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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

martedì 25 giugno 2013

8.15: Socialimperialismo ovvero come fare i comunisti con il c... degli altri

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?

Eurocentrismo o etnocentrismo. New York come centro del mondo
Per me il movimento è tutto, e ciò che comunemente è chiamato obiettivo finale del socialismo è nulla. 
Eduard Bernstein. I presupposti del socialismo e i compiti della socialdemocrazia, 1899.

Noi, 
anche ad ogni cuoca 
insegneremo a dirigere lo stato.
V. Majakovskij,  Lenin.

Ci sono almeno quattro tipi di socialimperialismo [1]. Dei primi due tratteremo in questo post degli altri due tratteremo in un post successivo.
Con la rottura tra URSS e Cina i maositi
accusarono i sovietici di socialimperialismo
Il primo è quello dei sostenitori di sinistra della classe operaia cinese (in Occidente la classe operaia non ci caga ma in Cina siamo fortissimi: 100 mila ribellioni al giorno!!!) a cui loro forniscono "buoni consigli e cattivi esempi" come nella canzone di De Andrè,  anche se non si sa per quale stravagante ragione i lavoratori cinesi dovrebbero seguire le fallimentari pratiche di questi perdigiorno; poi ci sono le organizzazioni per i consumi etici che al pari dei leghisti pensano che non si dovrebbero comprare i prodotti da paesi che non hanno le stessi nostre leggi (praticamente tutti  i paesi poveri) così si darebbe un'efficace aiuto ai poveri (una delle forme più rivoltanti di imperialismo).


Ivan Franceschini è un rappresentante, nemmeno tra i peggiori [2], della prima forma di  socialimperialismo e scrive: 
...un discorso ufficiale sui diritti dei lavoratori ha iniziato ad emergere in Cina nella prima metà degli anni ottanta, sull’onda del boom del settore privato e dell’introduzione del sistema dei contratti di lavoro. Fino ad allora i lavoratori cinesi, per lo più dipendenti di imprese statali e collettive, si erano trovati ad agire nel contesto delle ‘unità di lavoro’, strutture che, detenendo un monopolio pressoché assoluto sull’erogazione del welfare nell’ambito di un modello occupazionale a vita – la cosiddetta ‘ciotola di riso di ferro’ – fungevano da strumento di controllo sociale, ponendo i lavoratori in un rapporto di sudditanza nei confronti dello stato. in questa situazione, la retorica ufficiale ruotava non tanto attorno al concetto di legge e diritti, quanto piuttosto ad una presunta titolarità dei lavoratori nei confronti dello stato e dei suoi asset, una nozione racchiusa nel termine zhurenweng, letteralmente ‘senso di padronanza’, un principio radicato nello spirito rivoluzionario del partito comunista e ancora oggi incastonato all’articolo 42 della costituzione cinese, lì dove si legge che: 'il lavoro è un dovere glorioso per tutti i cittadini che ne abbiano le capacità. I lavoratori delle imprese statali e delle organizzazioni economiche collettive in città e campagna, hanno il dovere di comportarsi verso il proprio lavoro con l’atteggiamento di padroni dello stato' (Franceschini 2012h).
I rappresentanti di questa forma di socialimperialismo sono poi giornalisti del Manifesto o di Liberazione, in quanto a Repubblica o al Corriere della Sera ancora non se li filano, ma la loro, per altro comprensibile, aspirazione sarebbe di scrivere per i secondi che almeno pagano. Gente che avrebbe bisogno quantomeno di un buon sindacalista cinese per incrementare i propri magri redditi (sconsigliabili quelli italiani dato i risultati fallimentari degli ultimi anni). L'essenza di questa forma di socialimperialismo è che la classe operaia gialla deve imparare da noi che siamo i rappresentanti della classe operaia di razza ariana come si deve fare la lotta di classe. L'epiteto socialimperialista sembra assai duro nei confronti di chi in fin dei conti si colloca a sinistra ma che l'essenza del discorso sia quella, non c'è alcun dubbio. Cosa dovrebbero imparare i cinesi da dei falliti?  I socialimperialisti sembrano i golpisti da operetta di "Vogliamo i colonnelli" intenti a vender il piano del golpe fallito agli africani. Se questi avessero una formula vincente per la classe operaia l'avrebbero applicata si presume nel loro paese dove la lotta di classe langue con la vittoria di forze ostili ai lavoratori. Ma la pericolosità di questa forma di socialimperialismo, qui è il succo del discorso, è che i lavoratori sono buoni solo per chiedere "qualche dollaro in più" e non per essere "i padroni dello stato"!!! La cosa singolare è che questi personaggi definiscono corporativa la politica del sindacato cinese mentre ciò che essi propongono agli operai cinesi è un corporativismo di bassa lega, addirittura bassamente economicista. Essi sonso l'autentica retroguardia del proletariato. La politica dello stato cinese tesa a rafforzare il "senso di padronanza" radicato nello spirito rivoluzionario è "paternalista" mentre loro, con le loro smanie da pedagogia differenziale per i lavoratori cinesi non sono paternalisti... neanche un po'.  Loro che vanno ad "insegnare" come si ottengono i diritti che loro stessi sono incapaci di salvaguardare in patria dall'attacco neo-liberale che riduce addirittura gli stipendi. Lo vanno ad insegnare dall'alto dei loro "successi" ai selvaggi cinesi che sono ormai i campioni mondiali nell'ottenere stipendi alti e diritti sempre maggiori. Scriveva Graziosi in occasione del congresso del partito cinese del 2007: “L’atteggiamento dei “marxisti” nostrani si basa sulla supponenza di chi ha solamente da insegnare e nulla da apprendere"(Graziosi 2007).

Il corporativismo che si vuole imporre ai lavoratori cinesi, ossia la difesa degli interessi particolari e contingenti a scapito di quelli generali e di più largo respiro è proprio ciò che le organizzazioni sindacali cinesi mettono in discussione.  Il sistema cinese di organizzazione del lavoro mette l’accento infatti, sugli interessi generali più che su quelli particolari: "[…] il sistema mette l’accento non sulla rappresentanza degli interessi delle categorie sociali in questione, ma sulla funzione sociale che va oltre quegli interessi. Per esempio, l’art. 3 della legge sui consigli stabilisce che il comitato sindacale nell’impresa è l’organo esecutivo del consiglio, il che accentua la sua funzione sociale a scapito del suo ruolo di rappresentante di interessi.[…] In questi contratti normalmente si pone l’accento sugli obietti­vi comuni di sviluppo dell’impresa, e quindi anche qui risaltano in pri­mo piano le funzioni sociali del sindacato (Feng 2006). Da notare che Feng Tongqing, autore del brano riportato sopra, è un rappresentante delle Nuova Sinistra cinese decisamente più seria di quella occidentale.

Scrive Losurdo a proposito di Lenin:
Per Lenin la lotta dei lavoratori, al contrario dei
perdigiorno della sinistra neobernsteiniana
occidentale, avaeva uno scopo: il socialismo.
Per Lenin i termini della situazione sono chiari. Intanto occorre tener conto dell'insegnamento di Marx: «L'interesse principale e fondamentale del proletariato dopo la conquista del potere statale consiste nell'aumentare la quantità dei prodotti, nell'accrescere in proporzioni grandiose le forze produttive della società». In secondo luogo, è evidente che il potere sovietico non può reggere se non risolve il problema della miseria disperata e della fame che colpisce il popolo russo. Per rilanciare la produzione agricola occorre fare concessioni generose ai contadini, e gridare allo scandalo per questo «significa porre gli interessi corporativi degli operai al di sopra degli interessi di classe; significa sacrificare gli interessi di tutta la classe operaia agli interessi del vantaggio immediato, temporaneo, parziale degli operai, sacrificare la loro dittatura». Per rilanciare la produzione industria­le, s'impongono concessioni ancora più generose agli specialisti borghesi e al capitale russo e internazionale disposto a collabo­rare con la NEP. A suscitare disorientamento sono soprattutto le aperture al capitale straniero della cui tecnologia avanzata si ha assoluto bisogno e al quale vengono garantiti profitti eccezionali; ma non è la protesta contro questa politica, è questa politica a essere «un aspetto della lotta, la continuazione della lotta di classe sotto un'altra forma» (Losurdo 2013, pp. 234-235).
Ad esempio Anita Chan mette in risalto come in Cina "la Legge è piuttosto favorevole ai lavoratori" (Franceschini 2012c) e lo stesso Franceschini rileva che "di fatto, sono ormai quasi vent’anni che le autorità cinesi hanno avviato un’opera legislativa finalizzata alla costruzione di un corpo giuslavoristico che non ha nulla di invidiare a quelli di tanti paesi occidentali, accompagnandola ad una costante attività di propaganda mirata a promuovere la conoscenza di leggi e regolamenti tra i lavoratori" (Franceschini 2012h).
Per anni la si è menata con la mancanza di leggi adeguate. Ora che secondo le stessi standard dell'OCSE i cinesi hanno leggi più avanzate di quelle italiane la si mena che sono leggi fatte apposta per affievolire la coscienza di classe dei lavoratori. Quanto sia arretrato il diritto del lavoro in Cina ce lo dice la China Consultant, azienda che guida gli investitori italiani sul territorio cinese:
Innanzitutto meglio evitare raffiche di espulsioni. Ragioni economiche e probabilmente politiche a parte, risulta sempre piuttosto problematico rimuovere un lavoratore in Cina. I dipendenti dimissionati infatti quasi sempre vincono le cause che intentano presso i tribunali del lavoro. E riescono a ottenere cospicue somme in risarcimento. Un rischio che per un imprenditore straniero è più sano scongiurare.
Le normative cinesi, inoltre, possono complicare notevolmente il quadro della situazione, prevedendo – come peraltro in parte anche quelle italiane – una completa protezione dal licenziamento per alcune categorie di lavoratori. 
Sono le donne incinte o in periodo di allattamento (fino a un anno dopo la nascita del bambino), coloro che godono per legge di congedo per malattia, i lavoratori che hanno più di 15 anni di servizio presso la medesima società e chi è a 5 anni dal pensionamento. In questi casi il licenziamento non può  essere richiesto a meno che non venga dimostrata l’impossibilità dell’azienda di agire diversamente. 
Altri lavoratori, come ad esempio i capifamiglia monoreddito, godono invece di un diritto di priorità. In caso di rimozione, l’impresa è tenuta a dimostrare che il dipendente ha qualifiche inferiori rispetto a quelle di chi invece ha conservato il posto di lavoro. (China Consultant s.d.)
Il scoialdemocratico tedesco Eduard Bernstein
per cui il fine socialista non era nulla
Però per il Nostro "sulla base di quanto esposto finora, possiamo affermare che la chiave di questo paradosso va ricercata nella natura stessa del diritto del lavoro cinese il quale, lungi dall’essere solamente una semplice arma nelle mani dei lavoratori, nelle sue formulazioni, nei suoi contenuti e persino nella sua applicazione, rimane un prodotto costruito a tavolino dalle autorità (per la verità sembra che ci siano state qualcosa come 191 mila proposte di modifica!!! [3] Quali sono gli esempi in Occidente di una tale partecipazione?). In questo senso, la retorica sui diritti dei lavoratori promossa dalle autorità tramite l’apparato giuslavoristico si configura come un vero e proprio ‘discorso egemonico’ finalizzato prima di tutto al mantenimento della stabilità sociale e al rafforzamento della legittimità del partito (Franceschini 2012h).
Stabilità, ma perchè no? ci si chiede. Dato che la stabilità è una delle condizioni che i comunisti cinesi hanno individuato come essenziali per lo sviluppo, certo che i nostri rivoluzionari preferiscono avere liberali al governo contro cui esercitare una sana lotta di classe. D'altra parte la cosa è comprensibile "il movimento è tutto e il fine è nulla" di bersteiniana memoria, ma mentre per il teorico del revisionismo il movimento è costituito dalle riforme politiche i nostri bernsteiniani moderni sono molto più arretrati fermandosi alle rivendicazioni economiche. Si tratta per altro di una questione estremamente provinciale, ovvero della generalizzazione dell'esperienza italiana anni 60/70 rivista attraverso gli occhiali di Tony Negri che viene riproposta ad ogni pie sospinto come i nobili decaduti sempre pronti a tirar fuori il blasone che riguarda però altri tempi e ora è passato di mano. Probabilmente l'applicazione di tali teorie sarebbe ferale per i cinesi, peggio dell'invasione delle cavallette e dello stupro di Nanchino.

Che le leggi siano a favore dei lavoratori è cosa encomiabile e allora "come spiegare dunque il paradosso di uno stato che da un lato invita i lavoratori a ‘servirsi dell’arma del diritto’ e dall’altro tollera l’esistenza di violazioni diffuse di quelle stesse leggi che ha contribuito a creare? (come se in Italia le leggi non venissero MAI violate. Eh si... proprio in Italia!!!) come conciliare i discorsi contrastanti che descrivono le autorità cinesi alternativamente come garanti dei diritti dei lavoratori di fronte al capitale internazionale e come responsabili della compressione di salari e diritti al fine di attrarre investimenti?"  (Franceschini 2012h).

Il problema è che la descrizione dei cinesi "come responsabili della compressione di salari e diritti al fine di attrarre investimenti" è una fisima appunto dei socialimperialisti, che non possono dimostrare dato che le cifre e la realtà dicono tutt'altro: la realtà è che questi operaisti della domenica credono in alcuni principi dogmatici come ad esempio che il capitale internazionale vada esclusivamente dove gli stipendi sono bassi. Come mai allora non va nel Ghana o nel Burkina Faso?
Ribadisce Anita Chan: "Non penso che i lavoratori migranti abbiano una coscienza di classe molto elevata, almeno per il momento. Di fatto, contrariamente a quanto si pensa, la consapevolezza del diritto può diventare un fattore che ostacola lo sviluppo di una coscienza di classe tra i lavoratori. Negli ultimi anni, il governo ha avuto molto successo nel promuovere il sistema legale attraverso il sistema educativo ed altri canali e così ora i lavoratori hanno cominciato a credere in esso.
Essi pensano che la Legge sia la norma e che se affrontano i datori di lavoro in accordo con le leggi vigenti tutto andrà a buon fine. In questo modo, i lavoratori non chiedono nulla che vada oltre quanto previsto dalla Legge e, nel caso di una violazione dei loro diritti, non chiedono niente più che una compensazione in accordo con gli standard giuridici. Penso che questo sia una sorta di limite, un vincolo allo sviluppo di una coscienza di classe.
Il fatto che i lavoratori non si rendano conto che dovrebbero chiedere salari più alti e meno straordinari è un altro grave problema. Non fanno altro che chiedere salari più elevati, ma allo stesso tempo anche più ore di straordinario. Questo mostra come la loro coscienza non sia ancora così sviluppata. Moltissimi anni fa, i lavoratori in Inghilterra e in Europa chiedevano orari di lavoro più brevi e salari più elevati" (Franceschini 2012c). Beh è  notorio che mentre la sinistra faceva cadere il governo Prodi per le 35 ore Berlusconi prendeva un sacco di voti dei lavoratori con la proposta di detassare gli straordinari. Questo è avvenuto in Italia!!!! Evidentemente la riduzione d'orario non era poi così sentita mentre la possibilità di fare straordinari per guadagnare qualcosa in più, si. Piaccia o non piaccia. Una particolarità dei socialimperialisti è che la Cina (e i paesi in via di sviluppo) si attengano a regole scarsamente rispettate persino nelle madrepatrie della Rule of law.

Naturalmente i gialli se parlano di socialismo è sempre al fine di ingannare il popolo bue. L'eterna perorazione populista è a ciò che viene "dal basso" sempre puro, ambientalmente sostenibile e a km zero:
...sin dall’inizio si è trattato però di un’idea di diritto costruita interamente a tavolino (confronta la nota 3), una creazione delle élite politiche ed accademiche del paese sulla base di quelle che venivano di volta in volta percepite come le necessità non solo dei lavoratori, ma soprattutto del capitale. Come ha rilevato Mary Gallagher nel suo contagious capitalism, le autorità cinesi hanno deciso di rivolgersi alla rule of law per tre ragioni fondamentali: innanzitutto per un’esigenza di legittimazione derivante dal fatto che la rivoluzione culturale aveva reso obsoleto il vecchio armamentario ideologico socialista che fino a quel momento aveva giustificato il mantenimento del potere da parte del partito; in secondo luogo, per la necessità della legge come strumento funzionale all’apertura agli investimenti esteri e all’integrazione nei flussi internazionali di capitali; infine per utilizzare il diritto come strumento per il controllo e la gestione delle trasformazioni sociali (se non ci fossero i bianchi occidentali che hanno imposto la rule of law chissà come sarebbero trattati i lavoratori cinesi magari in base al "vecchio armamentario socialista"). Non si è trattato dunque dell’esito di rivendicazioni riflettenti esigenze provenienti dal basso come avvenuto in passato con i movimenti operai di tanti paesi europei, quanto piuttosto di decisioni prese interamente dall’alto attraverso logiche pragmatiche ed opportunistiche (Franceschini 2012h).
A questo punto non rimane che dire: "Che bravi i politici bianchi e liberali dell'Occidente che ascoltano ciò che viene dal basso mentre i politici cinesi forse perchè sono gialli o forse perché sono rossi non ascoltano i lavoratori".
Franceschini non si rende conto che i discorsi da lui fatti sul sindacato cinese si potrebbero benissimo adattare a lui stesso: "Anche se in apparenza si tratta di un discorso fortemente progressista, (all'apparenza anche il discorso di Franceschini è porgressista) in realtà esso è fortemente conservatore, in quanto rimane mirato soprattutto al mantenimento dello status quo (lo status quo se è socialista va molto bene!!!) e alla prevenzione dell’emergere di un movimento dei lavoratori organizzato e pro-attivo (Per fare cosa, di grazia? Per ottenere gli aumenti salariali dei lavoratori italiani degli ultimi vent'anni?)" (Franceschini 2012h). Per capire i cinesi non dovevano fare leggi così avanzate perché così facendo non si scatena la lotta di classe e lavoratori cinesi non possono ottenere ciò che stanno ottenendo in Occidente di tempi, ossia delle grandissime prese per il culo.
Franceschini ce l'ha con le ONG del lavoro cinesi che non sono abbastanza rivoluzionarie (ma per far che, dato che il fine non sarebbe il socialismo?): "Tralasciando il fatto che anche tra i ranghi delle ONG del lavoro cinesi si nasconde un buon numero di ciarlatani e personaggi improbabili che manipolano i donor internazionali per ottenere vantaggi economici, non è poi così scontato che le ONG del lavoro in Cina giochino un ruolo positivo nello sviluppo di una coscienza di classe tra i lavoratori cinesi, così come nella costruzione di un’alternativa politica o sociale più equa o democratica (va beh, la democrazia liberale che è evidentemente anche più equa). Al contrario, dal momento che esse in genere non fanno altro che promuovere l’idea di diritto e legalità promossa dallo Stato, evitando le dispute collettive per concentrarsi sui casi individuali e cercando di instillare nei lavoratori la consapevolezza del ruolo dello Stato nel mediare e risolvere i problemi sul lavoro, le loro attività spesso finiscono per ottenere l’effetto di rafforzare la fiducia dei lavoratori nello Stato, più che di spingerli sulla strada della solidarietà (forse intendeva dire di Solidarnosc), una dinamica che è stata sottolineata da Ching Kwan Lee e Yuan Shen in un recente saggio in cui gli autori si spingevano ad etichettare queste organizzazioni come un “apparato anti-solidarietà (leggi AntiSolidarnosc)” (Franceschini 2012e). Poi è ovvio che alla fine le uniche ONG valide sono quelle note gestite dai servizi spionistici occidentali di cui parleremo nel prossimo post. Differente è l'idea di una studiosa come Anita Chan la quale invece pensa le leggi e le procedure aumentatino in realtà la consapevolezza che i lavoratori hanno dei loro diritti (Chan 2004).

Chi l'ha poi detto che il compito delle ONG sia quello di organizzare le lotte dei lavoratori (o più precisamente le rivoluzioni colorate)? "dal momento che ogni tentativo di lanciarsi in attività più aggressive e proattive viene sistematicamente soffocato dalle autorità, le ONG del lavoro finiscono per farsi portavoce di nient’altro che questo discorso egemonico, al punto che molte di esse hanno da tempo rinunciato a sperimentare nuove forme di lotta e partecipazione, ricadendo in uno schema trito e ritrito di training e pubblicazioni di dubbia utilità, oltre che consulenze legali che sono importanti nella misura in cui gli altri organismi deputati a garantire l’accesso dei lavoratori al diritto falliscono nelle loro funzioni" (Franceschini 2012e). Ci siamo sbagliati a dire che i neobernsteiniani non hanno un fine. Il loro fine è la "coscienza di classe" ovvero che dovrebbero domandare salari più alti di quelli che hanno. Punto. Bernstein era un campione di finalità rivoluzionarie!!!

Francamente non si capisce cosa dovrebbe fare di più il sindacato cinese. Ottiene aumenti economici da capogiro che in Occidente ci sogniamo, riesce a fare approvare leggi migliori delle nostre, ha una percentuale di lavoratori sindacalizzati senza eguali nel mondo. Forse manca la famosa coscienza di classe che evidentemente dall'Occidente potremmo esportare a vagonate per riequilibrare la bilancia dei pagamenti.
Tutto ciò accade in quel Guangdong che di norma viene esaltato come l’avanguardia delle riforme; sotto la leadership illuminata di quel Wang Yang che tanti hanno descritto come un modello di apertura; in un momento storico che viene presentato come una svolta per la società civile locale; sotto l’egida di un sindacato che sempre più attori nel movimento sindacale internazionale considerano un interlocutore aperto al dialogo. Pur senza negare il fatto che il confronto e il dialogo con il sindacato cinese siano componenti necessarie ed imprescindibili di una qualsiasi iniziativa politica seria che si proponga di affrontare la questione del lavoro in Cina, vicende del genere ricordano con forza come la FNSC affondi le sue radici in un periodo storico differente, un’epoca in cui la sua unica funzione era quella di agire da “cintura di trasmissione”. Certo, moltissime cose sono cambiate da allora e la Cina rimane un immenso laboratorio, ma la strada verso una nuova forma di sindacalismo in Cina rimane ancora lunga. Sebbene negli ultimi vent’anni la FNSC abbia fatto grandi passi in avanti nel tentativo di affrancarsi dalla sua tradizionale sudditanza nei confronti dello Stato-partito, ad esempio inserendo esplicitamente nel proprio Statuto la necessità di proteggere i diritti e gli interessi dei lavoratori, essa non è mai riuscita ad affrancarsi dal peso del proprio ingombrante passato. Non solo il sindacato cinese, che oggi conta su oltre 239 milioni di membri, è tuttora organizzato in base al principio leninista del “centralismo democratico”, ma esso spesso continua ad agire sulla base di principi che riecheggiano in tutto e per tutto la sua funzione primaria di “cintura di trasmissione” (Franceschini 2012g).
Fa piacere che Franceschini accusi i sindacati cinesi di leninismo. Accusa non fu mai così fondata: Ma vediamo se questa concezione sia molto lontana da quella leninista:
Nella seconda metà degli anni Venti Pierre Pascal, che già conosciamo, lamenta che «da un punto di vista materiale si sta marciando verso l'americanizzazione» (intesa come il culto idolatrico dello sviluppo economico e tecnologico); è vero, sono stati realizzati alcuni progressi economi­ci, ma «a prezzo di un formidabile sfruttamento della classe opera­ia». In modo opposto argomenta Lenin tra il 1920 e il 1921. Egli invita i sindacati a liberarsi «sempre più della grettezza corporativa»: essi devono svolgere un'«opera di media­zione» e «contribuire alla conciliazione più rapida e meno penosa possibile» dei conflitti che inevitabilmente insorgono, senza mai perdere di vista l'obiettivo dello sviluppo delle forze produttive, che solo può garantire un sensibile miglio­ramento delle condizioni di vita delle masse popolari e rafforzare al tempo stesso il potere sovietico. Per esser chiari:
La situazione esige innanzi tutto un aumento del rendimento del lavoro, un aumento della disciplina del lavoro. In tempi come questi l'obiettivo più importante che la rivoluzione deve perseguire è un mi­glioramento all'interno del paese, miglioramento che non colpisce, che non salta agli occhi, non si scorge a prima vista, un miglioramento del lavoro, della sua organizzazione e dei suoi risultati (Losurdo 2013). 
E' una bestemmia se noi all'avanguardia in pectore del proletariato cinese Ivan Franceschini preferiamo il leader sindacale Su Weiqing secondo il quale le condizioni per la coscienza di classe siano queste:

  1. Studio assiduo del Marxismo, del Pensiero di Mao e della Teoria di Deng Xiaoping [4], studio e conoscenza dell’economia, della legge, e dei compiti dei sindacati:
  2. Mettere in atto la line di base, la strategia e la politica del Partito, obbedire alle leggi dello stato, e ai regolamenti. Inserirsi nella riforma di apertura e costruzione della modernizzazione socialista per essere pronti ad apprendere e innovare;
  3. Essere leali e rispettosi, diligenti al lavoro, onesti e mettere in conto gli interessi complessivi ;
  4. Sostenere la ricerca della verità dai fatti, essere coscienti nell’indagare e nel ricercare e riflettere le opinioni dei lavoratori, le aspirazioni e bisogni che essi portano:
  5. Sostenere i principi, non lavorare per il  guadagno personale, darsi da fare e pronunciarsi entusiasticamente per i lavoratori, sostenere i diritti e gli interessi dei lavoratori ;
  6. Stile di lavoro democratico, ricevere coscienziosamente la critica e la supervisione delle masse.(Howell 2006)
Prendiamo una domanda tipica che porrebbe qualcuno della sinistra occidentale. Chiedono gli intervistatori di Losurdo: "Se guardiamo il conflitto Cina – USA da una prospettiva internazionale, vediamo che la Cina per minare alla base l’imperialismo americano ha imposto condizioni di lavoro sempre più pesanti ai suoi lavoratori. Condizioni che, pur essendo in miglioramento, non sono paragonabili a quelle degli operai occidentali. Simili politiche non favoriscono forse l’inasprirsi delle contraddizioni interne al paese piuttosto che la loro risoluzione?"
Il problema è che le condizioni di lavoro non sono affatto "sempre più pesanti" ma semmai è il contrario; con lo sviluppo delle forze produttive diventano "sempre più leggere" come è logico aspettarsi. La risposta è da manuale:
È evidente che l’operaio cinese ha un livello salariale notevolmente inferiore a un operaio occidentale, ma non potrebbe essere diversamente. Stando allo storico inglese Niall Ferguson sembra che all’inizio degli anni novanta il reddito pro capite cinese fosse 1/73 di quello statunitense. Ancora oggi – e si fa presto a fare un calcolo – il PIL della Cina è grossomodo la metà di quella statunitense e, se pensiamo che la popolazione cinese è quattro volta quella degli USA, possiamo dire che il reddito pro capite cinese sarà all’incirca 1/8 di quello statunitense. Come si può, dunque, pensare che in queste condizioni il livello salariale cinese sia il medesimo di quello statunitense. Sono stupito quando coloro che fanno professione di materialismo storico si aspettano da un Paese di ispirazione socialista la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Come possiamo immaginare una società in cui ci sia una redistribuzione di una ricchezza non prodotta? Non ha senso (Losurdo 2013b).
I nuovi socialimperialsiti non sono nostalgici del periodo maoista a differenza della vecchia sinistra anti-denghista (Masi, Pascucci ecc.). Essi ripropongono un certo operaismo i cui risutati sono perlomeno discutibili nella stessa relatà italiana.

Qui bisogna stare attenti, perché la demonizzazione socialimperialista passa anche per certe non-notizie. Vi è una non notizia, che i lavoratori che chiacchierano invece di lavorare sarebbero malvisti, come se in Occidente siano ben visti ed inoltre la notiziona non è nemmeno confermata. Stravagante e ridicola risulterebbe come causa di suicidio. Risulterebbe oltremodo interessante invece spiegare come mai il numero di suicidi sia così basso alla Foxconn rispetto alla media cinese. La Foxconn è il bersaglio di tutte le organizzazioni socialimperialiste residenti ad Hong Kong che usano la diffamazione come arma di ricatto contro le aziende che investono in Cina come un tempo i fascisti usavano in Italia le occupazioni delle fabbriche o gli scioperi come forma di ricatto verso gli industriali. Qui non si vuole difendere a tutti costi la Foxconn, ma si sa che offre condizioni di lavoro che per molti paesi in via di sviluppo sono da sogno. Da sogno anche per il mitico nord-est italiano prima degli anni '90 con fabbrichette nei sottoscala o nelle stalle senza dispositivi di sicurezza. Il discorso è sempre lo stesso: 
La notizia dei suicidi nel consueto silenzio stampa dell’azienda taiwanese è stato dato dalla ONG di New York China Labor Watch, già protagonista di numerose denunce contro i fornitori Apple in Cina. Il 24 aprile scorso a suicidarsi sarebbe stato un giovane di 24 anni, impiegato dalla fabbrica solo da due giorni: si è buttato giù dalla finestra del dormitorio (quartieri abitativi adottati da molte aziende). Il 27 aprile sarebbe stata la volta di una donna di 23 anni; anche lei si sarebbe gettata nel vuoto da uno stabilimento dell’azienda. Infine, il terzo suicidio il 14 maggio: identiche le modalità. La vittima, 30 anni, era stata assunta da appena due settimane. «Le ragioni dei suicidi, scrivono gli attivisti del China Labor Watch, non sono chiare, ma potrebbero essere in relazione alla nuova modalità del “silenzio” imposta a Zhengzhou, pratica con la quale i lavoratori sono minacciati di licenziamento nel caso parlino durante i turni di lavoro». Si tratta di supposizioni non confermate, ma che rendono l’idea del clima militare che molti lavoratori, nel corso della storia della Foxconn, hanno denunciato.(S. PIE 2013) 

Infine la seconda forma di socialimperialismo è quella per cui i cinesi non dovrebbero nemmeno iniziare l'industrializzazione e lo sviluppo perché tutto ciò che non è liberale è schiavitù. Qui si condanna anche il maosimo e il socialismo in generale come schiavistico:
Fortunatamente per i politici occidentali e uomini d'affari, ci sono commentatori che sono felici di rivoltare il problema contro la Cina in un linguaggio apparentemente radicale. L'attivismo anti-consumistico può essere invocato per lamentarsi 'dell'alto costo delle merci a basso costo' e per sollecitare i consumatori occidentali a frenare i loro acquisti di iPhone e televisori a schermo piatto. In un recente articolo, Johann Hari dell'Independent si è presentato come intento a salvare i lavoratori cinesi sfruttati dai capitalisti cinesi che pensano solo ad arricchirsi. 'Essi [i lavoratori cinesi] possono essere trattati in questo modo a causa di un tipo molto particolare di politica che ha prevalso in Cina per due decenni. Persone molto ricche sono autorizzate a formare organizzazioni - corporation - per far avanzare spietatamente i propri interessi, ma al resto della popolazione è vietato, dalla polizia segreta, associarsi al fine di creare organizzazioni per proteggersi. Le pratiche politiche del maoismo sono state ordinatamente trasferite dal comunismo alle corporation: entrambi guardano agli esseri umani come strumenti che servono solo per fini economici'. Allora, qual è la soluzione di Hari a questo terribile stato di cose? Incoraggiare i suoi lettori a contribuire o diventare volontari per organizzazioni come No Sweat o il braccio internazionale del Trades Union Congress - gruppi che retoricamente sostengono i diritti dei lavoratori, ma che sono in gran parte focalizzati sul "consumo etico'. Alla fine si ammette che il successo di campagne di questo tipo significherebbe che consumatori occidentali 'dovrebbero pagare un po' di più per alcuni prodotti, in cambio della libertà e della vita del popolo cinese". In altre parole, gli occidentali dovrebbero essere preparati a fare a meno di un iPad o un nuovo computer portatile, perché così facendo in qualche modo salverebbero la vita di un lavoratore cinese. E' difficile immaginare un concetto più grande da parte di Hari. Sembra davvero a credere che sta conducendo una campagna per salvare i lavoratori cinesi, dalla schiavitù del ventunesimo secolo (Ben-Ami 2010).
Ben-Ami fa della facile ironia su Hari. L'esito paradossale di questo tipo di atteggiamento è che risulterebbe pernicioso sia per i lavoratori occidentali costretti a pagare molto di più le merci che per i paesi in via di sviluppo che si troverebbero con un sacco di disoccupati in più. In realtà ciò si inserisce nella lotta di classe internazionale tra paesi ricchi e paesi poveri fornendo ai primi una copertura "umanitaria" per pratiche di volgare protezionismo.
Scrive Andre Vltchek, regista e scrittore: "Se la Cina ha successo, allora vuol dire che non è più veramente socialista. E se è socialista, poi fallisce su molti fronti. Una nazione socialista di successo è lo scenario peggiore per i costruttori dell'egemonia mondiale dell'Occidente. I propagandisti occidentali preferiscono evidenziare le disuguaglianze e l'inquinamento in Cina per screditarla" (Chimienti 2013).. I socialimperialisti sono solo l'altra faccia del mainstream, dei China bashers.

Note

[1] Negli anni 60/70 i cinesi chiamavano Socialimperialismo l'egemonismo sovietico che a loro avviso imponeva a tutti i paesi socialisti uno stesso modello di società ricalcato sulla realtà sovietica. Qui si tratterà anche dell'arroganza della sinistra occidentale nel proporre ai cinesi modelli estranei alla loro realtà e rivelatisi fallimentari in altre realtà.
[2] In realtà il sito gestito da Franceschini Cineresie non è privo di interesse per chi si voglia informare sulla realtà del lavoro in Cina. Ma ovviamente di Franceschini critichiamo il lato "pseudo-sinistro".
[3] Nel 2005 l’Ufficio Legislativo del Parlamento ha elaborato una prima bozza, che è stata oggetto di discussione e revisione dentro e fuori il partito e le istituzioni, coinvolgendo i “gruppi di pressione” informali degli imprenditori cinesi e stranieri, ma anche sindacati, rappresentanti dei lavoratori e cittadini. Sono state oltre 191.000 le opinioni raccolte sulla prima bozza e, dato senza alcun dubbio emblematico sul piano politico, la maggioranza dei cittadini intervistati ha espresso la volontà di modificare il testo “da sinistra”, vale a dire nel senso di potenziare ulteriormente i diritti e la qualità del lavoro, tanto da suscitare la preoccupazione delle imprese (Graziosi 2008).
[4] Secondo il socialimperialista Simone Pieranni che pontifica dalle colonne del Manifesto in Cina: "Da un lato sono stati abbandonati Mao e Marx, almeno ufficialmente, per passare a Weber, senza dirlo troppo in giro, contemplando una suddivisione tra strati sociali, che fosse in grado di preparare la Cina alla nuova modernità occidentale e neoliberista" (Pieranni 2013). Da notare che il PCC avrebbe abbandonato sia il marxismo che Mao addirittura ufficialmente. Come direbbe Wikipedia "ciation needed". Naturalmente noi che non possiamo consultare i testi esoterici del Pieranni eravamo rimasti al rapporto al 18° Congresso che recita: "Dobbiamo studiare il marxismo-leninismo, Pensiero di Mao Zedong e il sistema di teorie del socialismo con caratteristiche cinesi e studiare intensamente e applicare la prospettiva scientifica sullo sviluppo" (Hu Jintao 2012) dove il termine "marxismo" è citato per 12 volte mentre il termine "Weber" non è pervenuto. Strano anche il riferimento alla "modernità occidentale" per chi l'aveva menata con l'ispirazione nazionalista e confuciana dei retrogadi comunisti cinesi che non capiscono che dovrebbero invece ispirarsi ad un'oscura ricercatrice di Hong Kong, certa Pun Ngai,  completamente occidentalizzata e dunque specialista in fallimenti. Scriveva Roggero in una recensione al libro di Losurdo sulla Lotta di classe: "Invece, utilizzando il Marx della questione irlandese e in particolare Engels, Losurdo sostiene che un internazionalismo che ignori la questione nazionale si rovescia nel suo contrario, cioè nello sciovinismo di una nazione che si pretende universale" (Roggero 2013). In effetti ignorando le particolarità nazionali, ovvero la sininizzazione del marxismo, si arriva ad una sorta di "marxismo" sciovinista in cui l'unica forma di marxismo valido è l'impresentabile e l'iperfallimentare "marxismo occidentale". Per altro nella visione dei Pieranni di turno il liberismo è ovunque trionfante e alla base vi è anche la visione naturalistica dell'eterna lotta tra forti e deboli senza alcun esito se non l'eterno trionfo dei primi.


Bibliografia

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Chimienti, Adam 2013. Beyond Anti-Chinese Propaganda with Andre Vltchek. Counterpunch, 31 maggio -2 giugno 2013.
China Consultant s.d. Cina: taglio ai costi ma senza licenziare
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Franceschini, Ivan 2012e. ONG del lavoro in Cina: strategie di sopravvivenza. Cineresie.18 giugno 2012.
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Graziosi, Marcello. 2007. Le vie inesplorate del socialismo con caratteristiche cinesi. La Cina e Il 17° Congresso del Partito Comunista.
Graziosi, Marcello 2008. Cina: alla ricerca di nuovi diritti per il lavoro. Resistenze.org. 22-03-2008.
Hari, Johann 2010. And now for some good news. The Indipendent, 6 August 2010.
Hu Jintao 2012. Report to the Eighteenth National Congress of the Communist Party of China on November 8, 2012
Losurdo, Domenico 2013. La lotta di classe. Una storia politica e filosofica. Laterza.
Losurdo, Domenco 2013b. Lotta di classe, lotte di classe. Intervista di B. Settis e S. Taccola. 9 maggio 2013.
Pieranni, Simone 2013. Questioni di classe nella world factory. il Manifesto 22 06 2013.
Roggero, Gigi 2013. I fronti opposti del secolo breve. il Manifesto 16 04.2013.
S. PIE 2013. Ancora suicidi tra i lavoratori della Foxconn. Il manifesto, 21 maggio 2013

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