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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

lunedì 19 marzo 2012

2.2.6: I cinesi come cattivi imitatori dell’Occidente e le masse strumentalizzate

2. Ancora una primavera. Tienanmen e dintorni 

2.2 Dopo Tienanmen
«Come si possono permettere gli stranieri di prendere in giro come noi usiamo coltello e forchetta a tavola quando loro non sono in grado di tenere in mano i bastoncini? Forse che il coltello e la forchetta occidentali sono meglio dei bastoncini cinesi?Andate a farvi fottere!”.
(Chinese Say 1996)

Scrive Stefano Cammelli:
Nel momento in cui l’opinione pubblica cinese decretava il successo di un libro nazionalista, anti-occidentale, xenofobo e aggressivo, mentre la ‘tradizionale’ xenofobia cinese si manifestava a chiare lettere nelle manifestazioni contro l’Occidente in seguito al bombardamento dell’ambasciata di Belgrado, sulla stampa occidentale incluso quella italiana – si continuava a descrivere una Cina improbabile, affarista, completamente dedita alla sola ricerca di denaro e del successo economico, più occidentale dell’Occidente. Pronta, proprio perché ormai matura, alla democrazia occidentale che un partito “sclerotico” composto da una vecchia dirigenza arroccata al potere, negava ricorrendo anche alla repressione fisica dei dissidenti (Cammelli 2008)
Le reazioni occidentali ai giovani che vanno all’assalto dell’ambasciata americana sono addirittura controinduttive. I giovani cinesi sono anti-americani perché amano Di Caprio e Topolino. I giovani che pur manifestano con tanta ostilità nei confronti degli americani sono completamente cinici dopo Piazza Tienanmen. Insomma la ragnatela interpretativa è completamente collassata. La Cina vistasi negare la strada dell’occidentalizzazione ha addirittura “perso l’anima” ed è diventata cinismo e affarismo, topolino e nazionalismo. E’ il sintomo della ormai avvenuta completa estraniazione alla Cina da parte dei commentatori occidentali. Parlano di una Cina che non gli piace affatto, quella a caratteristiche cinesi:
La Pechino di oggi, dopo i giorni dell'ira popolare suscitata dal bombardamento dell' ambasciata di Belgrado, ha riacquistato un aspetto di frenetica normalità: cantieri ovunque, edifici che s'innalzano per decine e decine di piani, scavi della nuova linea della metropolitana, un traffico caotico, cartelloni pubblicitari ovunque, cartelloni con slogan politico-ideologici pochissimi: i manifesti a grandi caratteri affissi sui tronchi degli alberi che sorgono di faccia all' ambasciata americana con su scritto "A morte l'imperialismo! Assassini! Canaglie!" sono ormai ridotti a brandelli, illeggibili. Ma la vampata di orgoglio nazionalista non s'è quietata, la convinzione di essere stati umiliati e offesi dagli occidentali che predicano i diritti umani ma non li rispettano (così continuano a ripetere radio, televisione e giornali) lascia poco spazio alla rivendicazione delle madri di Tienanmen. […] E desidera cancellare la memoria e ogni traccia di quell'evento che a molti pare lontanissimo. "Dieci anni fa? Tienanmen? è come parlare di un secolo fa, come dire prima della rivoluzione industriale, prima dell'epoca moderna", mi dice ridendo un imprenditore sulla trentina che produce ed esporta in tutto il mondo ciondoli portafortuna in osso. E' di Pechino, era andato a dare un'’occhiata a piazza Tienanmen il 3 giugno di dieci anni fa, ma poi era tornato a casa, prima che si scatenasse l' inferno. E da quel giorno, racconta, il suo unico impegno è stato quello di fare soldi perché, spiega, "ho capito proprio allora che sono l'unica cosa che davvero conta. Avevo anch'io qualche ideale prima, ora non più".
I corrispondenti intanto parlavano del solito amore per l’occidente: 
Naturalmente nessuno di coloro che studiavano il paese da anni era caduto nella trappola che la Cina riservava ai corrispondenti appena giunti a Pechino. Costoro, circondati da amore superficiale e ostentato per l’Occidente, da anni ormai - come si è veduto - alimentavano una letteratura leggera e senza pretese di una Cina più Occidente dell’Occidente. Tenuta lontana dalla democrazia (cui sarebbe certamente approdata in poco tempo) dalla gerontocrazia comunista (Cammelli 2008). 
Ambasciata cinese di Belgrado dopo il bombardamento 
L’immarcesibile Rocca aveva scritto a suo tempo: “La classe dirigente reprime le opposizioni non in nome di un sistema, di una convinzione, ma semplicemente perché desidera preservare gli orpelli di un potere minacciato ogni giorno dell’evoluzione delle mentalità (Egido 2004a)“. Una “mentalità che si evolveva in realtà nel senso opposto a quello voluto dall’Occidente. Gli stessi corrispondenti alimentavano il mito delle manifestazioni organizzate dal partito:
L’anti-occidentalismo che emergeva con così chiara evidenza chiudeva in modo definitivo l’esperienza del 1989? Ci si domandò se fosse spontaneo o gestito dal partito: restano negli archivi una serie di interviste che non aggiungono nulla su Song Qiang, ma che documentano in modo importante l’incredulità di un occidente che fino a quel momento si era sentito sicuro, certo del risveglio democratico cinese e della sua natura filo-occidentale. « “Se non c’è dietro il partito che cosa vi ha spinto a scrivere questo libro?” “I giovani della mia generazione pensano che la Cina abbia detto di sì troppo a lungo alla cultura, all’ideologia, al sistema di valori americani. Ora noi vogliamo dire basta a questo genere di mentalità e di falsità”. “Dunque a cosa volete dire “SI”? Devo chiederlo tre volte prima che lui interrompa la sua tiritera anti-occidentale per dire “Nei valori tradizionali” insegnati dal Confucianesimo e dal Taoismo (Cammelli 2008)
Dunque la fola che viene raccontata è che i cinesi aspirino all’Occidente sotto ogni aspetto e vengano tenuti schiacciati dalla gerontocrazia o dalla burocrazia (nella versione di sinistra) comunista non sta in piedi. Anche un acuto osservatore della Cina come il corrispondente del Washington Post Steven Mufson è sorpreso e non riesce a spiegarsi “come sia potuto succedere, in così poco tempo, di passare dalle manifestazioni in piazza Tienanmen intorno a una Statua della libertà in polistirolo a un anti-americanismo così confuso, ma istintivo, duro. Pregiudiziale” (Cammelli 2008).

L’Occidente è global per i diritti ma no global per gli investimenti. Insomma colonialista. Lo stesso quando si dice che la Cina ha rinnegato la sua cultura per il consumismo occidentale. Argomento principe di chi va a insegnare la Cina ai cinesi. In realtà la sua storia è quella di una grande potenza fondata sul commercio e su una scienza e tecnica avanzate come scrive Needham. Mentre la sua cultura è quella anti-individualista, ossia quella che i “democratici” vorrebbero eliminare a favore dei diritti umani occidentali fondati sull’individualismo.
Manifestazione contro la NATO per il bombardamento 
dell'Ambasciata cinese a Belgrado 
Contrariamente a quanto si pensa in Occidente la Cina non solo non vuole omologarsi ai modelli occidentali ma ritiene di richiamarsi alla propria cultura. Rivaluta ad esempio ogni tradizione pur che sia diversa dall’Occidente. Cammelli sostiene che le considerazioni fatte dagli autori di La Cina può dire No! sono un grido di rabbia contro un Occidente ostile e contro “l’arroganza di chi va in Cina e pontifica o ridicolizza la cultura cinese definendola morta per sempre. A tutto questo la Cina deve imparare a rispondere, una volta per tutte, “No!”(Cammelli 2008).

Stanley Karnow sostiene che gli americani hanno ereditato dai missionari l’idea che la Cina è perfettibile. L’opinione pubblica progressista da cui spesso escono i giornalisti pensa che il compito degli USA sia quello di spingere l’umanità alla migliore realizzazione di se stessa. Inoltre ci sono elementi derivanti dall’illuminismo e dal progressismo dell’età Wilsoniana che vedono il mondo destinato a diventare un unicum interconnesso (Turmoil 1992). La Cina è sembrata ancora di più del Giappone o di altri paesi un esempio per l’applicazione di queste idee. Prima di tutto perché aveva combattuto assieme agli USA contro la tirannia. Poi perché sembrava che la stessa Cina comunista, la Cina di Deng richiedesse l’aiuto occidentale e ne avesse bisogno segno che la missione storica dell’Occidente non era finita con il colonialismo. Sembrava che fossero gli studenti coloro che incarnassero questa voglia di Occidente e di congiunzione con la storia unica del mondo dominata dall’Occidente che rappresenta dunque anche quella fine della storia da molti preconizzata (Turmoil 1992).

Gli occidentali sono prigionieri dell’argomento proposto da Martin Upset[1] nel 1960 ovvero che modernizzazione, sviluppo e democrazia non esistono se non possono coesistere. Ma in realtà i cinesi non stanno affatto discutendo la realizzazione di una democrazia di tipo occidentale che anzi per molti versi rifiutano. I cinesi vogliono creare una società fondata su proprie caratteristiche nazionali ma fondamentalmente socialista. 

Il postulato fondamentale della teoria della modernizzazione negli anni Sessanta e Settanta è stato che tutti i sistemi inevitabilmente devono muoversi verso la democrazia liberale. I dirigenti cinesi hanno dimostrato scarso interesse per questa. Come Vu Gongmei osserva: "dopo la II Guerra Mondiale molti paesi di recente indipendenza hanno meccanicamente seguito i sistemi sociali, politici ed economici del mondo occidentale, con il modello americano come ideale. Il risultato è stato proprio opposto di quello che avevano desiderato. Infatti alcuni di questi paesi hanno raggiunto una crescita economica complessiva in un periodo molto breve, ma gli scontri a livello locale, i disordini razziali, le guerre religiose, guerre civili, lotte di potere, colpi di stato e ogni sorta di caos sanguinoso sono all'ordine del giorno in queste società. La democrazia liberale occidentale non è riuscita a consegnare ai paesi del Terzo Mondo la prosperità economica prevista, l'armonia sociale e la felicità. 

Sono invece i pii monaci tibetani che cercano di Occidentalizzare la Cina. “A chi ci chiede se la modernizzazione della Cina contribuisce alla nostra causa, io rispondo che la Cina non è moderna. Modernizzazione significa democratizzazione. Significa rispetto per i diritti umani e una società aperta ai diritti individuali. Nulla di tutto questo esiste oggi in Cina (Samdhong Rimpoche 2008). Una affermazione come questa è significativa in quanto un signore che unisce nella propria persona il potere politico e spirituale in un istituto tipicamente tradizionalista e diremmo noi “feudale” parla della non modernità della Cina. In compenso per modernità egli intende l’occidentalizzazione senza rendersi conto della contraddizione di uno stato laico con la presenza di Sua Santità il “Papa Re” tibetano ossia il Dalai Lama.
Il "Demone della Libertà" grondante del sangue
dei cinesi morti all'ambasciata di Belgrado


Il bombardamento dell’ambasciata di Belgrado della Repubblica Popolare Cinese il 7 maggio del 1999 porta a violentissime manifestazioni aniti-americane e anti-occidentali:
"Sangue vuole sangue", così , a caratteri cubitali su uno striscione nero, a lutto, per la prima volta da dieci anni migliaia di studenti di Pechino sono tornati ieri in piazza. Stavolta non era per la democrazia, come a Tienanmen, ma contro l'America. Gli studenti hanno scagliato sassi, bottiglie e pomodori contro l'ambasciata Usa, rappresentante del governo che nella notte aveva ucciso e ferito i loro connazionali nel bombardamento per errore dell'ambasciata cinese a Belgrado. Poi i manifestanti si sono diretti anche verso la rappresentanza diplomatica britannica […]. Nella notte, a Chengdu (provincia del Sichuan, nel sudovest) manifestanti hanno però assaltato, saccheggiato e incendiato il consolato statunitense. E a Canton (nel Guangdong, contiguo a Hong Kong), a decine di migliaia sono scesi per strada e hanno circondato il consolato americano - secondo testimoni oculari - senza grandi interventi delle autorità […] folle ormai irate che gridano con un gioco di parole "renquan (diritti umani) uguale baquan (egemonismo)(Rabbia 1999)”.
Siamo rimasti al partito di gerontocrati timorosi di qualsiasi movimento di massa e completamente screditato tra la gente, privo di qualsiasi rappresentatività. Ma ora succede un fatto strano: le masse si mobilitano contro l’America. La spiegazione è pronta…è il Partito.

Scrive Earnshaw: “Nessuna dimostrazione, nessuna protesta. Ha tenuto per poco meno di 10 anni, solo per essere annullata dalle dimostrazioni per protestare contro i bombardamenti della NATO all'ambasciata cinese a Belgrado durante la guerra del Kosovo. E gli studenti erano lì fuori per celebrare il fatto che essi potessero, ancora una volta, uscire per le strade come fare una dichiarazione politica. Grande ambivalenza (Earnshaw S.d.)”.

Sempre quel partito che fino al giorno prima non era per nulla rappresentativo e timoroso delle masse sorprendeva e poneva nuove domande a chi voleva capire la Cina:
Ad esempio potrebbe essere utile spiegare quale rapporto unisca il nazionalismo all’avversione per gli americani, se siano o meno la stessa cosa. Quale rapporto unisce un governo alle folle con una tale capacità di comunicazione da renderne possibile la mobilitazione in pochi attimi: non era – infatti – un governo che aveva ormai rotto ogni rapporto con le folle a partire dal 1989? Non era isolato nella sua cittadella tecnocrate e modernista? Non cercava di fare della Cina una America asiatica? Bisognerebbe poi spiegare altre cose ancora: ad esempio quale differenza esista tra sommossa anti-americana e sommossa anti-modernizzazione e cosa c’entra tutto questo con la parola ‘nazionalismo’(Cammelli 2008).
Le vittime del bombardamento americano a Belgrado
D’altra parte le manifestazioni in un regime rigidamente totalitario non possono essere spontanee:
Se in Cina “non c’è libertà di stampa” non ci può essere “libertà di espressione” così – si deve avere pensato – in un paese dove i diritti umani non vengono riconosciuti non possono avvenire manifestazioni spontanee. Se l’italiano Corriere della Sera forse erra nell’interpretazione ma comunque riferisce quello che è stato veduto ( “folle ormai irate che gridano con un gioco di parole “renquan (diritti umani) uguale baquan (egemonismo)”, il contributo del Washington Post è un capolavoro di mezze parole – usate con grande maestria – per alludere senza dire, prospettare senza affermare: «Quando decine di migliaia di giovani studenti con in mano pietre, molotov e cartelli con scritto “Kill Americans” hanno attraversato le strade di Pechino questo week-end per protestare contro l’incidentale ma tuttavia mortale attacco della NATO all’ambasciata cinese a Belgrado, erano accompagnati dal fantasma di ben altre manifestazioni, dieci anni or sono»(Cammelli 2008).
Cammelli ironizza sulla stampa occidentale che ferma al cliché dei ceti cittadini moderni amanti del liberalismo occidentale (“gli studenti sono liberal, la Cina urbana è liberal, solo la gerontocrazia del PCC opprime con una politica vecchia il naturale sviluppo della società cinese verso la democrazia”) è impossibilitata a spiegare ondate al limite della xenofobia. La spiegazione è che le masse sono spinte dal partito che messo accuratamente in scena le dimostrazioni anti-americane «i leader studenteschi delle organizzazioni governative hanno ricevuto una lista degli slogan da gridare». “Tuttavia, aggiunge Cammelli, certe enormità le si può affermare in un momento di perplessità ma tutta Pechino ha veduto come sono andate le cose”. Allora il giornalista americano si sente in diritto di sottolineare: «Ma sarebbe un errore dire che questi studenti siano stati forzati a protestare. Le dimostrazioni, sebbene dirette dalle autorità, esprimono in modo molto fedele i sentimenti delle folle.»”. Cammelli commenta “le acrobazie di certo giornalismo fanno colpo il giorno dopo, ma a dieci anni di distanza perdono ogni virtuosismo letterario e si rivelano, semplicemente, per quello che sono: improvvisazioni prive di professionalità”. Un giornale italiano “La Stampa” è quello che va più vicino alla realtà: “«Diversamente da Tiananmen però, quando i dimostranti vedevano gli stranieri come amici, questa folla è xenofoba e accusa gli stranieri caucasici di essere “americani”. Alcuni giornalisti e passanti sono stati spintonati e minacciati. Capipopolo improvvisati urlavano ai poliziotti che “i cinesi non devono difendere gli stranieri” o chiedevano il boicottaggio delle merci americane, da domani niente più Coca-Cola o McDonald’s.» (Cammelli 2008).Si può confrontare ciò con quanto avveniva durante la protesta di Tienanmen secondo quando scrive Fiore: "Riconosciuti, i corrispondenti stranieri erano salutati come vecchi amici, i fotografi e gli operatori televisivi erano liberi di riprendere la manifestazione. Al­cuni cameramen sono stati issati a bordo dei tricicli per se­guire la marcia al centro della strada" (Fiore 1989, p.31). Il cambiamento non poteva essere più radicale.

Manifestazioni analoghe a quelle contro gli americani per il bombardamento dell'ambasciata di Belgrado sono avvenute ad Hong Kong e non erano certo opera del Partito, per di più per isole Diaoyu contese con il Giappone: “Le folle che in quella circostanza invocarono l’intervento dell’esercito per otto scogli disabitati non erano attivisti comunisti ‘organizzati dallo stato’, ma cittadini anglo-cinesi dell’ultima colonia britannica (Cammelli 2008)”.

Quando poi si capì che la reazione era di massa divenne improvvisamente tutto chiaro per l’Occidente. Il partito aveva recuperato consenso rinunciando al comunismo e adottando il nazionalismo. Compare allora il Grande Vecchio: “Nessuna sorpresa che l’untore venga individuato nel governo, nel partito, nel potere che tutto fa e disfa.(Cammelli 2008)”. Interessante analizzare le lettere ai giornali che in quel periodo venivano mandate ai giornali e che furono raccolte da un ricercatore americano, Peter Hays Gries, studioso del nuovo nazionalismo cinese: “Lettere di rabbia fine a sé stessa (“Lavare il sangue col sangue!” “Gli occidentali sono come lupi, assaltano in branco e scappano”). Lettere che reclamano giustizia, il ristabilimento della legalità internazionale unite a lettere di indignazione, di rammarico (Cammelli 2008)”. Molte insistono sulla volontà degli occidentali di umiliare il popolo cinese. Addirittura compare capovolto il motto di Obama del “Buy America”: Chi compra Cadillac, Nike e Mac Donald non ha la coscienza a posto. Occorre consumare i prodotti nazionali (Cammelli 2008). 

La rivoluzione cinese, a cominciare dai boxers, e nella sua fase posteriore al 1930 ebbe essa stessa una forte venatura antioccidentale:
Nessuno sembra ricordare la profonda avversione anti-occidentale che percorre per tutta la sua durata la rivoluzione cinese. Nessuno ricorda le devastanti ondate xenofobe che attraversano la rivoluzione culturale. Nessuno sa del trionfo editoriale del libro La Cina può dire No! Così ci si culla nell’illusione di avere compreso tutto nel 1989: gli studenti in piazza, la democrazia, la richiesta di maggiore libertà, il regime cieco e brutale. Come accettare in una notte sola quello che non si è voluto vedere per anni? Come chiudere in poche ore di violenza di piazza il divario tra ciò che si credeva e ciò che si vede? Sì, c’erano state grandi proteste e grande delusione anche quando alla Cina erano state negate le Olimpiadi del 2000, ma la delusione non si era trasformata in movimento antioccidente, non era diventata xenofobia (Cammelli 2008).
Nemmeno la famose classe media non lascia a ben sperare perché la stragrande maggioranza dei cinesi “sembrano accoglierne le tesi sull'identità nazionale del paese, sul ruolo dell'imperialismo nella sua storia passata e presente e sul valore che ha mantenere e far progredire questa cosa chiamata Cina. Le classi medie, inoltre, accettano sempre di più anche il nazionalismo maoista, l'idea cioè che in passato la Cina abbia conosciuto la grandez­za, sia stata umiliata e che in futuro risorgerà (Cheek 2007, 47)”.

[1] Upset, Martin (1960) Political Man: The Social Basis of Politics ( London: Heinemann). 
Bibliografia
Cammelli, Stefano. 2008. “Debolezza Della Cina e Problema Tibetano.” Polonews http://www.polonews.info/articoli/Saggi%20critici/20080505.pdf.
Cheek, Timothy. 2007. Vivere Le Riforme. La Cina Dal 1989. EDT.
Fiore, Ilario.1989. Tien An Men. RAI-ERI.
Turmoil. 1992. “Turmoil at Tiananmen. A Study of U:S: Press Coverage of the Beijing Spring of 1989”. Harvard University. http://www.hks.harvard.edu/presspol/publications/reports/turmoil_at_tiananmen_1992.pdf.

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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.