza". inoltre " l'Acftu cerca di definire la sua posizione di rappresentante dei lavoratori distinti dallo Stato e datori di lavoro. Il suo compito è reso più facile grazie al sostegno che riceve fuori: l'OIT, di cui il governo cinese è uno Stato membro. L'ACFTU ha inoltre continuato a svolgere un ruolo attivo sul fronte legislativo. La revisione della legge sul lavoro approvata nel 2001 è stato in parte consentito dal suo lavoro di lobbing. La Federazione è attualmente impegnata nello sviluppo di una revisione dei Companies Act per consentire Assemblee generali di operai e impiegati per rimanere legali all'interno delle aziende. L'istinto di sopravvivenza della Federazione suggerisce che, almeno per rappresentare gli interessi dei lavoratori,  è pronta a perdere la sua ragion d'essere  (Chan 2004)
Anche rispetto ai lavoratori migranti l'azione del sindacato è stata importante: "Come abbiamo visto, la Federazione dei sindacati è stato in grado al più alto livello di introdurre nuove disposizioni nella legislazione del lavoro, che danno i lavoratori i mezzi legali di azione. I lavoratori migranti sono stati in grado di utilizzarli per ottenere i loro arretrati di stipendio. La legislazione del lavoro ha dato origine a un gruppo attivo e fiorente di avvocati  e paralegali specializzati nella rappresentazione dei lavoratori infortunati. Tutto questo è un segno incoraggiante, anche se embrionale, alimentando le speranze che le elezioni sindacali presso le aziende possono diventare più frequenti in futuro. Nei settori statali e collettivi, i lavoratori possono a volte  far ricorso ai Congressi dei Lavoratori. In questi tempi difficili, per l'operaio cinese, ci sono barlumi di speranza"  (Chan 2004).
Lo stato socialista cinese pur all'interno di un'alleanza tra produttori ha un ruolo deciso nell'accogliere le  istanze dei lavoratori: "Lungi dall’abbandonare i lavoratori cinesi nel perseguimento della modernizzazione, il PCC ha annunciato il progetto di legge sul Contratto di Lavoro del 2006, per proteggere i diritti dei lavoratori alle dipendenze delle aziende straniere, assicurando il TFR e la messa fuori legge del lavoro senza contratto, che li renderebbe dei possibili sweatshop. Violentemente contrastata da Wal-Mart e da altre società occidentali, “le società straniere non attaccano la normativa perché fornisce ai lavoratori troppo poca protezione, ma perché ne fornisce troppa“.  Tuttavia, il progetto di legge sul Contratto di Lavoro, in cui “ai datori di lavoro è richiesto di contribuire ai conti previdenziali dei propri dipendenti, e d’impostare norme salariali per i lavoratori in tirocinio e gli straordinari“, è stato promulgato nel gennaio 2008. La recente serie di controversie sul lavoro tra lavoratori cinesi e società straniere, testimoniano l’orientamento verso la classe operaia dello stato cinese. In risposta agli scioperi diffusi nelle fabbriche e negli impianti di produzione degli occidentali, il PCC ha intrapreso una politica aggressiva di supporto dei lavoratori cinesi e sostiene le loro richieste di aumento dei salari. Il governo regionale di Beijing ha elevato il salario minimo due volte in sei mesi, tra cui un aumento del 21% alla fine del 2010. Nell’aprile di quest’anno, il PCC ha annunciato degli aumenti salariali annuali del 15%, “promettendo di raddoppiare i salari dei lavoratori durante il 12° piano quinquennale, dal 2011 al 2015.”   I grandi aumenti dei salari e dei benefici per i lavoratori cinesi, in particolare i lavoratori migranti, è un duro colpo per le società straniere e rende la Cina un hub di manodopera a basso costo decisamente meno attraente per gli investitori stranieri. Contrariamente alle azioni di uno Stato capitalista di fronte alle agitazioni operaie, che in genere consiste in piccole riforme o nella repressione brutale, la risposta della Cina è stata lanciare un’offensiva contro l’accumulazione della ricchezza delle società straniere, costringendole a pagare salari sostanzialmente più elevati" (Vinces 2011).

A cinque anni dall'introduzione di una delle più avanzate leggi sul lavoro a livello mondiale non sembra che ci sia stata quella catastrofe che i liberali, difensori dei diritti umani del loro portafoglio, paventavano.

 Note
1. Cosa curiosa: nel periodo immediatamente successivo all'approvazione della legge in Cina su Indymedia si accusava il Ministro della Solidarietà Sociale Ferrero di copiare il welfare, dalla legislazione cinese. In italia avrebbero copiato il seguente concetto:"i contratti a termine con lo stesso datore di lavoro non possono essere più di due consecutivamente e la loro durata massima è di tre anni. Il terzo contratto diventa automaticamente a tempo indeterminato...” (Sindacati asserviti 2007).
2. Quando del resto nelle stesse aziende di Stato si verificano irregolarità. Nello Shandong su 48 imprese controllate 42 non applicano la legge. Cfr. Cina notizie, n.5, 1994, p.11.
3. Se Chan esperta occidentale di relazioni sindacali, non certo amica del governo di Pechino, riesce comunque a rilevare elementi positivi Angela Pascucci, tipica rappresentate molto bigotta della fu "sinistra radicale" non vede alcunché di positivo nel Sindacato cinese: "Un moloch capillare il cui ruolo principale non è quello di difendere i diritti dei lavoratori ma piuttosto di fare la longa manus del governo all'interno delle imprese private. E' anche in questa ottica che occorre guardare l'accettazione delle regole da parte di giganti come Wal Mart che a casa propria, negli Usa, impediscono qualunque organizzazione sindacale" (Pascucci 2009).

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