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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

martedì 1 dicembre 2015

7.8: Lenin a Shanghai


7. Socialismo vs. turbo-capitalismo


Dobbiamo fare buon uso sia del mercato, la mano 'invisibile" che del governo, la mano "visibile", per promuovere un sostenuto sviluppo economico a sfondo sociale.
Xi Jinping sessione di studio dell’Ufficio Politico del PCC, maggio 2014.

Se per Mario Tronti con Marx a Detroit l'epicentro della lotta di classe è negli USA e se per Giovanni Arrighi in Adam Smith a Pechino il centro della Rivoluzione Industriosa non capitalistica è la Cina noi sosterremo che Shanghai in particolare è il centro dell'edificazione del nuovo concetto di socialismo che ha tirato tutte le conseguenze dall'esperienza storica incominciata con Lenin e la Rivoluzione d'Ottobre, attraverso un faticoso processo di apprendimento, come dice Losurdo. Avevamo messo questa premessa in un altro capitolo quello su socialismo o capitalismo ma non lo avevamo sviluppato. Ora lo riprendiamo.

Yasheng Huang, in un suo famoso libro,  contrappone le provincie di Zhejiang a Shanghai al fine di rivelare la differenza tra politiche di sostegno della dinamica del capitale nel primo caso, e di una politica urbana statalista nel secondo. La metà delle più grandi aziende private in Cina si trovano nella provincia di Zhejiang, mentre Shanghai presenta caratteristiche “sovietiche”: un predominio della proprietà statale, pesanti restrizioni alle attività locali del settore privato e una politica industriale guidata da interventi statali. Huang vede la repressione dell'imprenditorialità su piccola scala e alta intensità di lavoro, e la promozione dello sviluppo all'urbanizzazione su base nazionale, come emulazione del 'modello di Shanghai' (Huang, 2008:175-232). Infatti la prima a manifestare segni di crisi tra le provincie cinesi è stata proprio quella di Zhejiang che è entrata in una crisi di credito simile a quella che ha colpito molti paesi capitalisti, mentre Shanghai ha tutto sommato resistito meglio alla crisi del dopo 2008 (Moore 2012).

«Se c’è un ‘modello cinese’, la sua più rilevante caratteristica è la volontà di sperimentare con differenti modelli». secondo il professore turco Dirlik. Infatti si è progressivamente passati dalla Nuova Democrazia maoista, al “comunismo” della Rivoluzione Culturale, al “socialismo di mercato” di Deng, ai “tre rappresentanze” di Jang, alla “società armonica e allo sviluppo scientifico” di Hu e, ancora al “sogno cinese” di Xi il tutto all’interno del “socialismo con caratteristiche cinesi”. Del resto il marxismo essendo una dottrina che si considera scientifica deve per forza di cose porre al vaglio della pratica le proprie teorie. Quindi la sperimentazione deve essere di casa. La Cina è davvero diventata un’economia “capitalista”, nel senso in cui siamo abituati a parlare di Capitalismo in Occidente? La risposta di di Xi è chiara: «Alcuni definiscono il riformismo come un cambiamento verso i valori e il sistema politico occidentale. […]. La nostra è una riforma che ci fa proseguire sul sentiero del socialismo con caratteristiche cinesi» (Xi Jinping, dicembre 2012).

In un saggio comparso su Chinascope nel 2012 a firma di due ricercatori cinesi (ma anticomunisti) di base in USA si analizza il “modello cinese”. L’analisi è molto più profonda di quanto di solito facciano i semplificatori perdigiorno della fu “sinistra radicale”. Proviamo ad analizzare quanto dice il documento. Il fondamento del "modello Cina" si identifica con il rafforzamento della guida del Partito comunista. Questo modello si fonda sull’assorbimento delle sostanze nutritive dagli organismi capitalisti per rafforzare il corpo del socialismo cinese.” Nel "Manifesto" Marx ed Engels scrivono: «il proletariato si serve dei suo dominio politico per carpire gradualmente alla borghesia tutto il capitale, per centralizzare tutti gli strumenti di produzione nelle mani dello Stato, vale a dire dei proletariato organizzato come classe dominante».

Questa sarebbe, secondo gli autori il risultato di una direzione perfettamente “leninista”. Lenin teorizzò infatti l’utilizzo del “capitalismo di stato” per rafforzare il socialismo. Per capitalismo di stato egli intendeva i contadini individuali, i commercianti, i capitalisti a cui era stata data in gestione la fabbrica nazionalizzata, gli investitori esteri che egli incitava ad intervenire in Russia e persino, in un primo tempo, le cooperative. Il Capitalismo di Stato sovietico fu un periodo, una tappa obbligata dovuta ai disastri della guerra mondiale e della guerra civile. per questo, è stato necessario, secondo Lenin, concedere qualcosa al capitalismo tramite il "capitalismo di Stato". Una situazione che è "a vantaggio della classe operaia e allo scopo di resistere alla borghesia ancora forte e di lottare conto di essa". Questa è appunto la sostanziale differenza con il Capitalismo di Stato capitalistico.



Ma cosa c’era di differente dal modello cinese? Lenin pensava che nel medio, se non nel breve periodo, questi ceti e forme economiche fossero destinate a scomparire. Per i comunisti cinesi si tratta di un lungo periodo per passare dal primo stadio del socialismo ad uno più avanzato. Per tutto questo periodi è necessaria una vasta alleanza tra ceti e classi produttive che possiamo sintetizzare nelle tre rappresentanze. Per il PCC mollare il piccolo (ossia la piccole aziende) per rafforzare il grande è la base dell’economia del paese e costituisce l’asse portante di un’alleanza tra lavoratori, artigiani, commercianti e imprenditori in un blocco storico per lo sviluppo delle forze produttive che porterà la Cina ad essere un paese moderatamente prospero. Spesso le stesse aziende che vengono considerate formalmente private non lo sono, ma scrive Losurdo "Per esperienza personale: in Cina sono più volte entrato in fabbriche private e ho constatato l’evidenza riservata alle foto dei membri del Comitato di partito, che chiaramente costituisce una sorta di contropotere rispetto alla proprietà privata" (Losurdo 2015). Personalmente non credo che ci sia questa forte contrapposizione tra imprenditori (spesso assai piccoli) e partito ma semmai alleanza. Infatti Losurdo continua: "Il sentimento patriottico svolge un ruolo importante. Quando in una fabbrica si conseguono risultati rilevanti per quanto riguarda l’innovazione tecnologica e la rottura di un monopolio tecnologico sino a quel momento detenuto dall’Occidente, c’è una celebrazione corale per il successo conseguito e per il rafforzamento dell’indipendenza economica e tecnologica del Paese. Persino i cinesi d’oltremare partecipano a iniziative promosse dal governo di Pechino"(Losurdo 2015).



Si vuole, dice Chinascope, guadagnare tempo e accumulare le forze tramite lo sviluppo economico con lo scopo di superare alla fine del processo il capitalismo. Per fare questo occorre sfruttare a proprio vantaggio il sistema di imprese nazionalizzate della Cina e realizzare i grandi compiti che il PCC si propone.
Con il successo del modello cinese, si rimette in discussione l'universalità dei valori dell'Occidente e il PCC cercherà di ridefinire l'ideologia egemone nel mondo. Nel suo modello politico il Partito Comunista svolge un ruolo di governo potente ed efficace ed è in grado di mettere in atto ciò che si propone di fare. Esso non introdurrà un sistema politico pluripartitico e parlamentare. Non utilizzerà strutture politiche, come la "separazione dei poteri" tra "legislativo, esecutivo e giudiziario." Esso sosterrà sempre il predominio del marxismo nel campo dell'ideologia. Il modello economico si basa sullo sviluppo di un'economia di mercato "socialista", mentre il sistema economico di base che è dominato dalla proprietà pubblica. Il paese mostra il successo economico quale manifestazione più importante del successo del "modello Cina"(Zang Li; Hu Zongyi 2012).



L'ideologia guida del marxismo è basata sul Socialismo con caratteristiche cinesi che fonde assieme lo spirito nazionale, il patriottismo e il concetto socialista d'onore. La legittimazione del potere del partito sta nella terapia economica usata per risolvere i problemi politici e sociali. La fonte della legittimità di un governo è la sua azione per promuovere e migliorare il benessere delle persone che è alla base del suo modello sociale.

La funzione dei militari è quella di rafforzare il potere del Partito comunista. Il rafforzamento militare della nazione è un problema permanente della politica nazionale. Le guerre future saranno vinte attraverso il controllo delle informazioni; i campi di battaglia futuri saranno nello spazio.


Ma qual’è l’impatto del modello cinese? Il PCC ritiene che il "modello Cina" abbia cambiato radicalmente la scena politica internazionale. Esso ha scosso la fiducia del mondo nel sistema capitalista occidentale ed ha aiutato la Cina a conquistare un potere prezioso per condizionare l'opinione pubblica. Pechino può diventare il portatore di una nuova ideologia nel mondo sfidando i valori “universali” dell'Occidente.

L'unico modo per espandere il potere socialista cinese è attraverso un'ampia partecipazione alla divisione internazionale del lavoro, sviluppandosi traendo nutrimento dal "corpo capitalista” e spingendo in avanti il socialismo cinese, mentre si collabora e coesiste con l'intero sistema capitalistico.



Importante anche la competizione tra socialismo e capitalismo. La competitività del socialismo cinese poggia sul mantenimento di un ambiente internazionale pacifico, per sviluppo il paese, disponendo di mercati, capitali, tecnologia, talenti, risorse, e altri fattori. La Cina deve migliorare la propria reputazione internazionale. Partecipare in modo proattivo alla formulazione e al miglioramento delle regole del gioco negli affari internazionali, in modo da aumentare l'influenza della Cina e il suo appeal (Zang Li; Hu Zongyi 2012).


La competizione tra socialismo cinese e il capitalismo non si svolge su un campo di battaglia per vedere chi sia il più potente militarmente, ma sulla strada dello sviluppo per vedere chi alla fine la spunterà. Fino a quando la Cina sfrutta appieno le "opportunità strategiche" in un ambiente internazionale tranquillo e si rafforza, si potrà intrinsecamente vedere la superiorità del socialismo cinese. Ora se è questa l’analisi dei due economisti, in Occidente ne prevale comunque un’altra. La maggior parte dei media e dell’opinione pubblica occidentali definiscono la Cina contemporanea come un “sistema capitalistico” per giunta totalitario o quantomeno autoritario oppure una “giungla capitalista iperliberista” tout court (Parenti 2015). La tesi mainstream occidentale è che ciò che funziona in Cina lo si deve al capitalismo e ciò che non funziona è colpa del socialismo.


Parenti nota che: le istituzioni finanziarie, universitarie e mediatiche del cosiddetto Washington Consensus (ricordiamo, tra le altre, Fondo Monetario, Banca Mondiale, il Tesoro Statunitense e la Banca Centrale USA, ovvero la Federal Reserve, vari think tank statunitensi e inglesi, quotidiani economico-finanziari, ecc.) hanno spesso attribuito la crescita dei Paesi emergenti, Cina inclusa, alle ricette neoliberali da essi propugnate e praticate (tesi per altro sosteuta dalla sinistra radicale notoriamente sprovveduta). Queste tesi sono state tuttavia contraddette, fin dall’inizio degli anni Duemila, da numerosi episodi di crisi economiche nell'Africa Sub-Sahariana, in America Latina e nell’ex URSS, che si sono verificati proprio a seguito di un’applicazione troppo rigida e non adattata ai singoli contesti delle ricette neoliberali tra gli anni Ottanta e Novanta (a questo proposito, ad esempio, il default argentino del dicembre 2001 è emblematico)" (Parenti 2015).



Già Hayek argomentava in The Road to Serfdom: "il socialismo può essere messo in pratica soltanto con metodi che la maggior parte dei socialisti disapprovano.» (1944, 137). Egli sosteneva l’incoerenza tra gli obiettivi a cui punta il comunismo e il modello previsto per il conseguimento di tali obiettivi. In particolare Hayek prendeva di mira i primi sostenitori del socialismo di mercato, Lange e Lerner, che sarebbero stati dei furbacchioni in quanto hanno usato l’analisi marginalista e la teoria neoclassica del mercato per forgiare argomenti per il socialismo. La cosiddetta sinistra radicale è pienamente all’interno di questa idea neoliberale. Per lei come per Hayek gli eventuali successi di un paese a socialismo di mercato come Cina si devono all'adozione del capitalismo. Essa ha un ruolo peculiare nella strategia dell’Impero che gli ha affidato il ruolo di dedicarsi a cause ultraminoritarie e decisamente impopolari votandosi all'irrilevanza e osteggiare in maniera settaria tutte le visioni sostenibili e realistiche del socialismo stesso. Del resto lo stesso modello di “socialismo”, ma se ne parla sempre meno, della Sinistra Radicale è ormai più debitore della controcultura americana che del marxismo. Inoltre abbiamo trovato sempre più di frequente questa “sinistra” a sventolare le bandiere monarchiche davanti all’ambasciata libica o quelle dei tagliagole siriani contro Assad, diventando di conseguenza complementare all'Impero del Kaos mentre osa criticare chi ieri ha contribuito potentemente alla vittoria della rivoluzione anticolonialista mondiale, mentre oggi mette pesantemente in discussione le pratiche neocoloniali degli USA ovvero la Cina.(Losurdo 2015).

In realtà, come sostiene Losurdo, proprio le caratteristiche socialiste della Cina hanno avuto un peso determinante nella crescita economica della Cina: "Gli interventi energici dello stato nell’economia e il peso persistente dell’economia pubblica hanno svolto un ruolo essenziale nel prolungato miracolo economico, ma tutto ciò non sarebbe stato possibile se in Cina a esercitare il potere politico fosse la borghesia capitalistica. Secondo Deng la borghesia in Cina non deve trasformarsi da classe in sé a classe per sé. La differenza tra classe in sé e classe per sé è un tema marxiano classico. Deng lo applica alla borghesia, che in Cina non esercita il potere politico e non ha gli strumenti né per la conquista del potere né per diventare classe per sé." (Losurdo 2015)

D'altra parte i paesi capitalisti non hanno mai voluto riconoscere alla Cina la qualifica di economia di mercato. Si tratta del solito Hype dell'Impero contro uno dei pochi paesi democratici al mondo. Ormai i paesi democratici sono coloro che controllano nell'essenziale la loro economia, ovvero ciò che conta veramente al giorno d'oggi per mantenere l'indipendenza. E sono pochi: Cina, Russia e pochi altri. Sono anche i paesi con il maggiore consenso interno. In Cina secondo gli americani della PEW Research (l'unica agenzia occidentale un po' indipendente) che sonda la governance nel mondo, la popolarità di Xi è al 92%!!! Gli altri paesi, con governi deboli, sono eterodiretti dall'esterno da gruppi finanzari ecc. Speriamo che anche l'Italia divento un giorno un paese democratico in grado di dire la sua e non il solito Fantozzi (che subisce sempre) della politica internazionale.

I liberali definiscono così il rapporto tra governo mercato: "Un sistema di soggetti in concorrenza l'uno contro l'altro attraverso un processo guidato nel commercio basato su regole che mira a circoscrivere il ruolo e la capacità dei governi (e dei partiti politici) di intervenire in attività economiche. Mette in quarantena l'attività economica da interferenze politiche da parte dei governi per quanto possibile, e permette alla logica commerciale, piuttosto che agli interessi politici, di giocare il ruolo principale. Rispetta i mercati ordinati ma genuini. Il PCC dovrebbe barcamenarsi tra estremità opposte e le entità economiche cinesi, in particolare quelle di proprietà direttamente dallo stato, rimangono strumenti latenti per governare e mantenere la stabilità nella sua evoluta "visione del mondo leninista" (Lee 2012). Naturalmente la concorrenza leale è pura ideologia e l'economia non ha mai funzionato in questo modo. 

Sono gli stessi liberali però a ribadire che alla Cina non si possono applicare le formule create ad esempio per i paesi autoritari o dittatoriali dell'Asia degli anni 70-80. Questi erano dipendenti per la loro sicurezza dagli USA e accettavano il Whashington Consensus.  La Cina no. La Cina è indipendente (Lee 2012).

Perché dunque i paesi occidentali non hanno più governi democratici? Perché i cittadini con le elezioni sono chiamati a decidere il nulla. Infatti ormai sono pochi gli elettori che si recano a votare. In Cina con grandi aziende statali e controllate lo stato può regolare l'economia avendo il controllo delle leve di comando. Viene in mente un vecchio saggio di Arrighi del 1978 Geometria dell’imperialismo. Il capitalismo per Arrighi, infatti, è il frutto dello scontro tra due poteri: il potere del territorio ovvero lo Stato nazionale e il potere del denaro ovvero poteri economici sovranazionali. Stato e economia si scontrano in modo continuativo. Le crisi capitalistice sono il frutto di questa collaborazione forzata dove l’economia tenta di liberarsi dello Stato e lo Stato tenta di condizionare l’economia. Oggi è democratico quello stato che può decidere per il proprio territorio senza ricevere ordini dall'esterno.

Parenti fa notare: «Per anni, ci sono state persone in Cina e all’estero, che hanno evitato ed eluso il modello cinese, e negato la sua esistenza. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. Mentre la Cina diventa sempre più fiduciosa sul proprio percorso […] il modello cinese è diventato sempre più percepibile e più distinto». Sul piano dello sviluppo economico Yiwei afferma che «alla luce della impetuosa crescita e della risposta efficace alla gestione degli effetti della crisi del 2008, il modello cinese può essere descritto in termini di cinque macro relazioni»: tra la mano visibile del Governo e la mano invisibile del mercato; tra efficienza ed equità; tra riforma e apertura; tra rapido sviluppo e sostenibilità e, infine, tra obiettivi di breve e lungo termine e tra obiettivi parziali e complessivi. Per “breve” in questo caso ci si riferisce ai piani quinquennali che sono inseriti in strategie più ampie e prolungate. In merito alla terza macro relazione, Yiwei asserisce che «le riforme sono utilizzate come mezzo per promuovere l’apertura, e viceversa. Mentre la Cina si apre al mondo esterno, incoraggiamo il mondo ad aprirsi alla Cina; e mentre realizziamo le riforme in Cina, speriamo di stimolare la riforma del sistema internazionale […] Negli ultimi anni, un certo numero di persone di mente aperta in Occidente, mettendo da parte i pregiudizi ideologici nei confronti della Cina, ha iniziato a vedere il modello di governance della Cina sotto una luce più oggettiva, riconoscendone l’efficacia […]» (Parenti 2015).



Scrive Fabio Massimo Parenti che secondo Arrighi e altri studiosi, il modello cinese è riconducibile, con tutte le sue ibridazioni e nuove sperimentazioni, a un sistema di mercato non-capitalistico, ovvero al socialismo di mercato.

D'altra parte se vediamo importanti studiosi come Braudel e Polanyi la loro definizione di capitalismo difficilmente si concilia con la situazione presente nella Repubblica Popolare Cinese. Fernand Braudel, esponente degli Annales in "Civiltà materiale, economia e capitalismo", sostiene che le origini del capitalismo si situano negli scambi mercantili tra XV e XVIII secolo. e più propriamente alla generalizzazione di tali scambi su scala mondiale, con la costituzione di centri di potere (Venezia, Genova, Amsterdam, Londra, ecc.) e alla diretta influenza di questa "economia mondo" sulla produzione stessa attraverso una simbiosi istituzionale. "Il capitalismo trionfa non appena si identifica con lo Stato, quando è lo Stato". E' dunque assai difficile asserire che nella Cina dominata leninisticamente dal Partito Comunista il capitalismo si sia fatto stato.
CONTINUA


Bibliografia


Arrighi, Giovanni 1978. La geometria dell'imperialismo, Feltrinelli, 1978. 

Braudel, Fernand 2006. Civiltà materiale, economia e capitalismo. Le strutture del quotidiano (secoli XV-XVIII), Einaudi, 2006.Huang Yasheng 2008. Capitalism with Chinese Characteristics: Entrepreneurship and the State 1st Edition, Cambridge 
Lange, Oskar 1937. “On the Economic Theory of Socialism” (1936-37).
Lee, John 2012. China's Corporate Leninism, The American Interest Magazine, maggio-giugno 2012.
Losurdo, Domenico 2015Cos’è davvero la Cina? Intervista a. Prof. Domenico Losurdo (2) con Parenti, Fabio Massimo. Caffè Geopolitico, 27 agosto 2015
Moore, Malcolm 2012. Credit crisis in China’s richest province, 28 Aug 2012.
Parenti, Fabio Massimo 2015. Esiste un modello cinese?,14 luglio 2015
Zang Li; Hu Zongyi 2012. How the CCP Interprets the“China Model”, CHINASCOPE 19 Ottobre 2012
University Press




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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.